OHi Mag Report Geopolitico nr. 105 Introduzione In un panorama globale segnato da profonde incertezze, dal ridimensionamento dell'ombrello di sicurezza statunitense e da tensioni geopolitiche crescenti, l'Unione Europea si trova a ricalibrare le proprie strategie di difesa, cercando nuovi partner affidabili. In questo contesto emerge prepotentemente la Turchia, la cui industria degli armamenti ha conosciuto un'ascesa straordinaria negli ultimi vent'anni, rendendola un attore chiave sulla scena internazionale. Partendo dall'analisi di Selin Gücüm (aprile 2025), questo saggio esplora come il rafforzamento delle capacità militari turche possa fungere da catalizzatore per un rinnovato partenariato strategico tra Ankara e Bruxelles. Il crescente scetticismo sulla garanzia di sicurezza americana e i recenti vertici diplomatici, come quello di Londra del marzo 2025, suggeriscono un possibile riallineamento basato su interessi di sicurezza convergenti, spingendo a valutare se la potenza militare turca possa effettivamente aprire le porte a una nuova era di cooperazione con l'UE. I Fatti Il percorso dell'industria della difesa turca verso l'attuale prominenza globale è il risultato di una visione strategica di lungo periodo, radicata nella volontà di raggiungere l'autonomia nazionale. Già la crisi cipriota degli anni '60 aveva sollevato preoccupazioni sulla dipendenza dagli USA, ma fu l'embargo americano imposto tra il 1975 e il 1978, a seguito dell'intervento turco a Cipro, a rappresentare il vero punto di svolta. Questa esperienza traumatica instillò nella leadership turca la consapevolezza irrevocabile della necessità di sviluppare una capacità produttiva interna per non essere più vulnerabile alle pressioni esterne. I decenni successivi videro sforzi costanti per costruire questa base industriale. La creazione nel 1985 dell'Agenzia per l'Industria della Difesa (originariamente SSB) e il consolidamento delle principali aziende del settore (TUSAŞ, ASELSAN, HAVELSAN, Roketsan) sotto l'egida della Fondazione delle Forze Armate Turche (TSKGV) nel 1987 furono passi fondamentali. Contrariamente alla tendenza occidentale post-Guerra Fredda, la Turchia continuò ad aumentare le spese militari, spinta sia dall'ambizione di autonomia sia dalla persistente lotta contro il PKK e dalle tensioni regionali, come quelle con la Grecia. La percezione di un supporto NATO tiepido durante la Guerra del Golfo rafforzò ulteriormente questa determinazione. La strategia adottata fu pragmatica: acquisizioni tramite joint venture e produzione su licenza (come il progetto Stinger che diede vita a Roketsan) divennero la norma per aggirare le incertezze diplomatiche legate all'acquisto diretto. L'arrivo al potere dell'AKP nel 2002 impresse un'accelerazione decisiva. Sotto il motto delle "soluzioni indigene", il governo Erdoğan rilanciò i programmi di armamento, privilegiando sistematicamente il coinvolgimento dell'industria nazionale. Un periodo di relativa stabilità interna ed esterna, unito a una robusta crescita economica nei primi anni 2000, permise di allocare ingenti risorse alla ricerca e sviluppo (R&S). Ankara poté così concentrarsi sull'innovazione e sulla produzione di sistemi d'arma nazionali senza l'urgenza di un conflitto imminente. I risultati sono oggi evidenti. Nel 2023, tre colossi turchi – ASELSAN, Baykar e TUSAŞ – figuravano tra i primi 100 produttori mondiali di armi. Le esportazioni sono cresciute esponenzialmente, rendendo la Turchia l'11° esportatore globale. Il successo più eclatante è arrivato dal settore dei droni: il Bayraktar TB2, testato con successo in Nagorno-Karabakh, Libia e Ucraina, è diventato un simbolo della tecnologia turca, richiesto in tutto il mondo. Ma l'industria eccelle anche in altri settori, come dimostrano le navi della classe MilGem e l'elicottero T129 ATAK. La presentazione del TCG Anadolu, definita la prima porta-droni, ha avuto anche un forte impatto sull'opinione pubblica interna, diventando uno strumento di consenso politico per l'AKP. Due fattori chiave spiegano il successo commerciale: la competitività dei prezzi (un Bayraktar TB2 costa una frazione di un MQ-9 Reaper americano) e l'assenza di condizionalità politiche o etiche legate alle vendite, un vantaggio rispetto ai fornitori occidentali. Questa combinazione ha aperto le porte a mercati in Africa, Medio Oriente e, più recentemente, in Europa, inclusi membri NATO e UE come Portogallo, Polonia, Croazia e Romania. Tuttavia, questa ascesa non è priva di limiti. Le difficoltà economiche che affliggono la Turchia dal 2018 pongono un'ipoteca sulla sostenibilità a lungo termine degli investimenti. Nonostante l'aumento della spesa nel 2023, la sua quota sul PIL rimane contenuta. Inoltre, la Turchia dipende ancora da componenti estere per i sistemi ad alta tecnologia, una vulnerabilità significativa in caso di sanzioni. Infine, la carenza di capitale umano qualificato e il fenomeno della "fuga di cervelli" rappresentano una sfida strutturale per un settore che vive di innovazione e R&S. Conseguenze geopolitiche L'affermazione dell'industria della difesa turca ha profonde ripercussioni geopolitiche. Innanzitutto, rafforza lo status della Turchia come potenza regionale autonoma, capace di proiettare influenza militare e diplomatica dal Mediterraneo Orientale al Caucaso (e al teatro operativo dell’heartland), dal Vicino Oriente all'Africa. La capacità di fornire armamenti efficaci e a basso costo, senza vincoli politici, le permette di costruire relazioni privilegiate con numerosi Paesi, spesso al di fuori delle tradizionali sfere di influenza occidentali. Questa accresciuta capacità militare supporta la dottrina di politica estera turca basata su "alleanze flessibili", consentendo ad Ankara di agire in modo più indipendente dai suoi alleati storici della NATO e di perseguire i propri interessi nazionali con maggiore assertività. Il ruolo attivo e spesso determinante della Turchia in conflitti regionali (Siria, Libia, Nagorno-Karabakh) e la sua posizione unica nel conflitto ucraino (mediazione sull'accordo del grano) ne sono una diretta conseguenza. Conseguenze Strategiche Sul piano strategico, l'ascesa