OHi Mag Report Geopolitico nr. 31 Questo articolo parte da alcune delle nozioni espresse da Mario Coletti - esperto e docente di Intelligenza Artificiale allo IULM di Milano e imprenditore nel digitale a Londra - durante la conferenza "NOI e l'intelligenza artificiale" Elaborazione CESMAR di una foto di Markus Spiske L'intelligenza artificiale si manifesta su due principali attitudini: quella dell'elaborazione visiva e verbale dei contenuti, e quella della capacità predittiva. La nostra intelligenza si basa invece su ciò che vediamo, generando di conseguenza lo stato di piacere o di paura, sulla capacità di comunicare tra di noi e sulla nostra capacità di prevedere, per quanto possibile, il futuro a breve o medio termine. Attualmente la nostra specie si dimostra essere superiore proprio per quest'ultima attitudine che pare essere condivisa anche con altri mammiferi, come le balene e gli elefanti. Questo solo per ora in quanto l'AI sta evolvendo molto più velocemente di quanto l'uomo non abbia fatto nella sua intera esistenza. Siamo sempre più concentrati sul presente (e status quo), e distratti da una molteplicità di forme di comunicazione soprattutto visive. Ecco perchè abbiamo voluto introdurre una forma di intelligenza alternativa, proprio per colmare questo gap al fine di continuare a essere più lungimiranti e, di conseguenza, longevi. Questo comporta alcuni rischi e proprio per questo molte persone guardano con diffidenza quello che potrebbe diventare un competitor piuttosto che un alleato. Ma il concetto di AI non è nato recentemente, viceversa appartiene a un percorso storico iniziato nel 1500 A.C. con la scrittura greca. Ma il vero precursore della classificazione di AI è stato il matematico britannico Alan Turing, che riuscì a decifrare il codice Enigma, un dispositivo elettromeccanico utilizzato dalle forze armate tedesche durante il periodo nazista per cifrare e decifrare informazioni di guerra. Fu ancora lui a coniare il concetto di "Computing Machinery and Intelligence" che creò le basi dei moderni computer e della ricerca sull'intelligenza artificiale. Sono sempre state le necessità di strategia a creare i presupposti per i quali oggi utilizziamo gli stessi strumenti per condividere informazioni in tempo reale con miliardi di persone. Si potrebbe quindi insinuare con minimo scarto di errore che il progresso tecnologico che tutti utilizziamo oggi ha avuto origini e influenze geopolitiche e militari, fino ad arrivare allo scomodo presupposto che per l’evoluzione umana in occidente sia basata sulle guerre, e sul loro ruolo più che determinante nei nostri stili di vita. Se dovessimo semplificare questo concetto e dare una connotazione negativa al progresso potremmo riferirci ad alcuni autori che ritengono che: tutta la tecnologia che utilizziamo quotidianamente è bagnata di sangue, anche la più semplice calcolatrice o il primo Macintosh da cui ci siamo affacciati al mondo, tutti derivati e sviluppati da un presupposto geopolitico, un primordiale oggetto dotato di un'"intelligenza militare". Se il tempo intercorso tra lo sviluppo della rivoluzione industriale e i cambiamenti sociali ad essa connessi sono stati pari a circa due secoli, oggi corriamo il rischio che l'AI ci metta nelle condizioni di introdurci in un nuovo paradigma della nostra evoluzione in meno di vent’anni. Questa accelerazione degli eventi determina di conseguenza la percezione di inadeguatezza e paura da una parte, e ammirazione e speranza dall'altra, generando nuove spaccature sociali. Un po' quello che avvenne quando l'era industriale fece migrare il contadino dalla campagna verso le città dove erano collocate le fabbriche, la zappa verso il trattore, e il cavallo verso l'automobile. E oggi sappiamo quanto importanti siano le fabbriche, i trattori e le automobili nella vita di tutti i giorni. “Ma l'AI potrebbe essere positiva se riuscisse valorizzare il capitale umano e sociale” afferma Mario Coletti e aggiunge: “il nostro cellulare ha sostituito il nostro portafoglio e milioni di persone condividono oggi le proprie informazioni personali, mentre nessuno si fiderebbe di dare i propri documenti al proprio vicino di casa”. Le nuove generazioni stanno migrando verso nuovi linguaggi molto più velocemente di come i nostri padri siano passati dalla zappa al trattore, e dimenticheranno ben presto l'uso