OHi Mag Report Geopolitico nr. 31 Questo articolo parte da alcune delle nozioni espresse da Mario Coletti - esperto e docente di Intelligenza Artificiale allo IULM di Milano e imprenditore nel digitale a Londra - durante la conferenza "NOI e l'intelligenza artificiale" Elaborazione CESMAR di una foto di Markus Spiske L'intelligenza artificiale si manifesta su due principali attitudini: quella dell'elaborazione visiva e verbale dei contenuti, e quella della capacità predittiva. La nostra intelligenza si basa invece su ciò che vediamo, generando di conseguenza lo stato di piacere o di paura, sulla capacità di comunicare tra di noi e sulla nostra capacità di prevedere, per quanto possibile, il futuro a breve o medio termine. Attualmente la nostra specie si dimostra essere superiore proprio per quest'ultima attitudine che pare essere condivisa anche con altri mammiferi, come le balene e gli elefanti. Questo solo per ora in quanto l'AI sta evolvendo molto più velocemente di quanto l'uomo non abbia fatto nella sua intera esistenza. Siamo sempre più concentrati sul presente (e status quo), e distratti da una molteplicità di forme di comunicazione soprattutto visive. Ecco perchè abbiamo voluto introdurre una forma di intelligenza alternativa, proprio per colmare questo gap al fine di continuare a essere più lungimiranti e, di conseguenza, longevi. Questo comporta alcuni rischi e proprio per questo molte persone guardano con diffidenza quello che potrebbe diventare un competitor piuttosto che un alleato. Ma il concetto di AI non è nato recentemente, viceversa appartiene a un percorso storico iniziato nel 1500 A.C. con la scrittura greca. Ma il vero precursore della classificazione di AI è stato il matematico britannico Alan Turing, che riuscì a decifrare il codice Enigma, un dispositivo elettromeccanico utilizzato dalle forze armate tedesche durante il periodo nazista per cifrare e decifrare informazioni di guerra. Fu ancora lui a coniare il concetto di "Computing Machinery and Intelligence" che creò le basi dei moderni computer e della ricerca sull'intelligenza artificiale. Sono sempre state le necessità di strategia a creare i presupposti per i quali oggi utilizziamo gli stessi strumenti per condividere informazioni in tempo reale con miliardi di persone. Si potrebbe quindi insinuare con minimo scarto di errore che il progresso tecnologico che tutti utilizziamo oggi ha avuto origini e influenze geopolitiche e militari, fino ad arrivare allo scomodo presupposto che per l’evoluzione umana in occidente sia basata sulle guerre, e sul loro ruolo più che determinante nei nostri stili di vita. Se dovessimo semplificare questo concetto e dare una connotazione negativa al progresso potremmo riferirci ad alcuni autori che ritengono che: tutta la tecnologia che utilizziamo quotidianamente è bagnata di sangue, anche la più semplice calcolatrice o il primo Macintosh da cui ci siamo affacciati al mondo, tutti derivati e sviluppati da un presupposto geopolitico, un primordiale oggetto dotato di un'"intelligenza militare". Se il tempo intercorso tra lo sviluppo della rivoluzione industriale e i cambiamenti sociali ad essa connessi sono stati pari a circa due secoli, oggi corriamo il rischio che l'AI ci metta nelle condizioni di introdurci in un nuovo paradigma della nostra evoluzione in meno di vent’anni. Questa accelerazione degli eventi determina di conseguenza la percezione di inadeguatezza e paura da una parte, e ammirazione e speranza dall'altra, generando nuove spaccature sociali. Un po' quello che avvenne quando l'era industriale fece migrare il contadino dalla campagna verso le città dove erano collocate le fabbriche, la zappa verso il trattore, e il cavallo verso l'automobile. E oggi sappiamo quanto importanti siano le fabbriche, i trattori e le automobili nella vita di tutti i giorni. “Ma l'AI potrebbe essere positiva se riuscisse valorizzare il capitale umano e sociale” afferma Mario Coletti e aggiunge: “il nostro cellulare ha sostituito il nostro portafoglio e milioni di persone condividono oggi le proprie informazioni personali, mentre nessuno si fiderebbe di dare i propri documenti al proprio vicino di casa”. Le nuove generazioni stanno migrando verso nuovi linguaggi molto più velocemente di come i nostri padri siano passati dalla zappa al trattore, e dimenticheranno ben presto l'uso della scrittura preferendo immagini e audio per comunicare. E questo ha già generato il 28% di analfabetismo funzionale in Italia, persone capaci di leggere e scrivere, ma non di comprendere esattamente il contenuto di un testo. Quello che ancora ci fa primeggiare sull'intelligenza artificiale è la creatività, il senso innato della nostra specie di associare secondo un inedito ordine immagini, suoni e parole. “Per questo motivo la scuola dovrebbe avere un approccio meno accademico e più creativo nei confronti delle future generazioni, dovrebbe allenare il giovane a essere differente dalla macchina e difficilmente sostituibile, portando sempre più verso un'intelligenza disciplinare, sintetica, creativa, inclusiva ed etica. Solo così riusciremo ad avere un ruolo dominante nel futuro che è già alle porte. E solo se riusciremo ad accettare le diversità, etniche e di genere, riusciremo a esprimerci con più forza all'interno di quello che è l'era del transumanesimo. “Quello che proporrei è semplicemente una maggiore fiducia nel progresso”, Kodak non voleva credere che in futuro dei pixel avrebbero sostituito la pellicola fotografica. Oggi il nome Kodak è quasi sconosciuto alle nuove generazioni lasciando campo libero ad aziende come Intel. E in questo gli americani - seppur in tutte le loro contraddizioni - hanno saputo liberare capacità di sviluppo non eguagliabili proprio alle persone che credevano che le cose si sarebbero potute cambiare al fine di migliorare il futuro (a scanso di equivoci o danni collaterali). La realtà di ciò è davanti ai nostri occhi: IBM, che ha introdotto il modo di gestire grandi moli di informazioni a livello computazionale e statistico, e Apple, che con Macintosh ha portato tutto questo ad un utilizzo democratico su larga scala, sono solo alcuni esempi di "fiducia nel progresso" che però, secondo il nostro personale punta di vista, non deve essere paragonata a una fede cieca su quello che ancora non esiste. Visionari quasi sempre demonizzati le cui invenzioni sono oggi utilizzate da miliardi di persone che mai e poi mai vi saprebbero rinunciare. Oggi si parla forse negativamente di Tesla, BYD, Optimus, SpaceX; ma domani tutto questo rappresenterà la normalità per milioni di persone che punteranno il dito verso altri "demoni". Ritornando all'intelligenza artificiale, esiste un'ipotesi concreta che questa, dopo averci superato, ci possa in qualche modo dominare o addirittura portarci all'estinzione? Anche questo potrebbe rientrare in un normale processo evolutivo della nostra specie, che dal carbonio sta migrando verso il silicio oppure che possa addirittura sostituirci a livello profondo, quello della coscienza. Nel nostro pianeta cose simili sono già accadute, basti pensare ai dinosauri per esempio. E su scala planetaria questa supposizione è più che ben storicizzata da una molteplicità di eventi. E quando l'AI sarà in grado di individuare i problemi prima dell'uomo - quelli ad esempio correlati alla sopravvivenza – in questo caso questo dimostrerà che l'AI ci ha superato, decretando il nostro inesorabile declino. Anche in questo possiamo far rientrare l'analogismo geopolitico; è una mera questione di potere, prevaricazione, e sopravvivenza che potrebbe portare a un ipotetico conflitto di interessi su larga scala. Di massima l'uomo ha sempre saputo fronteggiare le sue sciagure: è nella sua indole creativa di riuscire ad avere la meglio sui suoi errori e porre rimedio agli imprevisti negativi. Oggi tutto questo ha un costo e nulla è così scontato come in passato. Gli errori – nati da cieca ricerca di potere e dominio – oggi si pagano e forse non è la creatività che serve quanto l’umiltà di comprendere i limiti della nostra specie. Ma cos'è la creatività? Creare un virus per poi creare l'antidoto è forse la forma più complessa di creatività? Quale il senso di distruggere per poter ricreare. Una dotazione esclusivamente umana decifrabile nell'ambito della parodia, ma che comunque ha portato la nostra specie a evolvere così in fretta rispetto alle altre forme di vita, sicuramente meno "schizofreniche" della nostra. E' forse la pazzia stessa una forma di creatività, lungimiranza e successo a breve termine? O siamo forse una specie predestinati all'insuccesso. © RIPRODUZIONE RISERVATA Leggi l'articolo
