OHi Mag Report Geopolitico nr. 152 Introduzione Nel giugno del 2025, Los Angeles è diventata l'epicentro di una crisi che ha scosso le fondamenta istituzionali degli Stati Uniti, proiettando nel mondo l'immagine di una superpotenza lacerata e pericolosamente instabile. Quella che è iniziata come una controversa operazione federale contro l'immigrazione irregolare si è rapidamente trasformata in una rivolta urbana, per poi degenerare in uno scontro costituzionale senza precedenti tra il potere esecutivo dell'amministrazione Trump e le autorità dello Stato della California. Tuttavia, questi eventi non sono stati un semplice incidente di percorso. Come evidenziato da analisi giornalistiche e strategiche, si è trattato della manifestazione culminante di una strategia politica deliberata, di una "crisi annunciata" e scientemente cercata dall'amministrazione in carica. Il presente saggio si propone di andare oltre la cronaca dei fatti per decodificare questa calcolata "strategia della tensione", esplorandone le profonde conseguenze a catena che hanno riverberato su scala globale, minando la credibilità dell'alleato americano, svelando un pericoloso precedente autoritario e mettendo a rischio gli equilibri mondiali. La cronaca dei fatti La crisi ha avuto origine da una direttiva dell'amministrazione Trump, concepita per intensificare drasticamente la repressione dell'immigrazione irregolare attraverso una politica di deportazioni accelerate, eseguite senza le garanzie di un processo. Le fonti descrivono l'avvio di massicce operazioni da parte dell'agenzia federale ICE (Immigration and Customs Enforcement) nei quartieri a forte densità ispanica di Los Angeles, come Boyle Heights e Pico-Union. I metodi, descritti come brutali e indiscriminati, includevano irruzioni notturne e retate che non hanno risparmiato nessuno, dai lavoratori giornalieri ai dipendenti di aziende tessili. La scintilla che ha innescato la protesta di massa è stata l'arresto, ampiamente documentato e diffuso sui social media, di David Huerta, presidente del potente sindacato SEIU California. La sua immagine è diventata un simbolo immediato della repressione federale, mobilitando non solo le comunità di immigrati, ma l'intero movimento progressista della California. Le manifestazioni, inizialmente pacifiche, sono rapidamente degenerate. Migliaia di persone hanno bloccato autostrade cruciali come la 101 Freeway e si sono scontrati con la polizia, dando alle fiamme veicoli, tra cui alcune auto a guida autonoma della Waymo, trasformate in barricate fiammeggianti, un'immagine potentemente simbolica della collisione tra futuro tecnologico e frattura sociale. La situazione è precipitata quando il Presidente Trump ha preso una decisione di una gravità costituzionale eccezionale. Bypassando completamente l'autorità del governatore democratico Gavin Newsom e della sindaca di Los Angeles Karen Bass, ha attivato e federalizzato 2.000 membri della Guardia Nazionale dello Stato, ponendoli sotto il diretto controllo federale. Si è trattato di un atto che non si vedeva dal 1965, concepito per imporre "legge e ordine" contro la volontà esplicita delle autorità locali. Non contento, di fronte al persistere dei disordini, il Pentagono ha annunciato lo schieramento di 700 Marines di stanza nella vicina Camp Pendleton. Questa mossa ha trasformato uno scontro civile in un'operazione quasi militare, con elicotteri che sorvolavano il centro di Los Angeles e l'imposizione di un coprifuoco notturno. La risposta del governatore Newsom è stata ferma: ha definito la mossa di Trump una "fantasia squilibrata" e ha annunciato un'immediata azione legale contro l'amministrazione per aver calpestato la sovranità dello Stato. La crisi di Los Angeles, da protesta locale, era ormai diventata una battaglia istituzionale aperta, una frattura profonda all'interno dell'Unione. Le conseguenze geopolitiche Le ripercussioni geopolitiche degli eventi di Los Angeles sono state immediate e profonde, proiettando all'esterno l'immagine di una superpotenza lacerata e sull'orlo di una crisi costituzionale. L'atto più grave, dal punto di vista istituzionale, è stato l'assalto frontale al principio del federalismo, uno dei pilastri dell'equilibrio di potere statunitense. La decisione di Trump di federalizzare la Guardia Nazionale di uno Stato senza il consenso, e anzi contro la volontà esplicita, del suo governatore ha rappresentato una rottura del patto fiduciario tra governo centrale e autorità locali. Per gli alleati internazionali, abituati a vedere negli Stati Uniti un modello di stabilità democratica basato su un solido sistema di pesi e contrappesi, lo spettacolo