dell'industria bellica turca incarna la ricerca di "autonomia strategica" da parte di Ankara. Riducendo la dipendenza tecnologica e militare dall'esterno, la Turchia guadagna margini di manovra significativi. Per la NATO, ciò significa avere un alleato militarmente più forte e capace, soprattutto sul fianco sud-orientale, ma potenzialmente meno allineato e più incline a perseguire agende proprie. Per l'Unione Europea, la Turchia emerge come un partner potenzialmente indispensabile per la sicurezza continentale, data la sua posizione geo-strategica, le sue capacità militari e il suo ruolo nella gestione di crisi regionali (come la migrazione). Questa nuova realtà strategica sta spingendo Bruxelles a riconsiderare il rapporto con Ankara, spostando il focus dalle annose questioni politiche verso una cooperazione più pragmatica incentrata sulla sicurezza, come suggerito da recenti dichiarazioni di alti funzionari UE e NATO. Conseguenze Marittime Il settore marittimo è un'altra area di eccellenza dell'industria della difesa turca, con implicazioni significative. Lo sviluppo e la produzione di navi da guerra moderne, come le corvette della classe MilGem, e l'ambizioso progetto della TCG Anadolu (porta-droni), dimostrano la capacità turca di operare anche in domini tecnologicamente complessi. L'esportazione di navi militari verso un paese NATO e UE come il Portogallo segna una tappa fondamentale, attestando la qualità raggiunta e aprendo nuovi mercati. Questa crescente capacità navale permette alla Turchia di rafforzare la propria presenza e influenza nel Mar Nero, nel Mediterraneo Orientale e potenzialmente oltre, sostenendo le sue ambizioni geopolitiche e la difesa dei propri interessi marittimi, spesso in competizione con altri attori regionali. La forza marittima diventa così un pilastro fondamentale della sua autonomia strategica. Conseguenze per l'Italia Per l'Italia, l'ascesa dell'industria della difesa turca presenta un quadro complesso di opportunità e sfide. Da un lato, emergono possibilità concrete di collaborazione industriale, come testimoniato dall'acquisizione di Piaggio Aerospace da parte di Baykar e dal protocollo d'intesa tra la stessa Baykar e Leonardo per una joint venture nel settore dei droni (UAS). Questo indica un riconoscimento della qualità tecnologica italiana e apre potenziali sinergie. D'altro canto, la Turchia si afferma come un concorrente sempre più agguerrito sui mercati internazionali della difesa, anche in settori dove l'Italia ha tradizionalmente goduto di rendite di posizione, come quello navale. Geopoliticamente, l'Italia, come potenza mediterranea e membro chiave dell'UE, si trova a dover bilanciare la necessità strategica di un rapporto stabile e cooperativo con Ankara (specialmente su dossier come Libia, energia e migrazioni) con le preoccupazioni legate alle politiche turche e alle tensioni nel Mediterraneo Orientale. Una Turchia militarmente più forte e autonoma richiede all'Italia una ricalibrazione della propria politica estera e di difesa nella regione. Non è un caso che molte aree di interesse l’Italia sia stata sostituita dalla Turchia che si è di fatto appropriata di aree scalzando l’Italia da un ruolo di leadership locale. Conclusioni e Raccomandazioni L'impressionante sviluppo dell'industria della difesa turca ha innegabilmente modificato gli equilibri geopolitici e strategici regionali ed europei. Alimentata da una storica aspirazione all'autonomia e coronata da successi tecnologici e commerciali, soprattutto nel campo dei droni, questa crescita ha reso Ankara un attore militare ed economico di primo piano, capace di perseguire una politica estera più indipendente e assertiva. In un contesto internazionale fluido e pragmatico, dove le tradizionali alleanze sono messe in discussione, le capacità militari turche offrono un'opportunità concreta per ridefinire le relazioni con l'Unione Europea. La convergenza di interessi nel campo della sicurezza, acuita dalle crisi alle porte dell'Europa e dall'incertezza sul ruolo futuro degli Stati Uniti, potrebbe spingere verso un partenariato strategico rinnovato tra Bruxelles e Ankara, più focalizzato su obiettivi pragmatici e meno vincolato dalle complesse dinamiche politiche del processo di adesione. La Turchia, con il suo esercito e la sua industria, può offrire un contributo significativo alla sicurezza europea. Tuttavia, la realizzazione di questa potenziale alleanza richiede il superamento di ostacoli considerevoli: le persistenti tensioni politiche bilaterali (Grecia, Cipro), le preoccupazioni europee sullo stato di diritto e i diritti umani in Turchia, e le richieste turche (modernizzazione dell'unione doganale, liberalizzazione dei visti). Si raccomanda pertanto un approccio pragmatico basato sul dialogo costante, sull'identificazione di aree concrete di cooperazione mutuamente vantaggiose (sicurezza regionale, industria della difesa, energia) e sulla volontà reciproca di compiere passi costruttivi per ricostruire la fiducia. Riferimento: Questo testo è una sintesi e rielaborazione basata sull'articolo "L’Essor de l’Armement Turc : Un Catalyseur pour une Nouvelle Alliance entre la Turquie et l’Union Européenne ?" di Selin Gücüm, pubblicato dall'Observatoire de la Turquie et de son environnement géopolitique dell'IRIS (Institut de Relations Internationales et Stratégiques) nell'aprile 2025. Vedasi : https://www.iris-france.org/lessor-de-larmement-turc-un-catalyseur-pour-une-nouvelle-alliance-entre-la-turquie-et-lunion-europeenne/ © RIPRODUZIONE RISERVATA