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Vittorio Veneto da crocevia strategico nel corso della prima guerra mondiale e palcoscenico nell'ultimo scontro armato tra Italia e Impero austro-ungarico, a location privilegiata per incontri e riflessioni a tema geopolitico, relazioni e crisi internazionali, grazie a Cesmar, Limes Club della Vittoria e OhiMag, tre realtà nate nella stessa città da un impegno costante da parte di un gruppo di esperti, diplomatici, insegnanti, politologi, esperti di informatica e giuristi. Tema della conversazione di geopolitica, svoltasi lo scorso 15 Novembre presso la prestigiosa Aula civica Museo della Battaglia, l'impatto del voto statunitense sulle crisi internazionali. A rispondere ad alcune domande sul tema è stato chiamato un'ospite d'eccezione: Gianandrea Gaiani, direttore responsabile di Analisi Difesa, giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, che dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Moderatore è stato Danilo Riponti, giurista e storico. Ad ascoltare una sala gremita di appassionati, ma anche giovani studiosi ed esperti del settore. In discussione c'è l'informazione. I media occidentali, che di fatto hanno volutamente messo in crisi i sondaggi e la prevedibilità degli scenari del voto americano, in un contesto dove la partita a scacchi veniva giocata sulla base di una vera e propria distorsione della realtà. Una scenografia montata ad arte che ha tratto in inganno milioni di elettori e gli stessi opinionisti, in un finto testa a testa tra democratici e repubblicani. Lo scenario è quello descritto da George Orwell nel suo 1984, che descrive un mondo pilotato dalla disinformazione dove dire la verità è un atto rivoluzionario. Un secondo punto trattato riguarda la finanza che influenza e determina la politica di oggi, dato che gli “oligarchi” dispongono di patrimoni a volte ben superiori a quelli degli stati. Non a caso Elon Musk, oltre a finanziare e influenzare il voto, addirittura con una lotteria a premi, alza la cornetta rompendo di fatto qualsiasi stereotipo diplomatico. Così Trump stravince perchè è vicino al mondo reale più di quanto non sia la Harris, piace perchè incarna il self made man, il Tycoon per eccellenza, conquista per il suo sovranismo che porta a una nuova età dell'oro lontana dalle guerre e dall'odio. Il suo grido è che i soldi si fanno con la pace, è un uomo d'affari e bisogna negoziare, le grandi potenze trovano sempre una soluzione quando viene messo a rischio il guadagno e il commercio. E non è più una questione di competitività commerciale con Russia e Cina; oggi sul tavolo dei giochi ci sono i BRICS che negli ultimi due anni e mezzo sono preoccupantemente cresciuti. Trump si affaccia in questo scenario; ha bisogno di Putin quindi deve risolvere velocemente la "seccatura" dell'Ucraina in una visione dove ogni stato deve provvedere, a proprie spese, alla propria sovranità, Europa compresa. "L'Europa non esiste" parole di Gaiani che rabbrividiscono e fanno quasi male, e "La NATO è morta" anche se, come l'ONU, non può essere sostituita. E' oramai chiaro a tutti che il Tycoon è un sovranista americano, non europeo e tantomeno italiano. E tutto si traduce sui dazi, sul prezzo che l'Europa dovrà pagare, perchè tutto ha un costo. La dispendiosa deterrenza,- che tuttavia ha permesso a noi "boomer" di vivere una vita tutto sommato serena -, deve avere un nuovo costo. Quindi l'"ombrello nucleare" avrà un prezzo diverso per noi europei, mentre Gaiani non considera che la NATO possa più guidare gli eventi internazionali come ha sempre cercato di fare. Una politica dove l'America si riscoprirà sempre più autosufficiente anche dal punto di vista tecnologico, artefice della propria indipendenza industriale e produttiva. Gaiani punta anche il dito sulla presidente della Commissione Europea la cui visione a largo raggio potrebbe non essere tanto europeista, dato che fu indicata da Biden come possibile segretario generale della NATO, ruolo che fu poi dato a Mark Rutte. "Siamo sicuri che Ursula von der Leyen abbia a cuore gli interessi dell'Europa?" ribatte Gaiani. Poi c'è la questione delle armi: l'uso indiscriminato con cui vengono attualmente consumate non consentono a nessun stato, compreso gli USA, di sostituirle al ritmo con cui vengono consumate sia in un arco temporale soddisfacente, sia per l'indisponibilità di manodopera specializzata che per i costi stessi dell'acciaio la cui industria occidentale è appesantita dal prezzo fuori controllo dell’energia. Quindi, da buon imprenditore, quando a scarseggiare è la finanza, non resta che negoziare: con Putin, con Netanyahu, con Ching-te, con Jinping, offrendo loro tutte le garanzia di stabilità possibili. Questo è il quadro generale che il voto americano ha reso ancora più realistico, e noi europei, in questo disegno, non siamo compresi per la semplice ragione che non abbiamo più nulla da mettere nel piatto della bilancia degli asset geopolitici internazionali. Trump è il buon samaritano per casa sua, è un imprenditore, teniamolo sempre ben presente. L'Europa è stata cotta a puntino, digerita e vomitata nel giro di poche decadi. Ritornando al ruolo dell'informazione e dei media, tema da cui eravamo partiti, destabilizzanti la percezione della realtà, questo ci introduce a un grande problema: la disinformazione, che poi può essere descritta come forma occulta di cyber warfare, guerra dei dati e dove le stesse intelligence, pur non commettendo errori, vengono coinvolte in un utilizzo improprio degli stessi dati forniti. Un Deep State sempre meno intelligibile ed evanescente e il pericolo che le visioni di Orwell possano diventare sempre più concrete nello scenario futuro dell’America di Trump e del suo ruolo sul resto del mondo. Leggi l'articolo
© RIPRODUZIONE RISERVATA Gianandrea Gaiani è un giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario. Nato a Venezia il 3.11.1960 , dopo studi classici, Danilo Riponti ha conseguito a ventitré anni la laurea in Giurisprudenza presso l'Università di Trieste con voti 110 e lode. La tesi di laurea in Procedura Penale, redatta nel corso di un Simposio Internazionale tenutosi a Tokyo in materia di Vittimologia, è stata pubblicata da CEDAM con presentazione del già Ministro della Giustizia e Giudice Costituzionale Giuliano Vassalli. Da oltre 25 anni è cultore di Antropologia Criminale prima e di Criminologia poi, presso l'Università di Trieste ed è autore di numerose pubblicazioni in materia criminologica.
