Il fattore Buffet / The Buffet Factor Warren Buffet è uno dei più famosi investitori di sempre. Partendo con solo 100 dollari oggi detiene un patrimonio netto di 133,5 miliardi. Noto anche per i suoi visionari investimenti a lungo termine, come i suoi trentatré anni con Coca Cola, di certo non investe mai senza avere solide informazioni sui mercati e dei loro potenziali futuri sviluppi. L'"oracolo di Omaha" sa dove mettere il suo denaro, e nel 2008 non esitò ad entrare nell'azionariato di BYD con ben 225 milioni di azioni acquistate con una capitalizzazione pari a 232 milioni di dollari, quasi il 10% dell'intero colosso cinese, insieme ad altri investitori come BlackRock, Vanguard, Norges Bank, tutti fondi di investimento che credono nel clean energy e nei mercati emergenti. Ma a partire dall'agosto del 2022 Berkshire Hathaway, inizia a vendere dopo aver trentaduplicato i suoi profitti negli ultimi quattordici anni. I motivi, secondo gli analisti, sono di natura geopolitica, soprattutto dominati dalle tensioni tra USA e Cina, e dai conflitti in Ucraina e Medio Oriente. Tuttavia lascia nell'asset finanziario ben 88 milioni di dollari scendendo da poco meno del 10% dell'intera società automobilistica cinese a solo il 3%. Ciò significa che le informazioni in suo possesso valgono ancora la sua fiducia sulle politiche di transizione elettrica di BYD, anche se il rischio è quello di diluire i profitti con la crescente competitività di mercato in Europa entro il 2035. Una nicchia di successo non corrisponde necessariamente ad un buon affare se a dividersi la fetta ci sono troppi attori. Ecco perché la "vecchia volpe" riduce ma non estingue il suo azionariato BYD, confermando che la transizione alla mobilità elettrica non sia una bolla di mercato. Ma Buffett tiene ben saldi i suoi tacchi in almeno due zattere, senza rischiare di cadere in quella diversificazione eccessiva di coloro che investono a random ottenendo profitti mediocri. Questo si traduce in una partecipazione del 25% di Occidental Petroleum Corp. Una società petrolifera che recentemente sta concentrando i propri obiettivi strategici verso la riduzione dell'impronta di carbonio, dato la tendenza delle nazioni verso l'eliminazione delle emissioni nocive causate dalla combustione entro il 2050. Una corsa verso la riconversione delle Big Oil in previsione di ulteriori crolli dei titoli di borsa internazionali, già messi a dura prova nella pandemia da Sars-Cov2, e che nel lungo termine vedrà un'ulteriore spostamento del consumo di petrolio verso le rinnovabili. Così le grandi compagnie petrolifere scommettono il loro futuro senza combustibili fossili migrando con una certa rapidità ai gas naturali, all'energia eolica e alle Carbon Capture, mega strutture capaci di neutralizzare il diossido di carbonio presente nell'atmosfera. Questo significherà un cambiamento senza precedenti per le aziende petrolifere a prova di una transizione energetica non più revocabile, sia dal punto di vista ecologico, che finanziario, dato che i principali investitori stanno dirottando ingenti capitalizzazioni proprio sulle energie rinnovabili. Lo stop alla produzione di veicoli endotermici entro il 2035 da parte dell'unione europea, e a seguire entro il 2040 in altre parti del mondo, sarà pertanto imprescindibile, considerando anche l'accelerazione tecnologica che asseconderà entro pochi anni le esigenze dei consumatori in termini di prezzo, autonomia e reperibilità energetica garantendo tra l'altro costi di esercizio notevolmente inferiori. Arrivati a questo punto di pareggio con la propulsione endotermica, saranno proprio loro a preferire le EV, una nuova generazione di automobilisti consapevoli del loro tempo che nulla avrà da spartire con i conservatori di un'era ormai votata al declino. Quella del petrolio. © RIPRODUZIONE RISERVATA Articoli simili: https://www.ohimag.com/stefano-mitrione-ohi-mag-geopolitica-e-relazioni-internazionali/april-24th-2024
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