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OHi Mag Report Geopolitico nr. 104 Introduzione Il presente lavoro di sintesi si propone di esaminare in profondità il potenziale impatto dell'industria emergente dell'estrazione mineraria dai fondali marini sulle catene di approvvigionamento di minerali critici e sulle dinamiche geopolitiche globali. L'analisi si basa sul rapporto "The Potential Impact of Seabed Mining on Critical Mineral Supply Chains and Global Geopolitics" pubblicato dalla RAND Corporation il 9 aprile 2025, a cura di Tom LaTourrette, Fabian Villalobos, Elisa Yoshiara e Zohan Hasan Tariq. In un contesto globale caratterizzato da una crescente domanda di minerali essenziali per le transizioni energetiche, le tecnologie avanzate e i sistemi di difesa, la dipendenza da fonti di approvvigionamento concentrate, in particolare dalla Cina, rappresenta un rischio significativo per gli Stati Uniti e i loro alleati. L'estrazione dai fondali oceanici si presenta come una potenziale opportunità per diversificare queste catene di approvvigionamento, ridurre la vulnerabilità a interruzioni geopolitiche e promuovere una maggiore sicurezza economica. Tuttavia, lo sviluppo di tale industria comporta implicazioni di vasta portata, che spaziano dalle conseguenze economiche per i paesi in via di sviluppo con consolidate industrie minerarie terrestri, alle complesse dinamiche geopolitiche legate al controllo delle risorse in acque internazionali, fino alle implicazioni strategiche e marittime per le potenze globali, inclusa l'Italia. La seguente sintesi si addentrerà nei dettagli del rapporto RAND, evidenziando i fatti salienti, le conseguenze previste e formulando, infine, alcune raccomandazioni. I Fatti Il rapporto della RAND Corporation evidenzia come la crescente preoccupazione negli Stati Uniti riguardo alla dipendenza dalla Cina per l'approvvigionamento di minerali critici sia alimentata dalla posizione dominante di Pechino in questo settore strategico. La concentrazione dell'offerta in un singolo paese espone il mercato globale a potenziali interruzioni, aggravate dal fatto che la Cina ha dimostrato in passato la volontà di utilizzare restrizioni all'export, all'accesso al mercato e alla politica dei prezzi come strumento di pressione politica e ritorsione. Esempi concreti, come le restrizioni sulle terre rare al Giappone nel 2010 e quelle più recenti su gallio, germanio, antimonio e componenti per batterie, sottolineano la validità di tali preoccupazioni e il potenziale impatto negativo su settori chiave come l'energia, i trasporti e la difesa. Di fronte a questa vulnerabilità, l'estrazione mineraria dai fondali marini, in particolare dei noduli polimetallici presenti nelle profondità oceaniche, emerge come una promettente alternativa per diversificare le fonti di approvvigionamento di minerali critici come nichel, cobalto, manganese e rame. Questi noduli, concentrazioni di minerali di dimensioni simili a patate, rappresentano una risorsa potenzialmente vasta, con stime che indicano quantità di metalli significativamente superiori a quelle presenti nelle riserve terrestri. Sebbene l'interesse per questa tecnologia risalga agli anni '70, è stato rinvigorito dalla transizione globale verso sistemi energetici e di trasporto a basse emissioni di carbonio, che ha fatto impennare la domanda di metalli per batterie di veicoli elettrici e sistemi di stoccaggio di energia rinnovabile. Un altro fattore cruciale che ha riacceso l'interesse per l'estrazione dai fondali marini è l'imminente implementazione di un regime normativo per le attività minerarie in acque internazionali da parte dell'Autorità Internazionale dei Fondali Marini (ISA), un'organizzazione autonoma istituita nel 1994 sotto la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS). L'ISA ha il compito di regolamentare l'esplorazione e lo sfruttamento delle risorse minerarie nella "Zona", l'area dei fondali marini al di là delle giurisdizioni nazionali. Sebbene gli Stati Uniti non siano parte di UNCLOS e quindi non membri dell'ISA, la prospettiva di un quadro normativo definito entro il 2025 (anche se molti esperti nutrono dubbi sulla tempistica) crea le condizioni per lo sviluppo di un'industria commerciale. Dal punto di vista tecnologico, sono state sviluppate diverse tecniche per l'estrazione dei noduli, tra cui veicoli cingolati collegati a navi di superficie tramite un tubo di risalita idraulico e veicoli autonomi che raccolgono i noduli con bracci robotici. Entrambe le tecnologie sono state testate in condizioni di acque profonde, ma nessuna ha ancora raggiunto la scala commerciale. Una volta raccolti, i noduli verrebbero trasportati a terra per la lavorazione e la raffinazione. L'analisi della RAND Corporation si basa su una metodologia che include la revisione della letteratura esistente, interviste con esperti del settore (aziende minerarie sottomarine e terrestri, società di lavorazione, agenzie governative), modellizzazione economica e un workshop con esperti per valutare le implicazioni geopolitiche. Le stime preliminari suggeriscono che un numero relativamente modesto di operazioni di estrazione dai fondali marini potrebbe contribuire in modo significativo alla domanda globale e statunitense di nichel e cobalto entro il 2040, in particolare per quest'ultimo, dove poche navi potrebbero soddisfare l'intera domanda interna statunitense. Tuttavia, il rapporto sottolinea che la lavorazione e la raffinazione dei minerali estratti dai fondali marini rappresentano una fase cruciale e spesso trascurata della catena di approvvigionamento, che incide significativamente sui costi finali. Poiché l'estrazione avverrebbe al di fuori delle giurisdizioni nazionali, i noduli dovrebbero necessariamente essere spediti attraverso i confini per la lavorazione, aprendo opportunità per paesi come gli Stati Uniti, che non possono sponsorizzare direttamente attività di estrazione nell'Area tramite l'ISA. Conseguenze Geopolitiche L'emergere di un'industria per l’estrazione mineraria dai fondali marini avrebbe profonde conseguenze geopolitiche. Innanzitutto, la possibilità di diversificare l'approvvigionamento di minerali critici potrebbe ridurre la leva geopolitica della Cina, diminuendo la vulnerabilità degli Stati Uniti a ricatti o interruzioni strategiche. Tuttavia, questa nuova arena potrebbe anche diventare un nuovo campo di competizione geopolitica. La Cina, pur non essendo esplicitamente menzionata come leader nelle tecnologie di estrazione sottomarina nel rapporto (sebbene si supponga una sua più che adeguata expertise nel campo), ha un forte interesse all'accesso alle risorse globali e potrebbe cercare di influenzare o competere in questo nuovo settore. La definizione del regime normativo da parte dell'ISA, in cui la Cina è