OHi Mag Report Geopolitico nr. 28 Ercole e Iolao, nipote e amico di Ercole, e l’Hydra di Lerna. Da un vaso greco https://www.meisterdrucke.it/stampe-d-arte/English-School/1043750/Ercole-e-Iolao-e-l%27Idra-di-Lerna- %28litografia%29.html Ci è capitato di leggere il saggio “La logica della guerra nella Grecia antica. Contenuti, forme, contraddizioni”[1], un testo che analizza la guerra e i conflitti dell’antichità alla luce degli eventi bellici di oggi - ai confini orientali d’Europa e nel Vicino Oriente - cercando di trovare stimoli interpretativi e idee. L’autore, se da un lato affronta un tema complesso come la guerra da esperto del mondo greco, dall’altro cerca di mantenersi al di sopra degli eventi che racconta, valutandoli senza giudicarli a priori. Molte le domande a cui cerca di dare risposta attraverso una ricca analisi di testi greci. Uno studio lontano nel tempo, ma, proprio per questo, libero da condizionamenti e, soprattutto, capace di andare all’essenza dei fatti. Oggi la riscoperta dei classici è divenuta fondamentale, anche nella formazione dei giovani Ufficiali, ai quali non si chiede più di applicare acriticamente sul campo risposte pre-pianificate, ma di acquisire la capacità di individuare la miglior soluzione per la situazione peggiore che possa verificarsi. Ed è apparso proprio in questi giorni sul sito del CIMSEC (Center for International Maritime Security) un interessante articolo di Jack Tribolet, “The Theoretical Edge: Why Junior Officers Should Study Military Classics”[2], dove si invitano appunto i giovani Ufficiali a studiare i classici. L’autore del citato articolo non è il solo in questa importante riscoperta dei classici nello studio della guerra. Per molti anni la US Navy ha studiato attentamente la guerra del Peloponneso, perché rappresenta uno dei pochi casi in cui una Potenza marittima (Atene) sia stata sconfitta da una Potenza continentale (Sparta). Al tempo della Guerra Fredda gli USA potevano ovviamente essere assimilati ad Atene e la NATO alla Lega di Delo, mentre l’Unione Sovietica giocava la parte di Sparta e il Patto di Varsavia quella della Lega Peloponnesiaca. Forse fu proprio il desiderio di evitare una sconfitta degli USA nel loro confronto con l’URSS che spinse Donald Kagan a studiare in profondità questa guerra così complessa e interessante, trattata nel prezioso “The Peloponnesian War”; di Kagan vanno inoltre ricordati anche gli stimolanti “On the Origins of War. And the Preservation of Peace” e “The Western Heritage. Since 1300”. La fama di Tucidide, che della guerra del Peloponneso è stato il principale studioso (e non tutti sanno che vi ha partecipato al Comando di un’unità navale), ha indotto Graham Allison a utilizzare alcune sue valutazioni nel suo saggio del 2017 “Destined for War: Can America and China Escape Thucydides's Trap?” (che contiene in realtà concetti già da lui espressi in precedenza in un suo articolo del 2012 per il Financial Times). Allison utilizza il termine “trappola di Tucidide” nel descrivere il rapporto tra Cina e USA, e non è casuale che lo stesso Xi Jinping lo abbia ripreso in un discorso del 2013, sottolineando come si dovesse “… tutti lavorare insieme per evitare scenari evocati da Tucidide”. La “trappola di Tucidide” si riferisce alla rapida crescita dell’egemonia territoriale di Atene (Cina, ai giorni nostri), avvertita come una minaccia dalla Potenza consolidata di Sparta (USA); il timore di quest’ultima di perdere la sua posizione acquisita determinò gli eventi che condussero alla guerra del Peloponneso. Ma torniamo ora allo stimolante testo del prof. Cozzo[3]. Il libro si pone l’obiettivo di rispondere a tre domande: come nasce e si sviluppa una guerra; quali sono le sue dinamiche; e qual è il ruolo degli storici nel raccontarla. Nel primo punto vengono poste in evidenza le contraddizioni sulle cause che portano allo scoppio delle ostilità:
Nel secondo punto, quello relativo alle dinamiche, l’autore analizza la retorica, l’ideologia, la propaganda, l’importanza del morale, le sofferenze dei civili. RETORICA. Per molti anni la guerra è stata considerata un confronto nobile, romantico, sportivo, in cui le regole, ben sintetizzate dallo storico Josiah Ober[6], dovevano essere rispettate, uno scontro tra pari che, però, talvolta andava oltre i limiti autoimposti. Oggi non è più così: a titolo di esempio, i civili soffrono perdite molto superiori al passato. Ma di questa tradizione sono rimaste le virtù militari, l’onore, l’eroismo, l’elogio funebre e i sacrari (retorica patriottica), tutti aspetti che, secondo Cozzo, possono diventare forme di sfruttamento della morte in battaglia per fini di natura politica. Dalla retorica si passa facilmente all’IDEOLOGIA, che, nel passato, era utile a sostenere lo sforzo bellico. Ma allora il ruolo dei capi militari e politici era coincidente, quindi la sconfitta diventava evidente con la morte del capo. Oggi non è più così: una delle conseguenze più evidenti e drammatiche del pericolo di una sconfitta, infatti, è che i leader politici pagherebbero un prezzo assai elevato per essa e devono quindi puntare a un’ideologia protettiva della propria persona e che possa giustificare i sacrifici imposti alla propria Nazione. L’ideologia è quindi diventata una forma di “salvagente”, che tende a giustificare le azioni anche a scapito di errori di valutazione strategica. Come afferma giustamente il prof. Alberto Camerotto dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, “… quando si comincia una guerra non si può più tornare indietro”; sarebbe quindi indispensabile riflettere bene sulle conseguenze di interventi mal pianificati che rischiano di diventare ingestibili e, soprattutto, costosi in termini di vite umane, causando perdite che potrebbero apparire inutili e, conseguentemente, private di dignità. D’altra parte, la guerra rimane un’attività imprevedibile e non sempre è possibile trovare alternative. I Corinzi hanno lasciato questa massima relativamente alla guerra: “Essa si fa soggetto e prende il sopravvento sull’uomo”; come l’Idra di Lerna, che, secondo la visione di Erasmo da Rotterdam, si autogenera, si trasforma e si rafforza dal dolore che crea[7]. Ma, soprattutto, essa porta gli uomini, come ci dice Voltaire, a ricercare la totale distruzione del nemico[8], e a non accontentarsi, quindi, della sola vittoria o dell’umiliazione dell’avversario. Per quanto attiene la PROPAGANDA, Cozzo pone in evidenza come in tale contesto le diverse verità scompaiano e ne rimanga solo una: quella che gli autori del comunicato o della affermazione desiderano. I morti non sono tutti uguali: i morti della parte “giusta” contano di più, i morti del nemico non meritano alcun rispetto, perché sono dalla parte sbagliata della storia. Talvolta la verità - quella vera - viene negata, l’evidenza scompare in una nebbia che porta all’oblio. Un unico fine: far dimenticare i propri errori, cancellare le colpe dalla propria gente e accusare l’avversario di tutte le possibili nefandezze. In fondo, la storia viene sempre scritta dai vincitori, quindi chi domina la comunicazione può dire qualsiasi cosa senza doverne rispondere in seguito. Analizzando l’IMPORTANZA DEL MORALE, l’autore sottolinea come in guerra diventi essenziale non solo mantenere alto il morale delle proprie truppe, ma contemporaneamente ricercare ogni occasione per prostrare quello dei nemici, che devono essere impauriti, minacciati, ingiuriati e provocati. Infine, in merito alle VIOLENZE SULLA POPOLAZIONE CIVILE, Cozzo rileva come evacuazioni, asservimenti, stupri siano una costante della guerra. Ciò che è cambiato oggi, rispetto al passato, è una maggior attenzione alla vita dei non belligeranti, che ha prodotto un corpus di leggi tese a proteggere le comunità. Ciononostante, il numero dei morti civili nelle guerre odierne è percentualmente molto superiore rispetto al passato, con valori di massima sempre superiori al 50% dei caduti, e spesso vicine al 90%. Trattando quindi il ruolo degli storici nel raccontare la guerra, l’autore analizza quello di tre somme figure del passato, Tucidide, Erodoto e Senofonte, rilevando come essi abbiano sempre inteso raccontare le grandi imprese di guerra nella loro complessità, parlando di eroismo e di fatti, elaborando testimonianze e avendo una precisa conoscenza politica del contesto. Cozzo ci invita quindi a guardare alle verità, non a un’unica verità, pena la perdita di oggettività dello studio. In conclusione, le considerazioni che si possono trarre dalla lettura di questo saggio sono:
[1] Andrea Cozzo, “La logica della guerra nella Grecia Antica. Contenuti, forme, contraddizioni”, Palermo University Press, 2023. [2] https://cimsec.org/the-theoretical-edge-why-junior-officers-should-study-military-classics/. [3] Andrea Cozzo è Professore Ordinario di Lingua e Letteratura greca presso l’Università di Palermo. [4] Su questo tema è di estremo interesse la visione del film “Official Secrets” di Gavin H. Hood del 2019. [5] Per Cozzo la guerra civile è assai peggiore della guerra tra Stati. [6] Ober ha stilato un elenco di queste convenzioni non scritte, che ne comprende dodici: 1. la guerra deve essere ufficialmente dichiarata e le tregue vanno rispettate; 2. ugualmente vanno rispettate le tregue sacre (per esempio, durante la celebrazione dei giochi olimpici); 3. bisogna rispettare i luoghi sacri e le persone sotto la protezione degli dèi (araldi, supplici, ecc.); 4. i trofei della vittoria vanno rispettati; 5. i morti in battaglia vanno restituiti al nemico che li richieda; 6. il corretto preambolo di una battaglia è una sfida rituale; 7. i prigionieri vanno liberati in cambio di un riscatto; 8. non si possono maltrattare i nemici che si sono arresi; 9. bisogna evitare gli attacchi ai civili; 10. le battaglie devono svolgersi nella stagione estiva; 11. bisogna limitare l’uso delle armi non oplitiche; 12. l’inseguimento dei nemici sconfitti che si ritirano deve essere limitato. [7] “E poiché guerra genera guerra, da guerra finta nasce guerra vera, da guerra piccina guerra poderosa, non di rado suole accadere ciò che nel mito si racconta del mostro di Lerna”. Erasmo da Rotterdam, Adagia. [8] Il 26 febbraio del 1769 Voltaire scrisse a Caterina Il, imperatrice di Russia, e le propose di utilizzare, nell'imminente guerra contro i Turchi, un temibile strumento di morte, che avrebbe sorpreso e atterrito gli avversari: “Non basta fare una guerra vittoriosa contro questi barbari e poi concluderla con una pace qualsiasi; non basta umiliarli, bisogna distruggerli”. Andrea Giardina (a cura di), Anonimo, Le cose della guerra, Ed. Fondazione Lorenzo Valla, A. Mondadori, 1989, pag. IX. Leggi l'articolo
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OHi Mag Report Geopolitico nr. 25 Lima, 24 ottobre 2024 Il XXI secolo sta segnando un profondo cambiamento nella configurazione geopolitica globale, dove l’egemonia degli Stati Uniti si confronta con una concorrenza crescente, sul piano conflittuale, da parte della Cina; mentre in Europa la guerra tra Russia e Ucraina, sostenuta dalla NATO, genera una nuova frontiera di dimensioni politiche, economiche e demografiche come poche volte nella storia. Tutto questo mentre la stessa guerra tra Israele e Hamas produce un nuovo tipo di allineamento politico in Medio Oriente. Questo scenario presenta sfide serie e inevitabili per paesi come il Perù, che, per la sua posizione geografica e le sue risorse naturali, si trova in una posizione strategica chiave nel mezzo di un ordine internazionale dirompente che altera gli equilibri di potere sulle coste dell’Oceano Pacifico. Per decenni, gli Stati Uniti sono stati l’attore dominante in America Latina, assicurando la propria influenza attraverso meccanismi politici come l’espansione della democrazia liberale, meccanismi economici come l’espansione del libero mercato finanziario e capitalista internazionale, e meccanismi sociali in termini di promozione di una società classista progressista e liberale. A questo si affiancava una proiezione militare in termini di potere di intervento e promozione di accordi e alleanze in materia di sicurezza. Tuttavia, negli ultimi anni, l’egemonia statunitense ha cominciato a erodersi a causa di vari fattori. Come conseguenza dell’imposizione di un modello ideologico politico di governance globale progressista e liberale sulla regione da parte di Organizzazioni Non Governative (ONG) e organizzazioni internazionali, le strutture di potere nei diversi paesi si sono indebolite fino al punto di essere inefficaci. Gli spazi vuoti sono stati coperti dalla corruzione e dalla criminalità organizzata, che si sono aggiunti al disinteresse per la regione, mentre le sue priorità sono state trasferite ad altre fonti di tensione globale, come il Sud-Est asiatico, l’Europa dell’Est e il Medio Oriente, generando le situazioni più difficili condizioni vantaggiose per le potenze extra-continentali emergenti, in particolare la Repubblica popolare cinese, che hanno saputo proiettare coraggiosamente la loro presenza in America Latina attraverso massicci investimenti nelle infrastrutture e nel commercio. La Cina ha consolidato il suo potere globale attraverso un modello economico di capitalismo di stato che combina un forte intervento del governo sui meccanismi del libero mercato. Questo modello sfida il paradigma secondo cui solo il libero mercato genera ricchezza, permettendo alla Cina di guidare un’espansione commerciale senza precedenti, posizionandosi come il principale partner commerciale di molte nazioni nel mondo e in America Latina, incluso il Perù. Il porto di Chancay, costruito con ingenti investimenti cinesi, è un tassello fondamentale in questo progetto. Situato strategicamente a nord di Lima, questo porto non servirà solo a migliorare i collegamenti logistici del Perù, ma consentirà anche alla Cina di consolidare le rotte marittime vitali per il suo commercio globale. Il progetto Chancay ha implicazioni più ampie che trascendono la sfera commerciale. Modificando il sistema di cabotaggio che collega l’America dall’Alaska alla Terra del Fuoco e riconfigurando le rotte marittime del Pacifico, la Cina modifica le dinamiche geopolitiche della regione, con effetti economici e politici, nonché sulla criminalità organizzata transnazionale. Questo sviluppo riduce la tradizionale dipendenza dal Canale di Panama, la necessità vitale di controllare i passaggi marittimi dell’America meridionale e rafforza il ruolo dell’Oceano Pacifico come spazio strategico chiave per il commercio mondiale nei prossimi secoli. Il porto di Chancay rende il Perù un attore cruciale all’interno di questa nuova configurazione globale. La sua posizione lo proietta come un HUB regionale per il commercio transcontinentale, facilitando non solo le esportazioni minerarie e agroindustriali peruviane, ma anche le operazioni logistiche globali. Ciò pone il Perù in una posizione privilegiata di fronte alle crescenti tensioni tra Cina e Stati Uniti. La creazione di un porto di questa portata ha il potenziale per dirottare il focus degli interessi geopolitici degli Stati Uniti verso il Perù, che ora si pone come luogo di maggiore rilevanza strategica rispetto ad altre nazioni latino-americane, come il Cile, storicamente rilevante per il suo controllo dei passaggi marittimi nel sud del continente. Questo cambiamento rafforza anche l’importanza dell’Oceano Pacifico come epicentro del commercio mondiale e spazio di competizione tra le due principali potenze economiche. La crescente influenza della Cina non si limita alla sfera commerciale. Il suo ruolo nel rafforzamento del blocco BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa e altri cinque) e il fatto che oggi, al vertice che si svolge in Russia, partecipano quasi 40 rappresentanti di vari paesi, tra cui Brasile, Bolivia, Venezuela e Il Nicaragua, che insieme rappresenta circa il 60% del PIL globale, è un’indicazione della sua intenzione di creare un nuovo ordine economico che sfidi le istituzioni finanziarie dominate dall’Occidente come il FMI e la Banca Mondiale. La proposta di un nuovo sistema finanziario globale, che includa l’uso di valute alternative al dollaro da parte dei paesi del “sud sottosviluppato”, rappresenta una sfida diretta alla struttura del potere economico internazionale. Per il Perù, che ha mantenuto strette relazioni con gli Stati Uniti, questo cambiamento di paradigma può generare tensioni, ma anche opportunità per diversificare le sue alleanze commerciali, politiche e