OHi Mag Report Geopolitico nr. 28 Ercole e Iolao, nipote e amico di Ercole, e l’Hydra di Lerna. Da un vaso greco https://www.meisterdrucke.it/stampe-d-arte/English-School/1043750/Ercole-e-Iolao-e-l%27Idra-di-Lerna- %28litografia%29.html Ci è capitato di leggere il saggio “La logica della guerra nella Grecia antica. Contenuti, forme, contraddizioni”[1], un testo che analizza la guerra e i conflitti dell’antichità alla luce degli eventi bellici di oggi - ai confini orientali d’Europa e nel Vicino Oriente - cercando di trovare stimoli interpretativi e idee. L’autore, se da un lato affronta un tema complesso come la guerra da esperto del mondo greco, dall’altro cerca di mantenersi al di sopra degli eventi che racconta, valutandoli senza giudicarli a priori. Molte le domande a cui cerca di dare risposta attraverso una ricca analisi di testi greci. Uno studio lontano nel tempo, ma, proprio per questo, libero da condizionamenti e, soprattutto, capace di andare all’essenza dei fatti. Oggi la riscoperta dei classici è divenuta fondamentale, anche nella formazione dei giovani Ufficiali, ai quali non si chiede più di applicare acriticamente sul campo risposte pre-pianificate, ma di acquisire la capacità di individuare la miglior soluzione per la situazione peggiore che possa verificarsi. Ed è apparso proprio in questi giorni sul sito del CIMSEC (Center for International Maritime Security) un interessante articolo di Jack Tribolet, “The Theoretical Edge: Why Junior Officers Should Study Military Classics”[2], dove si invitano appunto i giovani Ufficiali a studiare i classici. L’autore del citato articolo non è il solo in questa importante riscoperta dei classici nello studio della guerra. Per molti anni la US Navy ha studiato attentamente la guerra del Peloponneso, perché rappresenta uno dei pochi casi in cui una Potenza marittima (Atene) sia stata sconfitta da una Potenza continentale (Sparta). Al tempo della Guerra Fredda gli USA potevano ovviamente essere assimilati ad Atene e la NATO alla Lega di Delo, mentre l’Unione Sovietica giocava la parte di Sparta e il Patto di Varsavia quella della Lega Peloponnesiaca. Forse fu proprio il desiderio di evitare una sconfitta degli USA nel loro confronto con l’URSS che spinse Donald Kagan a studiare in profondità questa guerra così complessa e interessante, trattata nel prezioso “The Peloponnesian War”; di Kagan vanno inoltre ricordati anche gli stimolanti “On the Origins of War. And the Preservation of Peace” e “The Western Heritage. Since 1300”. La fama di Tucidide, che della guerra del Peloponneso è stato il principale studioso (e non tutti sanno che vi ha partecipato al Comando di un’unità navale), ha indotto Graham Allison a utilizzare alcune sue valutazioni nel suo saggio del 2017 “Destined for War: Can America and China Escape Thucydides's Trap?” (che contiene in realtà concetti già da lui espressi in precedenza in un suo articolo del 2012 per il Financial Times). Allison utilizza il termine “trappola di Tucidide” nel descrivere il rapporto tra Cina e USA, e non è casuale che lo stesso Xi Jinping lo abbia ripreso in un discorso del 2013, sottolineando come si dovesse “… tutti lavorare insieme per evitare scenari evocati da Tucidide”. La “trappola di Tucidide” si riferisce alla rapida crescita dell’egemonia territoriale di Atene (Cina, ai giorni nostri), avvertita come una minaccia dalla Potenza consolidata di Sparta (USA); il timore di quest’ultima di perdere la sua posizione acquisita determinò gli eventi che condussero alla guerra del Peloponneso. Ma torniamo ora allo stimolante testo del prof. Cozzo[3]. Il libro si pone l’obiettivo di rispondere a tre domande: come nasce e si sviluppa una guerra; quali sono le sue dinamiche; e qual è il ruolo degli storici nel raccontarla. Nel primo punto vengono poste in evidenza le contraddizioni sulle cause che portano allo scoppio delle ostilità:
Nel secondo punto, quello relativo alle dinamiche, l’autore analizza la retorica, l’ideologia, la propaganda, l’importanza del morale, le sofferenze dei civili. RETORICA. Per molti anni la guerra è stata considerata un confronto nobile, romantico, sportivo, in cui le regole, ben sintetizzate dallo storico Josiah Ober[6], dovevano essere rispettate, uno scontro tra pari che, però, talvolta andava oltre i limiti autoimposti. Oggi non è più così: a titolo di esempio, i civili soffrono perdite molto superiori al passato. Ma di questa tradizione sono rimaste le virtù militari, l’onore, l’eroismo, l’elogio funebre e i sacrari (retorica patriottica), tutti aspetti che, secondo Cozzo, possono diventare forme di sfruttamento della morte in battaglia per fini di natura politica. Dalla retorica si passa facilmente all’IDEOLOGIA, che, nel passato, era utile a sostenere lo sforzo bellico. Ma allora il ruolo dei capi militari e politici era coincidente, quindi la sconfitta diventava evidente con la morte del capo. Oggi non è più così: una delle conseguenze più evidenti e drammatiche del pericolo di una sconfitta, infatti, è che i leader politici pagherebbero un prezzo assai elevato per essa e devono quindi puntare a un’ideologia protettiva della propria persona e che possa giustificare i sacrifici imposti alla propria Nazione. L’ideologia è quindi diventata una forma di “salvagente”, che tende a giustificare le azioni anche a scapito di errori di valutazione strategica. Come afferma giustamente il prof. Alberto