un attore influente, sarà cruciale nel determinare le regole del gioco e l'accesso alle risorse. La mancata adesione degli Stati Uniti a UNCLOS li pone in una posizione di vulnerabilità nel poter sponsorizzare direttamente operazioni di estrazione. Un'altra importante considerazione geopolitica riguarda l'impatto sui paesi in via di sviluppo con significative industrie minerarie terrestri. L'introduzione di una nuova fonte di minerali potrebbe influenzare i prezzi globali e la domanda di minerali terrestri, potenzialmente erodendo le entrate di questi paesi, molti dei quali dipendono fortemente dal settore minerario per la loro economia. Questo potrebbe creare nuove tensioni geopolitiche tra paesi sviluppati, interessati all'approvvigionamento diversificato, e paesi in via di sviluppo, preoccupati per le conseguenze economiche. Infine, la governance e la sicurezza delle rotte marittime attraverso cui i noduli verrebbero trasportati rappresentano un'ulteriore dimensione geopolitica. La protezione di queste infrastrutture e la prevenzione di attività illecite o conflitti di interesse in acque internazionali richiederanno una cooperazione internazionale e una vigilanza costante. Conseguenze Strategiche Dal punto di vista strategico, l'estrazione mineraria dai fondali marini offre l'opportunità di rafforzare la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, riducendo la dipendenza da un unico fornitore per minerali essenziali per le tecnologie militari, i sistemi di difesa e le infrastrutture critiche. La diversificazione delle fonti di approvvigionamento renderebbe le catene di fornitura più resilienti a shock geopolitici, catastrofi naturali o manipolazioni del mercato. Tuttavia, lo sviluppo di un'industria di estrazione sottomarina comporta anche nuove sfide strategiche. Gli Stati Uniti, non essendo membri dell'ISA, dovranno trovare strategie alternative per partecipare al settore, concentrandosi possibilmente sulle fasi di lavorazione e raffinazione, a meno di instaurare partnership con paesi membri. La capacità di influenzare la definizione delle normative dell'ISA, pur non essendo un membro votante, diventa un obiettivo strategico cruciale. Inoltre, la protezione delle attività di estrazione e delle infrastrutture di trasporto sottomarine potrebbe richiedere un potenziamento delle capacità navali e di sorveglianza, nonché lo sviluppo di nuove competenze tecnologiche nella dimensione subacquea. La competizione per l'accesso alle zone più ricche di noduli polimetallici potrebbe intensificarsi, richiedendo una strategia diplomatica e di sicurezza ben definita per prevenire conflitti e garantire un accesso equo e sicuro alle risorse. La ricerca e lo sviluppo di tecnologie di estrazione e lavorazione efficienti e sostenibili diventano imperativi strategici per assicurare la competitività e la sostenibilità ambientale dell'industria. Investimenti in innovazione e partnership con il settore privato e accademico saranno fondamentali per raggiungere questi obiettivi. Conseguenze Marittime L'avvento dell'estrazione mineraria dai fondali marini avrà significative conseguenze nel dominio marittimo. Innanzitutto, si creeranno nuove rotte di navigazione per il trasporto dei noduli dalle zone di estrazione ai porti di lavorazione, con potenziali implicazioni per il traffico marittimo esistente e la necessità di nuove infrastrutture portuali. Le attività di estrazione stessa richiederanno la presenza di navi specializzate e infrastrutture sottomarine, con potenziali impatti sull'ambiente marino, un aspetto su cui il rapporto RAND non si sofferma in dettaglio ma che appare cruciale. La gestione dei sedimenti sollevati durante l'estrazione, il rumore sottomarino e il potenziale impatto sugli ecosistemi profondi sono questioni che dovranno essere attentamente monitorate e regolamentate. La sicurezza delle operazioni di estrazione e delle infrastrutture sottomarine in acque internazionali richiederà una maggiore cooperazione tra gli stati in termini di sorveglianza e applicazione della legge. La cosiddetta gestione dei beni comuni definibili come “commons” rischia di scadere in quella tragedia di cui scrisse per primo Garrett Hardin nel 1968. La possibilità di attività non autorizzate o concorrenza sleale nel settore emergente richiederà meccanismi di controllo efficaci. Dal punto di vista tecnologico, l'estrazione sottomarina stimolerà l'innovazione nella robotica marina, nei sistemi di comunicazione subacquea, nei materiali resistenti alle alte pressioni e nelle tecnologie di monitoraggio ambientale. Lo sviluppo di queste tecnologie potrebbe avere ricadute positive anche in altri settori marittimi. Conseguenze per l'Italia Per l'Italia, le conseguenze dell'emergere dell'estrazione mineraria dai fondali marini sono molteplici e interconnesse. In quanto paese membro dell'Unione Europea e firmatario di UNCLOS, l'Italia è indirettamente coinvolta nella definizione del quadro normativo tramite la sua partecipazione all'ISA. Potrebbe quindi influenzare le decisioni relative alle norme ambientali e alle procedure operative. L'Italia, con una solida tradizione nel settore manifatturiero e una crescente attenzione alla transizione energetica e alla mobilità elettrica, ha un interesse strategico nella sicurezza e nella diversificazione dell'approvvigionamento di minerali critici. L'accesso a nuove fonti di nichel, cobalto e manganese provenienti dai fondali marini potrebbe contribuire a ridurre la dipendenza da fornitori esterni e a stabilizzare i prezzi di questi materiali essenziali per le industrie italiane. Le aziende italiane attive nei settori della lavorazione dei metalli, della produzione di batterie e dei componenti per veicoli elettrici potrebbero trovare nuove opportunità di approvvigionamento e partnership nella catena del valore dell'estrazione sottomarina. La capacità di adattarsi alle nuove dinamiche del mercato e di investire in tecnologie di lavorazione innovative sarà cruciale per cogliere questi benefici. Dal punto di vista marittimo, l'Italia, con la sua flotta mercantile e le sue competenze nell'ingegneria navale e sottomarina, potrebbe giocare un ruolo importante