di un presidente che schiera l'esercito contro i propri cittadini e le autorità elette ha minato radicalmente la fiducia. Un'America così politicamente instabile e consumata da una faida interna appare come un partner inaffidabile, la cui leadership globale subisce un colpo durissimo. Potenze rivali, in primis Cina e Russia, non hanno perso l'occasione di sfruttare la crisi a proprio vantaggio propagandistico. I media statali di Pechino e Mosca hanno dipinto gli scontri di Los Angeles come la prova definitiva della decadenza e dell'intrinseca fragilità dei sistemi democratici occidentali, contrapponendoli alla presunta stabilità dei loro regimi autoritari. La crisi, quindi, ha offerto loro un'arma potente per delegittimare il modello americano e rafforzare la propria influenza in aree del mondo dove la competizione geopolitica è più accesa. Il "soft power" americano, ovvero la capacità di attrarre e persuadere attraverso la cultura e i valori democratici, ne è uscito gravemente danneggiato, lasciando il posto all'immagine di un "hard power" usato non contro nemici esterni, ma contro la propria stessa popolazione. Questo crea un pericoloso vuoto di potere globale: con un'America distratta e indebolita, aumenta il rischio che attori ostili si sentano incoraggiati a compiere azioni aggressive, certi di una minore capacità di risposta da parte di Washington. Le conseguenze strategiche Lungi dall'essere una reazione spontanea a eventi imprevisti, la gestione della crisi di Los Angeles risponde a una precisa e calcolata "strategia della tensione". Come sottolineato da diversi analisti, gli eventi sono stati, se non interamente orchestrati, quantomeno deliberatamente esasperati dall'amministrazione Trump per raggiungere chiari obiettivi politici e strategici interni. Il primo obiettivo era militarizzare il dibattito pubblico su temi, come l'immigrazione, che risuonano profondamente con la base elettorale repubblicana. Colpendo la California – simbolo dell'opposizione democratica – Trump ha potuto costruire una narrazione efficace per il resto del paese: quella di un'élite liberale debole, incapace di mantenere "legge e ordine". La scelta di scavalcare il governatore Newsom è stata un atto strategico mirato a dipingerlo come impotente e a consolidare l'immagine di Trump come "uomo forte", l'unico in grado di riportare la calma. Lo scenario più inquietante è che questa strategia possa rappresentare un "test case", una prova generale per tattiche future. Fomentare disordini e tensioni negli stati a guida democratica, specialmente in prossimità di scadenze elettorali cruciali, potrebbe fornire il pretesto per dichiarare lo stato di emergenza, contestare la regolarità del voto o addirittura tentare di sospendere le elezioni in nome della sicurezza nazionale. Normalizzare l'uso delle forze armate per la gestione della politica interna, aggirando di fatto lo spirito del posse comitatus senza invocare formalmente l'Insurrection Act, rappresenta un precedente estremamente pericoloso. Si tratta di uno slittamento verso pratiche autoritarie nemmeno più dissimulato, che sposta il confronto politico dal piano del dibattito a quello dello scontro militare e segna un punto di non ritorno nella polarizzazione della società americana. Questo precedente erode le fondamenta della democrazia e mina la fiducia nel principio che le forze armate debbano rimanere neutrali e al di fuori della contesa politica partigiana. Le conseguenze marittime La crisi di Los Angeles, sebbene confinata geograficamente, ha generato onde d'urto che hanno attraversato l'intero pianeta, con implicazioni marittime, economiche e di sicurezza. Il complesso portuale di Los Angeles e Long Beach è il più grande degli Stati Uniti e uno dei nodi commerciali più critici del mondo, un punto di transito fondamentale per le catene di approvvigionamento che collegano l'Asia con le Americhe e l'Europa. Una città paralizzata da disordini su larga scala, con autostrade bloccate e una massiccia presenza militare, ha significato l'interruzione di fatto delle operazioni portuali e logistiche. Le conseguenze sul commercio marittimo globale sono state immediate e devastanti: navi portacontainer bloccate in rada, ritardi a cascata nelle spedizioni in tutto il Pacifico, congestione delle rotte alternative e un aumento vertiginoso dei costi di trasporto e assicurativi. L'interruzione di queste supply chain ha colpito settori vitali dell'economia globale, dall'elettronica all'automotive, dall'abbigliamento ai beni di consumo, generando penuria di componenti e prodotti finiti. Sul piano della sicurezza globale, una crisi interna così importante ha