Camerotto dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, “… quando si comincia una guerra non si può più tornare indietro”; sarebbe quindi indispensabile riflettere bene sulle conseguenze di interventi mal pianificati che rischiano di diventare ingestibili e, soprattutto, costosi in termini di vite umane, causando perdite che potrebbero apparire inutili e, conseguentemente, private di dignità. D’altra parte, la guerra rimane un’attività imprevedibile e non sempre è possibile trovare alternative. I Corinzi hanno lasciato questa massima relativamente alla guerra: “Essa si fa soggetto e prende il sopravvento sull’uomo”; come l’Idra di Lerna, che, secondo la visione di Erasmo da Rotterdam, si autogenera, si trasforma e si rafforza dal dolore che crea[7]. Ma, soprattutto, essa porta gli uomini, come ci dice Voltaire, a ricercare la totale distruzione del nemico[8], e a non accontentarsi, quindi, della sola vittoria o dell’umiliazione dell’avversario. Per quanto attiene la PROPAGANDA, Cozzo pone in evidenza come in tale contesto le diverse verità scompaiano e ne rimanga solo una: quella che gli autori del comunicato o della affermazione desiderano. I morti non sono tutti uguali: i morti della parte “giusta” contano di più, i morti del nemico non meritano alcun rispetto, perché sono dalla parte sbagliata della storia. Talvolta la verità - quella vera - viene negata, l’evidenza scompare in una nebbia che porta all’oblio. Un unico fine: far dimenticare i propri errori, cancellare le colpe dalla propria gente e accusare l’avversario di tutte le possibili nefandezze. In fondo, la storia viene sempre scritta dai vincitori, quindi chi domina la comunicazione può dire qualsiasi cosa senza doverne rispondere in seguito. Analizzando l’IMPORTANZA DEL MORALE, l’autore sottolinea come in guerra diventi essenziale non solo mantenere alto il morale delle proprie truppe, ma contemporaneamente ricercare ogni occasione per prostrare quello dei nemici, che devono essere impauriti, minacciati, ingiuriati e provocati. Infine, in merito alle VIOLENZE SULLA POPOLAZIONE CIVILE, Cozzo rileva come evacuazioni, asservimenti, stupri siano una costante della guerra. Ciò che è cambiato oggi, rispetto al passato, è una maggior attenzione alla vita dei non belligeranti, che ha prodotto un corpus di leggi tese a proteggere le comunità. Ciononostante, il numero dei morti civili nelle guerre odierne è percentualmente molto superiore rispetto al passato, con valori di massima sempre superiori al 50% dei caduti, e spesso vicine al 90%. Trattando quindi il ruolo degli storici nel raccontare la guerra, l’autore analizza quello di tre somme figure del passato, Tucidide, Erodoto e Senofonte, rilevando come essi abbiano sempre inteso raccontare le grandi imprese di guerra nella loro complessità, parlando di eroismo e di fatti, elaborando testimonianze e avendo una precisa conoscenza politica del contesto. Cozzo ci invita quindi a guardare alle verità, non a un’unica verità, pena la perdita di oggettività dello studio. In conclusione, le considerazioni che si possono trarre dalla lettura di questo saggio sono:
[1] Andrea Cozzo, “La logica della guerra nella Grecia Antica. Contenuti, forme, contraddizioni”, Palermo University Press, 2023. [2] https://cimsec.org/the-theoretical-edge-why-junior-officers-should-study-military-classics/. [3] Andrea Cozzo è Professore Ordinario di Lingua e Letteratura greca presso l’Università di Palermo. [4] Su questo tema è di estremo interesse la visione del film “Official Secrets” di Gavin H. Hood del 2019. [5] Per Cozzo la guerra civile è assai peggiore della guerra tra Stati. [6] Ober ha stilato un elenco di queste convenzioni non scritte, che ne comprende dodici: 1. la guerra deve essere ufficialmente dichiarata e le tregue vanno rispettate; 2. ugualmente vanno rispettate le tregue sacre (per esempio, durante la celebrazione dei giochi olimpici); 3. bisogna rispettare i luoghi sacri e le persone sotto la protezione degli dèi (araldi, supplici, ecc.); 4. i trofei della vittoria vanno rispettati; 5. i morti in battaglia vanno restituiti al nemico che li richieda; 6. il corretto preambolo di una battaglia è una sfida rituale; 7. i prigionieri vanno liberati in cambio di un riscatto; 8. non si possono maltrattare i nemici che si sono arresi; 9. bisogna evitare gli attacchi ai civili; 10. le battaglie devono svolgersi nella stagione estiva; 11. bisogna limitare l’uso delle armi non oplitiche; 12. l’inseguimento dei nemici sconfitti che si ritirano deve essere limitato. [7] “E poiché guerra genera guerra, da guerra finta nasce guerra vera, da guerra piccina guerra poderosa, non di rado suole accadere ciò che nel mito si racconta del mostro di Lerna”. Erasmo da Rotterdam, Adagia. [8] Il 26 febbraio del 1769 Voltaire scrisse a Caterina Il, imperatrice di Russia, e le propose di utilizzare, nell'imminente guerra contro i Turchi, un temibile strumento di morte, che avrebbe sorpreso e atterrito gli avversari: “Non basta fare una guerra vittoriosa contro questi barbari e poi concluderla con una pace qualsiasi; non basta umiliarli, bisogna distruggerli”. Andrea Giardina (a cura di), Anonimo, Le cose della guerra, Ed. Fondazione Lorenzo Valla, A. Mondadori, 1989, pag. IX. Leggi l'articolo
© RIPRODUZIONE RISERVATA
0 Comments
Leave a Reply. |
RedazioneCERCA▼Cerca per argomenti oppure un'autore
Archives
November 2024
Categories |