nello sviluppo delle infrastrutture di trasporto e delle tecnologie di estrazione. La ricerca scientifica italiana nel campo delle scienze marine profonde potrebbe contribuire alla comprensione dell'impatto ambientale dell'estrazione e allo sviluppo di pratiche sostenibili. L'Italia, nel considerare l'estrazione di risorse dai fondali marini, deve prioritizzare un approccio responsabile e sostenibile. Questo implica, da un lato, la costruzione di forti legami diplomatici e collaborativi con i Paesi che condividono le aree marittime di interesse e, dall'altro, un impegno inderogabile per la protezione dell'ambiente marino e la gestione dei fondali come beni comuni. È essenziale agire preventivamente per evitare che la corsa alle risorse sottomarine degeneri in uno sfruttamento selvaggio, privo di normative e dannoso per gli equilibri ecologici. Tuttavia, l'Italia deve anche considerare le potenziali implicazioni economiche per i paesi in via di sviluppo con cui intrattiene relazioni commerciali nel settore minerario terrestre. Un calo dei prezzi dei minerali dovuto all'offerta proveniente dai fondali marini potrebbe avere ripercussioni sulle loro economie. Conclusioni e Raccomandazioni In conclusione, il rapporto della RAND Corporation evidenzia come l'estrazione mineraria dai fondali marini rappresenti una potenziale svolta per la diversificazione delle catene di approvvigionamento di minerali critici, offrendo un'alternativa alla dipendenza dalla Cina e contribuendo alla sicurezza economica e strategica degli Stati Uniti e dei loro alleati. Tuttavia, lo sviluppo di questa nuova industria è ancora nelle sue fasi iniziali e comporta una serie di sfide e incertezze di natura tecnologica, economica, ambientale e geopolitica. Le conseguenze geopolitiche sono significative, con la possibilità di una riduzione della leva cinese ma anche la creazione di nuove dinamiche competitive e potenziali tensioni con i paesi in via di sviluppo. Dal punto di vista strategico, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento rafforzerebbe la resilienza delle catene del valore critiche, ma richiederà nuove strategie di engagement internazionale e investimenti in capacità tecnologiche e di sicurezza marittima. Le implicazioni marittime sono altrettanto rilevanti, con la creazione di nuove rotte, la necessità di gestire l'impatto ambientale e la sfida di garantire la sicurezza delle operazioni in acque internazionali. Per l'Italia, l'emergere dell'estrazione sottomarina offre opportunità di diversificare l'approvvigionamento di minerali cruciali per la sua industria e la transizione energetica, ma richiede anche un'attenta valutazione delle implicazioni economiche e un impegno attivo nella definizione del quadro normativo internazionale. Sulla base di questa analisi, alcune raccomandazioni emergono:
Riferimento: La sintesi è basata sul rapporto: Tom LaTourrette, Fabian Villalobos, Elisa Yoshiara, Zohan Hasan Tariq, "The Potential Impact of Seabed Mining on Critical Mineral Supply Chains and Global Geopolitics", RAND Corporation, pubblicato il 9 aprile 2025, disponibile online all'indirizzo https://www.rand.org/pubs/research_reports/RRA3560-1.html. © RIPRODUZIONE RISERVATA
OHi Mag Report Geopolitico nr. 103 Introduzione La strategia militare cinese nelle sue acque territoriali adiacenti (near seas) si caratterizza per un approccio coercitivo sotto la soglia del conflitto aperto, rappresentando una sfida significativa per la sicurezza regionale. Queste azioni, che spaziano da schermaglie di confine a manovre navali aggressive e incursioni aeree, non raggiungono l'intensità di una guerra dichiarata, ma esercitano una pressione costante sui paesi limitrofi. Nel corso degli anni, i vicini della Cina hanno sviluppato una maggiore resilienza e capacità di risposta a tali tattiche. Il saggio di Atul Kumar analizza la strategia cinese "sotto la soglia", esaminandone le limitazioni attraverso casi studio incentrati sulle operazioni contro Taiwan e le Filippine nei rispettivi contesti marittimi. Attraverso questa analisi, si intende fornire una valutazione chiara delle dinamiche in gioco, evidenziando le implicazioni geopolitiche, strategiche e marittime, nonché le conseguenze specifiche per l'Italia, basandosi sul lavoro di Atul Kumar intitolato "Challenges to China’s ‘Below the Threshold’ Military Strategy in Its Near Seas" pubblicato dall'Observer Research Foundation nell'aprile 2025. I fatti La Cina ha costantemente impiegato una strategia aggressiva al di sotto della soglia di guerra nei confronti dei suoi vicini territoriali e marittimi. Queste azioni comprendono scontri fisici minori con le forze armate confinanti, limitati coinvolgimenti di truppe terrestri, speronamenti di navi in mare, scontri con le guardie costiere e frequenti esercitazioni militari e pattugliamenti aerei. Sebbene tali azioni non siano di gravità tale da scatenare un conflitto aperto, non sono nemmeno trascurabili, poiché cumulativamente modificano la situazione sul terreno a vantaggio della Cina, migliorandone la posizione militare e la leva negoziale. Questa strategia rientra nel concetto più ampio di operazioni nella "zona grigia", volte a modificare il comportamento di un avversario attraverso mezzi non letali, operando in un continuum tra pace e guerra. Le operazioni nella zona grigia includono attività clandestine e di sabotaggio, sfruttamento cibernetico a bassa intensità e campagne di disinformazione, tutte mirate a rimodellare le dinamiche politico-diplomatiche. La strategia "sotto la soglia", tuttavia, offre un quadro analitico più preciso per comprendere le attività cinesi nei suoi mari adiacenti, concentrandosi sull'uso protratto di mezzi coercitivi per logorare gli avversari più piccoli, rendendo la resistenza nel tempo apparentemente futile. La Cina utilizza la sua Guardia Costiera, le forze navali e gli assetti aerei per proiettare una schiacciante disparità di potere, dissuadendo l'opposizione senza ricorrere a un conflitto aperto, in linea con l'antica dottrina del "vincere senza combattere". Per ottimizzare l'efficacia di questa strategia, la Cina ha consolidato le sue diverse agenzie di