della scrittura preferendo immagini e audio per comunicare. E questo ha già generato il 28% di analfabetismo funzionale in Italia, persone capaci di leggere e scrivere, ma non di comprendere esattamente il contenuto di un testo. Quello che ancora ci fa primeggiare sull'intelligenza artificiale è la creatività, il senso innato della nostra specie di associare secondo un inedito ordine immagini, suoni e parole. “Per questo motivo la scuola dovrebbe avere un approccio meno accademico e più creativo nei confronti delle future generazioni, dovrebbe allenare il giovane a essere differente dalla macchina e difficilmente sostituibile, portando sempre più verso un'intelligenza disciplinare, sintetica, creativa, inclusiva ed etica. Solo così riusciremo ad avere un ruolo dominante nel futuro che è già alle porte. E solo se riusciremo ad accettare le diversità, etniche e di genere, riusciremo a esprimerci con più forza all'interno di quello che è l'era del transumanesimo. “Quello che proporrei è semplicemente una maggiore fiducia nel progresso”, Kodak non voleva credere che in futuro dei pixel avrebbero sostituito la pellicola fotografica. Oggi il nome Kodak è quasi sconosciuto alle nuove generazioni lasciando campo libero ad aziende come Intel. E in questo gli americani - seppur in tutte le loro contraddizioni - hanno saputo liberare capacità di sviluppo non eguagliabili proprio alle persone che credevano che le cose si sarebbero potute cambiare al fine di migliorare il futuro (a scanso di equivoci o danni collaterali). La realtà di ciò è davanti ai nostri occhi: IBM, che ha introdotto il modo di gestire grandi moli di informazioni a livello computazionale e statistico, e Apple, che con Macintosh ha portato tutto questo ad un utilizzo democratico su larga scala, sono solo alcuni esempi di "fiducia nel progresso" che però, secondo il nostro personale punta di vista, non deve essere paragonata a una fede cieca su quello che ancora non esiste. Visionari quasi sempre demonizzati le cui invenzioni sono oggi utilizzate da miliardi di persone che mai e poi mai vi saprebbero rinunciare. Oggi si parla forse negativamente di Tesla, BYD, Optimus, SpaceX; ma domani tutto questo rappresenterà la normalità per milioni di persone che punteranno il dito verso altri "demoni". Ritornando all'intelligenza artificiale, esiste un'ipotesi concreta che questa, dopo averci superato, ci possa in qualche modo dominare o addirittura portarci all'estinzione? Anche questo potrebbe rientrare in un normale processo evolutivo della nostra specie, che dal carbonio sta migrando verso il silicio oppure che possa addirittura sostituirci a livello profondo, quello della coscienza. Nel nostro pianeta cose simili sono già accadute, basti pensare ai dinosauri per esempio. E su scala planetaria questa supposizione è più che ben storicizzata da una molteplicità di eventi. E quando l'AI sarà in grado di individuare i problemi prima dell'uomo - quelli ad esempio correlati alla sopravvivenza – in questo caso questo dimostrerà che l'AI ci ha superato, decretando il nostro inesorabile declino. Anche in questo possiamo far rientrare l'analogismo geopolitico; è una mera questione di potere, prevaricazione, e sopravvivenza che potrebbe portare a un ipotetico conflitto di interessi su larga scala. Di massima l'uomo ha sempre saputo fronteggiare le sue sciagure: è nella sua indole creativa di riuscire ad avere la meglio sui suoi errori e porre rimedio agli imprevisti negativi. Oggi tutto questo ha un costo e nulla è così scontato come in passato. Gli errori – nati da cieca ricerca di potere e dominio – oggi si pagano e forse non è la creatività che serve quanto l’umiltà di comprendere i limiti della nostra specie. Ma cos'è la creatività? Creare un virus per poi creare l'antidoto è forse la forma più complessa di creatività? Quale il senso di distruggere per poter ricreare. Una dotazione esclusivamente umana decifrabile nell'ambito della parodia, ma che comunque ha portato la nostra specie a evolvere così in fretta rispetto alle altre forme di vita, sicuramente meno "schizofreniche" della nostra. E' forse la pazzia stessa una forma di creatività, lungimiranza e successo a breve termine? O siamo forse una specie predestinati all'insuccesso. © RIPRODUZIONE RISERVATA Leggi l'articolo
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