di sicurezza. La riconfigurazione dell’ordine geopolitico regionale porterà in Perù un nuovo tipo di tensioni esterne ed interne, che rischiano di mettere a dura prova la sicurezza nazionale principalmente come effetto delle tensioni globali, ma ciò si riverberà anche sui paesi della regione che saranno significativamente colpiti. Allo stesso tempo, possono aggravare l’indebolimento e la frammentazione del potere politico nazionale come conseguenza dell’espansione della criminalità organizzata transnazionale rafforzata dalla corruzione e dal rafforzamento delle economie illegali che sfidano il potere dello Stato. Nello scenario descritto, è necessario avere molta chiarezza sulla necessità di disporre di Forze Armate in grado di scoraggiare i pericoli e le minacce alla sicurezza nazionale nel salvaguardare l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale essenziali per affrontare le sfide dei cambiamenti geopolitici globali. D’altra parte è indispensabile sia rinnovare le Forze di Polizia in modo che possano garantire l'ordine pubblico e interno come requisito fondamentale per la convivenza pacifica tra i peruviani sia puntare al rafforzamento del nostro sistema diplomatico (di relazioni estere) a fronte di uno scenario globale dirompente in piena trasformazione. LOS EFECTOS DE LA PRESENCIA CHINA EN CHANCAY Coronel Ejercito del Perú Juan Carlos Liendo Lima, 24 de octubre de 2024 El siglo XXI está marcando un cambio profundo en la configuración geopolítica global, donde la hegemonía de Estados Unidos enfrenta una creciente competencia, a nivel conflicto, por parte de China; mientras en Europa la guerra entre Rusia y Ucrania, apoyada por la OTAN, genera una nueva frontera de dimensiones políticas, económicas y demográficas como pocas veces en la historia y la guerra entre Israel y Hamas produce un nuevo tipo de alineamiento político en medio oriente. Este escenario presenta serios e inevitables desafíos para países como Perú, que, debido a su ubicación geográfica y sus recursos naturales, se encuentra en una posición estratégica clave en medio de un orden internacional de carácter disruptivo que altera el equilibrio de poder sobre las costas del Océano Pacífico. Durante décadas, Estados Unidos ha sido el actor dominante en América Latina, asegurando su influencia a través de mecanismos políticos como la expansión de la democracia liberal burguesa, económicos como la expansión del libre mercado capitalista y financiero internacional, sociales en términos de la promoción de una sociedad de clases liberal progresista, y de proyección militar en cuanto su poder de intervención y promoción de acuerdos y alianzas en materia de seguridad. Sin embargo, en los últimos años, su hegemonía ha comenzado a erosionarse debido a diversos factores. Como consecuencia de la imposición de un modelo ideológico político de gobernanza global liberal progresista sobre la región a cargo de Organismos No Gubernamentales (ONGs) y de organismos internacionales, las estructuras de poder en los diferentes países se debilitaron al punto de la inoperancia; los espacios vacíos fueron cubiertos por la corrupción y el crimen organizado, lo cual sumado al desinterés hacia la región, mientras sus prioridades se trasladaban a otros focos de tensión global, como el Sudeste Asiático, Europa del Este y Medio Oriente, generaron las condiciones más ventajosas para que potencias extra continentales emergentes, en particular, la República Popular China, proyecten en forma audaz su presencia en América Latina a través de inversiones masivas en infraestructura y comercio. China ha consolidado su poder global mediante un modelo económico de capitalismo de Estado que combina una fuerte intervención gubernamental sobre los mecanismos de libre mercado. Este modelo desafía el paradigma de que sólo el libre mercado genera riqueza, permitiéndole impulsar una expansión comercial sin precedentes, posicionándose como el principal socio comercial de muchas naciones del mundo y en América Latina, incluido Perú. El puerto de Chancay, construido con una significativa inversión china, es una pieza fundamental en este esquema. Ubicado estratégicamente al norte de Lima, este puerto no solo servirá para mejorar las conexiones logísticas del Perú, sino que también permitirá a China consolidar rutas marítimas que son vitales para su comercio global. El proyecto de Chancay tiene implicaciones más amplias que trascienden el ámbito comercial. Al modificar el sistema de cabotaje que conecta América desde Alaska hasta Tierra del Fuego, y al reconfigurar las rutas marítimas del Pacífico, China cambia la dinámica geopolítica de la región, con efectos económicos y políticos, así como en el crimen transnacional organizado. Este desarrollo reduce la tradicional dependencia del Canal de Panamá, la necesidad vital del control de los pasos marítimos del sur de América y refuerza el papel del Océano Pacífico como un espacio estratégico clave para el comercio mundial durante los próximos siglos. El puerto de Chancay convierte a Perú en un actor crucial dentro de esta nueva configuración global. Su ubicación lo proyecta como un HUB regional para el comercio transcontinental, facilitando no solo las exportaciones mineras y agroindustriales peruanas, sino también las operaciones logísticas a nivel global. Esto coloca a Perú en una posición privilegiada frente a las crecientes tensiones entre China y Estados Unidos. La creación de un puerto de esta magnitud tiene el potencial de desviar el enfoque de los intereses geopolíticos estadounidenses hacia Perú, que ahora se erige como un punto de mayor relevancia estratégica que otras naciones sudamericanas, como Chile, históricamente relevante por su control de los pasos marítimos en el sur del continente. Este cambio, además, refuerza la importancia del Océano Pacífico como epicentro del comercio mundial y espacio de competencia entre las dos principales potencias económicas. La creciente influencia de China no se limita al ámbito comercial. Su papel en el fortalecimiento del bloque BRICS (Brasil, Rusia, India, China y Sudáfrica y otros cinco más) y que hoy, en la cumbre que se desarrolla en Rusia, llegan a cerca 40 representantes de diversos países entre los cuales se encuentran Brasil, Bolivia, Venezuela y Nicaragua, representando en total el 60% del PBI mundial aproximadamente, es un indicio de su intención de crear un nuevo orden económico que desafíe las instituciones financieras dominadas por Occidente, como el FMI y el Banco Mundial. La propuesta de un nuevo sistema financiero global, que incluya el uso de monedas alternativas al dólar por los países del “sur subdesarrollado”, plantea un desafío directo a la estructura del poder económico internacional. Para Perú, que ha mantenido relaciones cercanas con Estados Unidos, este cambio de paradigma puede generar tensiones, pero también oportunidades para diversificar sus alianzas comerciales, políticas y de seguridad. La reconfiguración del orden geopolítico regional traerá sobre el Perú un nuevo tipo de tensiones externas e internas, que tienen el riesgo de desafiar la seguridad nacional principalmente como efecto de las tensiones globales y en particular sobre países de la región que se verán significativamente afectados; al mismo tiempo pueden profundizar el debilitamiento y fraccionamiento del poder político nacional como consecuencia de la expansión del crimen transnacional organizado fortalecido por la corrupción y el empoderamiento de economías ilegales que desafían el poder del Estado. Sobre el escenario descrito, es necesario tener muy en claro la necesidad de contar con Fuerzas Armadas en condiciones de disuadir los peligros y amenazas sobre la seguridad nacional en resguardo de la independencia, soberanía e integridad territorial indispensables para enfrentar los desafíos de los cambios geopolíticos globales en pleno proceso; y por otro lado la necesidad de contar con Fuerzas Policiales renovadas que aseguren el orden público y el orden interno como requisito básico para la convivencia pacífica entre peruanos; simultáneamente el empoderamiento de nuestro sistema de relaciones exteriores frente a un escenario disruptivo global en pleno desarrollo. Articolo in PDF