inevitabilmente assorbito l'attenzione e le risorse del Pentagono. La necessità di tenere truppe d'élite come i Marines in stato di allerta per un potenziale impiego sul suolo nazionale ha distolto uomini, mezzi e focus strategico dai teatri operativi internazionali. Una minore presenza o prontezza navale americana in aree critiche come il Mar Cinese Meridionale, lo Stretto di Taiwan o il Golfo Persico avrebbe potuto creare pericolosi vuoti di potere, incoraggiando attori regionali ostili a testare i limiti della determinazione americana. La crisi ha dunque dimostrato la fragilità sistemica delle catene logistiche globali e come un evento politico localizzato possa avere ripercussioni dirette sulla sicurezza e l'economia di nazioni a migliaia di chilometri di distanza, evidenziando la stretta interconnessione tra stabilità interna di una superpotenza e ordine marittimo mondiale. Le conseguenze per l'Italia Per l'Europa e per un'economia fortemente orientata all'export come quella italiana, l'impatto della crisi di Los Angeles è stato duplice e profondo. Sul piano economico, il contraccolpo è stato diretto. Da un lato, l'interruzione delle catene logistiche globali causata dalla paralisi dei porti californiani ha danneggiato le imprese italiane che dipendono dal flusso di merci transatlantico e transpacifico, ritardando forniture e consegne e aumentando i costi operativi. Dall'altro, un'America sempre più protezionista, isolazionista e imprevedibile, guidata da un'amministrazione incline a usare leve economiche come armi politiche, ha rappresentato una minaccia costante per il commercio e gli investimenti, minando la fiducia degli operatori economici. Strategicamente, la crisi ha messo a nudo la dipendenza europea dalla garanzia di sicurezza di un alleato sempre più ripiegato su se stesso e politicamente instabile. L'immagine di un presidente americano che schiera l'esercito contro i propri cittadini solleva un interrogativo inquietante a Bruxelles, Roma e nelle altre capitali europee: possiamo ancora contare su Washington per la difesa dei nostri interessi e della nostra sicurezza? Questo interrogativo ha accelerato per l'Unione Europea l'urgenza, non più procrastinabile, di sviluppare una vera autonomia strategica. A livello politico, infine, il modello trumpiano di gestione della crisi – basato sulla polarizzazione estrema e sullo scontro frontale con le istituzioni democratiche – potrebbe fungere da pericoloso esempio per le forze nazionaliste e populiste in Europa. La "strategia della tensione" americana potrebbe essere importata come un manuale per erodere le fondamenta dello stato di diritto anche nel nostro continente, dimostrando che la crisi di Los Angeles del 2025 non è stata solo una questione americana, ma un avvertimento per tutte le democrazie liberali. Conclusioni In conclusione, l'analisi degli eventi di Los Angeles del giugno 2025, basata sulla convergenza di diverse fonti giornalistiche e di analisi politica, dipinge un quadro allarmante che va ben oltre la cronaca di una rivolta urbana. Emerge il ritratto di una democrazia messa sotto scacco da una deliberata e calcolata strategia politica, mirata a esasperare le divisioni sociali per consolidare un potere di stampo autoritario. La crisi non è stata un incidente di percorso, ma il risultato di un progetto che sfrutta le paure legate all'immigrazione e all'ordine pubblico per scardinare i meccanismi di controllo istituzionale e normalizzare l'uso della forza militare nella politica interna. Le conseguenze di tale strategia si sono propagate all'intero sistema globale, minacciando la stabilità geopolitica, le rotte commerciali e gli equilibri delle alleanze storiche. Da questa analisi scaturisce una raccomandazione cruciale per l'Italia e per l'Unione Europea: l'imperativo di accelerare il percorso verso una reale e robusta autonomia strategica, economica e politica. La crisi americana funge da severo monito sulla precarietà di un ordine mondiale che dipende da un unico garante, specialmente quando quest'ultimo appare sempre più instabile e imprevedibile. È fondamentale, quindi, rafforzare le istituzioni democratiche interne ed europee, rendendole più resilienti ai tentativi di polarizzazione e alle derive populiste. La lezione di Los Angeles è chiara: la difesa dello stato di diritto, dei principi di convivenza civile e degli equilibri costituzionali non è mai un dato acquisito, ma richiede una vigilanza costante e un impegno attivo, sia in patria che nello scenario internazionale. Riferimenti
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Luglio 2025
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