applicazione della legge marittima nel 2013, creando la Guardia Costiera Cinese (CCG). Questa forza integrata è stata ulteriormente potenziata nel 2018, quando il suo controllo amministrativo è stato trasferito alla Polizia Armata Popolare (PAP) sotto l'autorità della Commissione Militare Centrale (CMC), facilitando una maggiore coordinazione con la Marina cinese. Da allora, la CCG ha svolto un ruolo proattivo nelle operazioni di disturbo cinesi nelle acque contese, diventando uno strumento chiave della sua strategia di coercizione marittima armata. Tuttavia, la strategia "sotto la soglia" presenta delle limitazioni. Il suo rapporto costi-benefici peggiora oltre un certo punto. La riluttanza a trasformare il frequente e costante disturbo in un conflitto attivo rischia di far apparire le dimostrazioni di forza cinesi come semplice "posturing", diminuendone l'aura militare. Sebbene questo approccio miri a spingere gli avversari verso negoziati, spesso si rivela controproducente, poiché gli stati più piccoli rispondono potenziando le proprie capacità interne o alleandosi con potenze esterne alla regione (soprattutto gli USA) per bilanciare la minaccia cinese. Il successo di questa strategia dipende fortemente dalle disposizioni individuali degli stati colpiti, dall'atteggiamento dei loro leader nei confronti della Cina e dalla loro determinazione a resistere. Negli ultimi dieci anni, la Cina si è concentrata principalmente sulle Filippine, su Taiwan e sul Giappone, sebbene anche Vietnam, Malesia, Indonesia e Brunei siano coinvolti in potenziali conflitti nel Mar Cinese Meridionale (SCS). La Cina ha avuto un breve conflitto con il Vietnam per le Isole Paracel negli anni '70, ottenendone il controllo. Tuttavia, da allora, le sporadiche dispute navali non hanno significativamente interrotto le loro relazioni politiche ed economiche più ampie. Allo stesso modo, le tensioni con Malesia, Indonesia e Brunei sui territori marittimi sono rimaste a un livello basso, con occasionali incontri navali. Al contrario, le dispute che coinvolgono le Filippine, Taiwan e il Giappone mostrano dinamiche marcatamente diverse. La Cina percepisce le sue rivendicazioni sovrane sulla regione marittima che comprende il Mar Cinese Orientale (ECS), lo Stretto di Taiwan e il SCS come interconnesse. Le sue azioni in un'area hanno implicazioni anche per le altre due. Nell'ultimo decennio, le sue azioni hanno cercato di testare le soglie del conflitto, dispiegando assetti aerei per sondare i sistemi di difesa aerea del Giappone, inviando frequentemente navi nelle acque intorno alle isole Senkaku controllate dal Giappone, disturbando le navi filippine all'interno delle loro zone economiche esclusive, bloccando le missioni di rifornimento delle forze filippine alle isole contese, costruendo isole artificiali per uso militare e impegnandosi in frequenti dimostrazioni di aggressione militare intorno a Taiwan. Queste azioni riflettono un approccio su misura, calibrato sulle capacità militari e sulle alleanze di questi tre stati. Taiwan La Cina ha intensificato la sua pressione militare su Taiwan attraverso una serie di esercitazioni congiunte, come la "Joint Sword 2024-B", che ha coinvolto un numero significativo di aerei e navi della Marina e della Guardia Costiera cinesi. Queste esercitazioni, spesso presentate come risposte a dichiarazioni o azioni di leader taiwanesi considerate separatiste da Pechino, mirano a normalizzare un'aggressione incrementale e a creare un nuovo status quo allineato all'obiettivo cinese di riunificazione. La frequenza e la portata di queste attività sono aumentate negli ultimi anni, evidenziando la capacità cinese di imporre una quarantena, un blocco o persino un'invasione su larga scala dell'isola. Storicamente, la Cina ha reagito con forza a quelle che percepiva come sfide al suo principio "Una sola Cina", come dimostra la crisi dello Stretto di Taiwan del 1995-96, scatenata dalla visita negli Stati Uniti dell'allora presidente taiwanese Lee Teng-hui. La risposta statunitense, con il dispiegamento di portaerei, costrinse la Cina a ritirarsi, ma portò a un significativo rafforzamento delle sue forze armate, in particolare della Marina. Mentre le relazioni tra Cina e Taiwan hanno conosciuto periodi di relativa distensione, soprattutto durante la presidenza di Ma Ying-jeou (2008-2016), l'ascesa del Partito Democratico Progressista (DPP) a Taiwan, con la sua inclinazione verso l'indipendenza, ha segnato un nuovo inasprimento. La modernizzazione militare cinese, con l'introduzione di portaerei, sottomarini nucleari e navi da guerra avanzate, ha fornito a Pechino gli strumenti per attuare tattiche di "salami-slicing" (la tattica del "salami-slicing" (in italiano, "tagli a fette di salame") è una strategia che consiste nel suddividere un obiettivo o un problema in una serie di piccoli passi, eseguendoli gradualmente nel tempo per ottenere un risultato complessivo più ampio, che sarebbe difficile o illegale realizzare in un'unica soluzione. Questo approccio è spesso utilizzato in politica, negoziazione e anche nella risoluzione di problemi complessi) e attività sotto la soglia del conflitto. Nonostante l'intensificarsi delle manovre militari cinesi, Taiwan ha dimostrato una notevole resilienza. A differenza della reazione alla crisi del 1995, il mercato azionario taiwanese ha reagito in modo contenuto alle esercitazioni del 2024, e la popolazione è rimasta in gran parte imperturbabile. Questa resilienza può essere attribuita alla preparazione decennale a un'eventuale invasione cinese, al sostegno internazionale e all'esempio dell'Ucraina nella resistenza all'aggressione russa. Gli Stati Uniti, pur non essendo, per trattato, un alleato formale di Taiwan, forniscono supporto in base al Taiwan Relations Act e mantengono una significativa presenza militare nel Pacifico occidentale, agendo come deterrente per un conflitto aperto. Tuttavia, la mancanza di una garanzia formale di intervento militare statunitense lascia Taiwan in una posizione delicata, spingendola a rafforzare le proprie capacità di difesa. La forte economia di Taiwan, in particolare nel settore dei semiconduttori, e la sua