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OHi Mag Report Geopolitico nr. 24 Cfr.: https://tiburno.tv/2021/10/25/i-kamikaze-dalla-battaglia-del-golfo-di-leyte-a-donatella-rettore/ Nell’ottantesimo anniversario della battaglia, nota per aver rappresentato il primo importante impiego di piloti kamikaze da parte giapponese, molti autori si chiedono quali possano essere gli insegnamenti da acquisire in funzione della disputa che oggi si trascina nel Mar Cinese Meridionale tra le marine cinese e statunitense. Le motivazioni di questa ipotesi nasce dalla consapevolezza che il rischio di una possibile guerra navale con la Cina sia elevato, influenzato com’è dalla vulnerabilità della US Navy in campo cantieristico che vede la capacità cinese ben 230 volte superiore a quella statunitense. Ciò che conta in realtà è provare a ricercare gli aspetti dello scontro navale conosciuto come la battaglia del Golfo di Leyte, avvenuta al largo delle Filippine tra il 23 e il 26 ottobre, che possano essere ricondotti alla sfida odierna tra le due marine. Per molti analisti questo duello è considerato la più grande battaglia navale dell’intera Seconda Guerra Mondiale e forse dell’intera storia moderna. Una ragione in più per spingere alcuni studiosi cinesi a concentrare la loro attenzione nello studio di questo evento avvenuta nelle acque filippine. Una delle ragioni potrebbe essere che, essendo la marina cinese a corto di esperienza di guerra navale su grande scala, la necessità di studiare casi storici venga ritenuta importante. Molta attenzione è stata dedicata allo sbarco anfibio e alla capacità statunitense di saturare le difese giapponesi con attacchi ad alta densità da direzioni diverse, riuscendo a consentire lo sbarco senza subire perdite elevate. I principali elementi emersi dall’analisi del caso da parte degli studiosi cinesi sono stati:
[1] Secondo il Generale Omar Bradley “Amateurs talk strategy. Professionals talk logistics”. Secondo il Generale John J. Pershing “Infantry wins battles, logistics wins wars." [2] Nimitz e MacArthur seppero trovare un compromesso giusto per entrambi teso alla conquista delle Filippine, prima di lanciarsi nella conquista del Giappone; [3] L’ammiraglio William Halsey era caduto nel tranello teso dai giapponesi e si era diretto a nord alla ricerca delle porterei giapponesi (esca) mettendo in grave rischio le forze rimaste al largo di Leyte. Famoso il messaggio inviato da Nimitz a Halsey, per richiamarlo a sud, che oggi diremmo essere virale: : "Dov'è la Task Force 34... Il mondo si chiede". [4] Importante ricordare la famosa frase di Orazio Nelson che ricordava ai propri ufficiali di ingaggiare il nemico da distanza ravvicinata, cosa questa che non sarebbe mai stata vista come qualcosa di negativo anche in caso di perdita della propria unità navale. Articolo in PDF
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XIV Trans-Regional Sea Power SymposiumXIV Trans-Regional Sea Power Symposium (8-10 Ottobre 2024)25/10/2024 OHi Mag Report Geopolitico nr. 23 Angelica Gimbo, Costanza Fusco e Francesca Marcucci Dall’8 al 10 Ottobre la suggestiva cornice dell’Arsenale della Marina Militare Italiana, un antico complesso di cantieri navali fondato intorno al 1100 a Venezia, ha ospitato il XIV Trans Regional Seapower Symposium, un forum atteso a livello mondiale, aperto ed inclusivo, dove il dialogo, il dibattito e la condivisione collegano tra loro mondi diversi: 300 delegazioni di Marine alleate e partner, attori del mondo dell’industria, delle istituzioni pubbliche, organizzazioni internazionali, dei cluster marittimi e accademici, tutti legati da un dialogo trasversale dedicato alle molteplici declinazioni della marittimità. La cerimonia di inaugurazione si è svolta presso la Sala Squadratori dell’Arsenale ed è stata aperta dall’intervento del sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, seguito dal Ministro della Difesa Guido Crosetto e del Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, l’Ammiraglio di squadra Enrico Credendino. Durante le tre giornate del Simposio, hanno preso la parola esponenti di spicco delle Marine Militari del mondo, tra i quali, il Capo di Stato Maggiore della Marine Nationale (Amm. Nicolas Vaujour), il Capo di Stato Maggiore della Armada (Amm. Antonio Piñeiro Sánchez), il Capo delle Operazioni Navali della US Navy (Ammiraglio Lisa M. Franchetti). La quattordicesima edizione del Simposio, “A Spotlight on the depths: the underwater as the new frontier for humankind”, ha definito come obiettivo precipuo quello di mettere in luce attraverso il dialogo tra gli attori coinvolti come l’ambiente subacqueo, prossima frontiera per l’umanità, costituisca uno spazio in cui si concentrano dinamiche complesse, (ancora) non chiaramente definito e soggetto alle attenzioni di entità statali. Riconoscendo la necessità a livello globale di esplorare i fondali marini, sia per le risorse naturali sia per le infrastrutture strategiche che vi si trovano, la tre giorni di Venezia ha messo in luce l’importanza di un impegno comune, anche attraverso l’elaborazione di regolamenti condivisi, per un uso pacifico, legittimo e sostenibile della dimensione subacquea. Dai panel che si sono succeduti nell’arco delle tre giornate è emerso con chiarezza il ruolo fondamentale che il dominio underwater detiene per la società internazionale e la conseguente necessità di creare delle strategie per la cooperazione tra partner al fine di garantire la sicurezza degli interessi (deep sea mining, infrastrutture critiche, tutela degli ecosistemi marini) che vi si concentrano, contro le minacce rappresentate tanto da catastrofi naturali quanto dall’azione umana. Risulta quindi essenziale potenziare il livello di Underwater Domain Awareness tramite la sorveglianza e la condivisione delle informazioni sulla situazione e delle lessons learnt. Il Simposio è riuscito a stimolare preziosi contributi in merito alle principali opportunità e sfide relative all' esplorazione del mondo sottomarino: il primo panel ha visto grandi esperti del settore analizzare il mondo sottostante alla superficie del mare, inteso come ecosistema diversificato ed eterogeneo, dal punto di vista securitario e ambientale; il secondo ha elaborato riflessioni sullo stato dell'arte della tecnologia subacquea, comprensivo dei sistemi applicati dell'intelligenza artificiale, informatica quantistica e big data; il terzo, ha raccordato gli aspetti normativi e di governance, affinchè generino un necessario quadro giuridico condiviso per regolamentare il pacifico e legittimo uso di questo futuro dominio securitario. Per quanto concerne il coinvolgimento della Marina Militare italiana, durante il convegno è stata posta speciale attenzione al Polo Nazionale della dimensione Subacquea (PNS), inaugurato nel 2023 presso il comprensorio di San Bartolomeo (SP) di La Spezia con l’obiettivo di promuovere e coordinare la ricerca e la cooperazione fra gli enti nazionali pubblici e privati operanti nell’ambito dell’underwater. Il PNS ambisce a configurarsi come un modello innovativo di polo tecnologico a testimonianza del “Sistema-Paese", allo scopo di aggregare le eccellenze nazionali operanti nell'innovazione subacquea. L’Italia continua infatti a predisporsi in prima linea sull’esplorazione di questo settore, avendo proposto di istituire a La Spezia un Centro d'Eccellenza Subacquea della NATO per far leva sull'ecosistema della subacquea esistente, avvalendosi della presenza del Centro NATO per la Ricerca e Sperimentazione Marittima (CMRE), dell'iniziativa NATO DIANA (Defense Investment Accelerator for the North Atlantic) di cui è parte il CSSN (Centro di Supporto e Sperimentazione Navale). Tale dimensione racchiude aree di interesse che spaziano da giacimenti di risorse naturali, a cavi di comunicazione, gasdotti, fonti energetiche sostenibili, biotecnologie, e agricoltura sottomarina; la configurazione poliedrica dei fondali marini rende problematica la loro protezione, specialmente laddove manchino regolamentazioni precise. In quest’ottica, il Transregional Seapower Symposium ha abbracciato la complessità della dimensione sottomarina, fornendo punti di vista diversificati e originali, stimolando la sinergia tra tre macroaree di interesse: sicurezza e difesa, sviluppo tecnologico, e governance. Target principale è stato quello di aumentare il coordinamento operativo tra i diversi attori e tra le aree, migliorando la resilienza strategica ed economica dei fondali marini. Eventi recenti, come il danneggiamento deliberato del gasdotto North Stream nel Settembre 2022, sono esemplificativi di come la dimensione sottomarina sia rimasta ampiamente esposta ad attacchi fisici e cibernetici; ne consegue che il crescente livello di ostica incertezza nella comunità internazionale abbia reso fondamentale la condivisione di idee e valori comuni al riguardo. L'ambiente sottomarino appare oggi come una dimensione ancora non chiaramente definita, la cui esplorazione è divenuta ormai una necessità ineludibile, considerato che le acque coprono il 70% della superficie del pianeta e che la dimensione sottomarina ospita infrastrutture strategiche, un patrimonio archeologico inestimabile, riserve energetiche strategiche tra cui i noduli polimetallici. La sempre maggiore rilevanza strategica dello spazio subacqueo è rappresentata dal numero di Stati investitori nelle proprie capacità sottomarine: su 162 Paesi con accesso al mare, 43 posseggono almeno un sottomarino; il valore economico del mercato degli Unmanned Underwater Vehicles (UUV) si attesta sui 3 miliardi di dollari, con una crescita esponenziale prevista entro il prossimo decennio. La competizione emergente del settore che potremmo rinominare “nuova corsa all'oro", in cui gli attori statali cercano di garantirsi maggiori accessi alle risorse strategiche, prevede copiosi investimenti per sviluppare le tecnologie necessarie ad assicurare il controllo e la sorveglianza dei fondali. I dialoghi condivisi a Venezia hanno evidenziato l’importanza della cooperazione sinergica tra gli attori coinvolti per quanto concerne la condivisione di informazioni e lo sviluppo di tecnologie a duplice uso. Una più acuta interoperabilità comporterebbe l’acquisizione congiunta di capacità militari, che diminuirebbe i costi di ricerca generando nuove catene produttive, e una sempre più sviluppata Maritime Domain Awareness (MDA), traducibile come la consapevolezza olistica di ciò che potrebbe inficiare la sicurezza sottomarina. Tali sviluppi sarebbero spendibili nello sviluppo di droni e sistemi autonomi: infatti, attualmente le operazioni di sminamento, ricognizione, aggiustamento di cavi e gasdotti, controllo dell’habitat sottomarino sono spesso gestite attraverso strumenti pilotati a distanza (Remotely Operated Vehicles, ROVs) o completamente autonomi (Autonomous Underwater Vehicles, AUVs); livelli più alti di cooperazione in questo settore risultano pertanto essere fondamentali per rendere la dimensione marina più sicura, protetta e resiliente. In un contesto unico ed esemplificativo a livello mondiale come quello offerto dall'inconfondibile città di Venezia, le Marine militari, il mondo accademico, l'industria e tutti gli attori presenti hanno avuto nuovamente modo di tesaurizzare una proficua opportunità di cooperazione congiunta per rafforzare legami e interessi reciproci, nonché di condividere visioni comuni e condivise per un uso sicuro, protetto e sostenibile della dimensione sottomarina. © RIPRODUZIONE RISERVATA
OHi Mag Report Geopolitico nr. 22 Spesso oggi si parla di ordine mondiale, nuovo ordine mondiale, sistema basato sulle regole, ma spesso ci si dimentica che un ordine mondiale presuppone un dialogo tra le potenze (stati) che riescano a mettere in perfetta relazione tra loro gli interessi di ciascuno. Ugualmente quando si parla di regole, queste si legano strettamente a quando indicato dalle Nazioni Unite, e non alla volontà di una singola potenza, per quanto essa sia superiore alle altre. Per i realisti la società è anarchica e quindi è indispensabile trovare l’accordo, senza il quale il caos si perpetua. L’immagine di fronte ai nostri occhi ci mostra proprio un mondo in cui il caos domina le relazioni tra gli stati in molte parti del globo. Un tentativo di trovare le soluzioni ai problemi che dovremmo affrontare nel nostro futuro è rappresentato dal documento uscito dal summit tenutosi alla Nazioni Unite nel settembre scorso il cui titolo “The Pact for the Future, global digital compact, and declaration on future generations” ci richiama ad una condivisione di responsabilità. In un momento di grande difficoltà e di elevati rischi esistenziali l’ONU ci chiama ad agire per proteggere i bisogni e gli interessi delle generazioni di oggi e di domani e non precipitare in un futuro di sofferenza. Gli obiettivi della comunità mondiale dovrebbero essere concentrati verso la ricerca di un mondo “… più sicuro, pacifico, giusto, equo, inclusivo, sostenibile e prospero”. Soprattutto è necessario per l’ONU agire in maniera coordinata, solidale e collettiva in quanto le sfide sono troppo elevate per ogni singolo paese. Il potere degli stati deve essere messo al servizio della comunità internazionale. Il diritto deve rappresentare la chiave dei rapporti internazionali unitamente al rispetto per la Carta delle Nazioni Unite e i suoi scopi e principi. Da ciò deriva la necessità di concentrare gli sforzi su sviluppo sostenibile, pace, sicurezza e diritti umani (considerati universali, indivisibili, interdipendenti e interrelati). La povertà di vaste fasce di popolazione rappresenta la sfida globale e la sua “… eliminazione è un requisito indispensabile per lo sviluppo sostenibile”. La sfida che ci è posta dal cambiamento climatico, con effetti devastanti sulle popolazioni più deboli, e il contenimento dei conflitti soprattutto con un ritrovato uso della diplomazia sono priorità irrinunciabili. È necessario liberare gli esseri umani dalla paura, dall’ingiustizia, dalla disuguaglianza e dal bisogno. Per poter perseguire questi obiettivi l’ONU deve essere rafforzato, sostenuto e finanziato stabilmente. I termini usati nella dichiarazione sono naturalmente condivisibili da tutti, ma si è evitato accuratamente di alimentare tensioni su temi come, ad esempio, il multipolarismo, la sovranità statuale e le regole della corte penale internazionale, temi oggi non condivisi da tutti gli stati. È evidente quindi che tra le affermazioni di principio del documento delle Nazioni Unite e la realtà in cui viviamo vi siano grandi differenze. Non sarebbe difficile adeguarsi ai principi esposti se le società fossero permeate di onestà, di volontà di rispettare i valori, se giustizia e rispetto fossero messi al primo posto anche nei rapporti internazionali. Se le società sono viste come disoneste e ingiuste si fa strada la convinzione che esistano complotti tesi a sfruttare le vulnerabilità dei più deboli. Al contrario se la società risponde a modelli di vita giusti e rispettosi le persone si comportano di conseguenza e acquisiscono modelli di vita virtuosi che determinano vantaggi esistenziali. Per vantaggio esistenziale si intende una positività per l’esistenza individuale, un miglioramento della qualità della vita, ad esempio, il rispetto del codice della strada. Qualsiasi forma sociale si identifica principalmente sul rispetto delle regole comuni pur tutelando, nei limiti del danno sociale, i diritti fondamentali dell'individuo. Questo è un altro tema divisivo sia internamente sia esternamente gli stati. A chi va la priorità: alla collettività o all’individuo, allo stato o ai privati, a un’economia guidata da regole o libera di agire in base a una concorrenza sfrenata. Se il singolo, o una minoranza, ambiscono ad un diritto fondamentale a parer loro non riconosciuto, devono sostenere una causa sociale avanzando le prove che il diritto fondamentale a loro negato non sia giustificato dal beneficio collettivo. Anche in questo caso i diritti delle minoranze vanno assolutamente rispettati, senza con questo diventare un alibi per rimuovere regole di vita essenziali alla sopravvivenza della collettività. La cancel culture, la distruzione della storia o la sua riscrittura portano al loro interno forme di violenza verso coloro che in quella cultura si riconoscono. Detto questo una qualsiasi causa sociale avrebbe senso di esistere, ma va attentamente regolata al fine che la degenerazione verso forme di violenza come colpi di stato, conflitti armati, e destabilizzazioni socio economiche della società coinvolta non prendano il sopravvento. Ma cosa sono le prove, informazioni, fatti e omissioni ampiamente verificabili sotto tutte le angolazioni narrative e non solo sul piano strettamente personale o di minoranza e dove reperirli e come usarli. Percezioni, impressioni, sentito dire, studi scientifici non verificati a livello di comunità, fonti di dubbia esperienza e fine, logiche che non tengono conto degli equilibri socio politici internazionali, delle risorse e dei dati effettivamente riscontrabili sul piano scientifico, non possono essere riconosciute come prove. In campo militare, un "evento" nello spazio temporale viene identificato con una sequenza alfanumerica ben definita. Il gruppo data orario (time/date group), identifica in ambito NATO la data di spedizione di un messaggio o il momento in cui un fatto è avvenuto. Così anche una verità è tale in quel preciso punto temporale identificabile nel "gruppo, data, ora" in cui si è svolto il fatto, fisico o informatico che sia. Da quel momento tutto potrà assumere una valenza completamente diversa. La libera interpretazione umana e la ricontestualizzazione dell'evento stesso in una molteplicità di scenari diversi, faranno sì che una verità possa essere trasformata in qualcosa di diverso seppur ne conservi alcuni tratti realistici. Tuttavia un sano sospettare su tutto ciò che avviene nel mondo che ci circonda, rientra nella normale concezione umana e nello stato di diritto della libertà di espressione. Non a caso il primo emendamento della Costituzione statunitense o Carta dei diritti (Bill of rights) parla proprio della libertà di parola che non è sottoposta ad alcun vincolo nel senso che essa è considerata pre- esistente alla nascita del Congresso che quindi non ha la potestà di legiferare contro di essa. Tutto ciò non deve però portare a una dialettica violenta seguita da disordinate e improduttive rappresaglie di piazza, fisiche e/o digitali che possono sostituirsi a una normale ed efficace procedura legislativa. Violenza diffusa, tensioni politiche, e mancanza di libertà di esprimere le proprie idee, unitamente a problemi economici alimentano l'emigrazione verso comunità sociali ritenute più vicine al proprio ideale di vita e dove la speranza per le giovani generazioni possano essere assicurate. Il lamento sulla piazza digitale dei social non ha quell'impatto sulle masse e sui poteri che potrebbe sembrare, viceversa sono il terreno ideale per momentanee diatribe, insignificanti comportamenti sociali, sostanziose perdite di tempo sottratte alla propria vita, alla risoluzione dei problemi, a una sana attività politica soprattutto a livello locale. Ma sarebbe sbagliato impedire che ciò avvenga, sebbene esista il pericolo di subire forme di ipnosi, prigioni all'interno delle proprie ideologie. La cultura di massa e quella sensazione di libertà che offrono i media contemporanei, creano l'ambiente ideale per soggiogare coloro che credono di dare fastidio ai grandi meccanismi di potere che a loro volta offrono agli stessi il vantaggio di appartenenza: lo stile di vita sopra la media globale, lauti pasti, accessori di ogni genere, assistenza nel fine vita e sicurezza. In ambito marinaro si dice che all’equipaggio debba essere comunque assicurata la possibilità di esprimere le proprie idee attraverso il “mugugno” al fine di prevenire che le ingiustizie portino all’ammutinamento, cosa questa che sovvertirebbe l’ordine e la disciplina di bordo. Dissentire quindi può essere positivo a meno che non sfoci in anarchia e lotta senza quartiere. Le masse possono avere così la possibilità di sfogare la propria rabbia, ma il suo contenimento può avvenire solo se i principi di massima esposti dalle Nazioni Unite saranno assicurati. In sostanza non potremo mai vivere in un mondo perfetto, ma ciò non significa che ci si debba sforzare di puntare al meglio per tutti gli esseri viventi. L’uso dei mezzi informatici può quindi diventare un fattore di potenza o una vulnerabilità. Dipende solo dall’uso che se ne fa e dalle regole che gli individui decidono di seguire. © RIPRODUZIONE RISERVATA
OHi Mag Report Geopolitico nr. 20 The strategic guide issued by the Chief of Naval Operation of the US Navy Admiral Lisa Franchetti (equivalent to our Chief of Naval Staff) was released a few days ago. The new Navigation Plan aims to further develop the combat capability of the US Navy. The Plan envisages that the suggested changes will be achieved by 2027, a date indicated as the possible start of a hot conflict with the Chinese Navy. In fact, the proposed Plan represents a strategic indication on future actions to be undertaken to optimize the effectiveness of the Navy as a whole and therefore has implications and influences that the other NATO navies cannot overlook. The last Navigation Plan was published in 2022 and represented the desire of the then CNO Admiral Mike Gilday to communicate the objectives that the US Navy should pursue at a time of great changes represented above all by the beginning of the war in Ukraine, but also of progressive tension with China. Leggi l'articolo
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OHi Mag Report Geopolitico nr. 18 Due giorni fa (20 agosto 2024) è uscito su GPF Geopolitical Future (https://geopoliticalfutures.com/update-on-the- war-in-ukraine/) un saggio a firma di George Friedman sul tema legato alla guerra in Ucraina. Sarebbe un aggiornamento così come dal titolo Update on war in Ukraine che alterna verità e omissioni importanti. Abbiamo pensato di presentarlo e di confutare o meno le idee espresse. Friedman: «Due anni e mezzo fa, la Russia invase l’Ucraina, ex parte dell’Impero russo e dell’Unione Sovietica. Il motivo dell’invasione era geostrategico: Mosca temeva giustamente che una potenza ostile potesse invaderla da ovest attraverso l’Ucraina e da sud. Questo fu il caso delle invasioni di Napoleone e Hitler. Senza profondità strategica, la Russia non ha ostacoli naturali a proteggerla. Per la Russia, il fatto che nessuno stesse pianificando un’invasione del genere significava poco. La geopolitica richiede di prepararsi a difendersi da un nemico prima che il nemico pianifichi di attaccare. Dopotutto, Mosca era dolorosamente consapevole che le forze filo-occidentali avevano sostenuto una rivolta che aveva spodestato un presidente filo-russo diversi anni prima. Il sostegno dell’Occidente si basava sul timore che la Russia invadesse l’Ucraina e, col tempo, il resto dell’Europa. I timori di nessuna delle due parti erano irrazionali.» Leggi l'articolo
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OHi Mag Report Geopolitico nr. 16 Secondo British Petroleum entro il 2050 la domanda di petrolio sarà dimezzata, utilizzata principalmente per l'industria della plastica e del tessile. Spencer Dale, capo economista di BP, incoraggia addirittura una transizione energetica più veloce per contenere gli investimenti (1). E poi c'è Warren Buffet, uno dei più influenti investitori di tutti i tempi (Berkshire Hathaway con 180 miliardi di liquidità) a investire su BYD(2), sottolineando comunque la difficoltà per gli investors nel puntare su un settore in rapida crescita, ma altrettanto rischioso poiché non tutti gli attori in gioco ne usciranno vincitori, causa la forte competitività tra le case automobilistiche. Ma se ci si sente ancora disorientati, le compagnie assicuratrici sono un'efficiente cartina di tornasole anche in questo nuovo ambito. L'Economic Insight di Swiss Re Institute, ha dichiarato che le vendite globali di veicoli elettrici crescono talmente rapidamente da far emergere addirittura una nuova serie di rischi per gli assicuratori e per le loro RC auto (3). Questi sono i dati più attendibili che confermano l'impossibilità di un cambio di direzione del nuovo percorso energetico. Ormai i combustibili fossili sono condannati da molteplici fattori che non sono solo quelli dell'ecosostenibilità. In gioco c'è il futuro della finanza da cui tutti dipendiamo e degli equilibri geopolitici che potrebbero trarne nuove opportunità di pace e cooperazione con gli stati che oggi estraggono petrolio. © RIPRODUZIONE RISERVATA Fonti:
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