capacità di acquisire armamenti avanzati contribuiscono alla sua capacità di deterrenza. La riluttanza cinese a passare da una strategia "sotto la soglia" a un conflitto attivo contro Taiwan è influenzata da diversi fattori, tra cui la preparazione difensiva di Taiwan, la deterrenza estesa degli Stati Uniti e le limitazioni del PLA nelle operazioni di sbarco anfibio e nella guerra urbana. Inoltre, la leadership cinese potrebbe temere che un'invasione su vasta scala alienerebbe la maggioranza della popolazione taiwanese, che Pechino sostiene essere favorevole alla riunificazione, danneggiando il prestigio di Xi Jinping. Recentemente, anche la campagna anticorruzione all'interno del PLA ha creato incertezza e potenziali debolezze nelle forze armate cinesi, influenzando la valutazione della leadership sulle probabilità di successo di un'operazione militare. Le Filippine Le dispute tra Cina e Filippine nel Mar Cinese Meridionale si sono intensificate negli anni, con la Cina che cerca di estendere il suo territorio costiero e le sue zone economiche esclusive (ZEE). Episodi come l'occupazione di Mischief Reef nel 1994 e l'incagliamento deliberato della nave filippina BRP Sierra Madre sulla Second Thomas Shoal nel 1999 hanno segnato momenti chiave di tensione. Tuttavia, le relazioni sono peggiorate significativamente durante la presidenza di Benigno Aquino III (2010-2016). Sotto la presidenza Aquino, le Filippine hanno adottato una linea più dura nei confronti delle rivendicazioni cinesi, in particolare dopo l'occupazione cinese della Scarborough Shoal nel 2012. In risposta, le Filippine hanno rinominato ufficialmente il Mar Cinese Meridionale (SCS) come Mar delle Filippine Occidentali e hanno avviato un procedimento di arbitrato internazionale presso la Corte Permanente di Arbitrato delle Nazioni Unite, contestando le ampie rivendicazioni cinesi all'interno della ZEE filippina. La Cina ha reagito costruendo strutture su scogliere e atolli nelle Isole Spratly, stabilendo zone amministrative e dispiegando sistemi di difesa aerea. Inoltre, le navi cinesi hanno iniziato a disturbare regolarmente le forze filippine nel SCS, ostacolando le missioni di rifornimento e utilizzando tattiche aggressive. Nonostante un iniziale periodo di distensione sotto il presidente Rodrigo Duterte, la Cina ha ripreso le azioni di disturbo nei confronti delle Filippine, in particolare dopo la sentenza del 2016 della Corte Permanente di Arbitrato che ha respinto gran parte delle rivendicazioni cinesi basate sulla "linea dei nove tratti". L'attuale presidente Ferdinand "Bongbong" Marcos Jr. ha adottato una posizione ancora più ferma nei confronti della Cina, rafforzando i legami con gli Stati Uniti e intensificando la resistenza alle provocazioni cinesi. Un vantaggio cruciale per le Filippine è il suo trattato di alleanza con gli Stati Uniti, che, secondo successive amministrazioni statunitensi, copre anche le dispute nel SCS, inclusa la BRP Sierra Madre. Il sostegno degli Stati Uniti, tramite esercitazioni congiunte, fornitura di intelligence e potenziale scorta alle missioni di rifornimento filippine, funge da deterrente per un'escalation cinese. Le Filippine hanno anche utilizzato con successo il ricorso legale internazionale e hanno minacciato di adire nuovamente la Corte Permanente di Arbitrato in risposta alle continue azioni di disturbo cinesi. Inoltre, le Filippine stanno attivamente potenziando le proprie capacità di difesa, acquisendo nuove armi, tra cui aerei da combattimento, navi da guerra e missili anti-nave, come i missili supersonici Brahmos dall'India. Questi missili, schierati strategicamente, avrebbero la capacità di colpire bersagli nell'intero SCS, dallo Stretto di Taiwan alle Isole Spratly, aumentando significativamente i costi potenziali di qualsiasi azione ostile cinese. Conseguenze Geopolitiche La strategia "sotto la soglia" della Cina e la conseguente reazione dei paesi vicini hanno profonde conseguenze geopolitiche nella regione indo-pacifica. La persistente pressione cinese rafforza la percezione di una minaccia crescente, spingendo i paesi più piccoli a cercare alleanze esterne, in particolare con gli Stati Uniti e i suoi alleati. Questo porta a un rafforzamento delle partnership bilaterali e alla nascita di "minilaterali" come il Quad (Stati Uniti, Australia, India e Giappone) e AUKUS (Australia, Regno Unito e Stati Uniti), il cui obiettivo principale è controbilanciare l'influenza cinese. La mancata risoluzione delle dispute nel Mar Cinese Meridionale attraverso istituzioni multilaterali come l'ASEAN, a causa dei conflitti di interesse tra i suoi membri, spinge ulteriormente i paesi a cercare soluzioni al di fuori di questi contesti. La crescente competizione strategica porta a una regionalizzazione della corsa agli armamenti, con un aumento degli investimenti in capacità militari avanzate da parte di numerosi paesi, modificando gli equilibri di potere e aumentando il rischio di incidenti. Conseguenze Strategiche Dal punto di vista strategico, la strategia cinese "sotto la soglia" mira a ottenere guadagni territoriali e di influenza senza innescare un conflitto aperto che comporterebbe costi elevati e rischi di coinvolgimento di potenze esterne. Tuttavia, questa strategia presenta delle vulnerabilità. Il continuo ricorso a tattiche di disturbo senza un'escalation finale rischia di erodere la credibilità della deterrenza cinese. Inoltre, spinge gli avversari a rafforzare le proprie difese e a cercare il sostegno di potenze esterne, potenzialmente isolando la Cina a livello regionale e internazionale. La dipendenza da tattiche "sotto la soglia" potrebbe anche riflettere incertezze sulle reali capacità del PLA in caso di conflitto ad alta intensità, in particolare nelle operazioni anfibie e nella guerra urbana, nonché le ripercussioni della recente campagna anticorruzione all'interno delle forze armate. La crescente attenzione degli Stati Uniti alla regione indo-pacifica, con il rafforzamento delle proprie alleanze e la conduzione di operazioni tese ad assicurare la libertà di navigazione (Operazioni di SLOC control), pone ulteriori vincoli alle ambizioni strategiche cinesi. Conseguenze Marittime Le conseguenze marittime della strategia cinese sono evidenti nel Mar Cinese Meridionale e nello Stretto di Taiwan. La presenza costante e aggressiva della Guardia Costiera e della Marina cinese nelle acque contese mette a rischio la libertà di navigazione e il commercio internazionale. Le azioni di disturbo contro le navi filippine e le incursioni aeree vicino a Taiwan creano un ambiente di instabilità e aumentano il rischio di errori di calcolo o incidenti che potrebbero portare a un'escalation. La costruzione di isole artificiali militarizzate nel Mar Cinese Meridionale ha alterato la geografia della regione, fornendo alla Cina basi operative avanzate e rafforzando le sue rivendicazioni territoriali de facto. La risposta dei paesi vicini, con il potenziamento delle proprie guardie costiere e marine militari, contribuisce a una crescente militarizzazione delle acque regionali, aumentando la probabilità di confronti. Conseguenze per l'Italia Per l'Italia, le dinamiche in atto nei mari adiacenti alla Cina hanno diverse implicazioni. In primo luogo, la stabilità della regione indo-pacifica è cruciale per il commercio internazionale, data l'importanza delle rotte marittime che attraversano queste aree. Un'escalation del conflitto potrebbe avere gravi ripercussioni sull'economia globale, inclusa quella italiana. In secondo luogo, l'Italia, come membro dell'Unione Europea e alleato degli Stati Uniti, è indirettamente coinvolta nelle dinamiche di sicurezza regionali. Le decisioni prese a livello internazionale in risposta alle azioni cinesi e il ruolo degli Stati Uniti nella regione hanno implicazioni per la politica estera e di difesa italiana. In terzo luogo, la crescente militarizzazione della regione e la corsa agli armamenti potrebbero creare nuove opportunità per l'industria della difesa italiana, ma richiedono anche un'attenta valutazione degli equilibri geopolitici e delle alleanze. Infine, l'Italia ha un interesse nel promuovere il rispetto del diritto internazionale e la risoluzione pacifica delle dispute, principi messi alla prova dalle azioni della Cina nel Mar Cinese Meridionale. Conclusioni e Raccomandazioni La strategia militare "sotto la soglia" impiegata dalla Cina nei suoi mari adiacenti rappresenta una sfida complessa e persistente per la sicurezza regionale. Sebbene eviti un conflitto aperto su vasta scala, la sua natura coercitiva altera gradualmente lo status quo a vantaggio della Cina, mettendo a dura prova la resilienza e la deterrenza dei paesi vicini. I casi di Taiwan e delle Filippine illustrano come questa strategia si manifesti in modi diversi, influenzati dalle specifiche capacità militari, dalle alleanze e dalla determinazione politica degli stati presi di mira. Le conseguenze di questa strategia sono molteplici e interconnesse, con implicazioni geopolitiche che vanno oltre la regione indo-pacifica. La crescente polarizzazione, la corsa agli armamenti e la formazione di nuove alleanze strategiche sono tutti sintomi di un ambiente di sicurezza in evoluzione. Per l'Italia, è fondamentale monitorare attentamente questi sviluppi e sostenere iniziative diplomatiche volte a promuovere la stabilità regionale e il rispetto del diritto internazionale. È altresì importante rafforzare la cooperazione con gli alleati e i partner nella regione, in linea con gli interessi economici e di sicurezza nazionali. Si raccomanda, pertanto, di:
Riferimento: Atul Kumar, “Challenges to China’s ‘Below the Threshold’ Military Strategy in Its Near Seas,” ORF Occasional Paper No. 472, April 2025, Observer Research Foundation. https://www.orfonline.org/research/challenges-to-china-s-below-the-threshold-military-strategy-in-its-near-seas © RIPRODUZIONE RISERVATA
OHi Mag Report Geopolitico nr. 102 Introduzione L'articolo di Arzan Tarapore pubblicato su Foreign Affairs nell'aprile 2025 solleva una questione cruciale per la politica estera e di sicurezza degli Stati Uniti: la necessità di una strategia più robusta e definita per l'Oceano Indiano. L'autore evidenzia come, nonostante la crescente importanza strategica di questa regione, Washington abbia spesso relegato l'Oceano Indiano a un ruolo secondario rispetto alle sfide più immediate nel Pacifico occidentale. Tuttavia, l'ascesa della Cina e la sua crescente influenza nell'Oceano Indiano rappresentano una minaccia significativa per gli interessi statunitensi e dei suoi partner, in particolare i membri del Quad (Australia, India e Giappone). Tarapore sostiene che è giunto il momento per gli Stati Uniti di passare da principi guida vaghi a una strategia omnicomprensiva che integri più strettamente la cooperazione militare con i suoi alleati, al fine di contrastare le ambizioni di Pechino e preservare un ordine internazionale libero e aperto. La recente intensificazione degli incontri tra alti funzionari militari del Quad e l'enfasi sulla sicurezza nelle riunioni dei ministri degli esteri segnalano un potenziale cambio di rotta, che l'articolo esamina nel dettaglio, delineando le implicazioni geopolitiche, strategiche, marittime e le conseguenze specifiche per l'Italia. I Fatti L'articolo inizia con il resoconto di un incontro significativo tenutosi a Nuova Delhi tra l'ammiraglio Samuel Paparo, comandante dell'Indo-Pacific Command degli Stati Uniti, e i suoi omologhi di Australia, India e Giappone. Questo evento, insolito data la dichiarata assenza di un pilastro di difesa formale all'interno del Quad, sottolinea una crescente consapevolezza tra i suoi membri della necessità di affrontare in modo più diretto le sfide alla sicurezza nella regione indo-pacifica. Precedentemente, anche un incontro dei ministri degli esteri del Quad aveva posto un'enfasi inusuale sulle questioni di sicurezza, segnalando un'evoluzione nella percezione delle priorità del gruppo. Dalla sua istituzione, il Quad si è concentrato principalmente su sfide alla sicurezza non tradizionali, come i disastri naturali e la pesca illegale, evitando in larga misura l'integrazione delle operazioni militari convenzionali. Tuttavia, la rapida crescita della potenza e dell'influenza cinese sta rendendo questa cautela insostenibile. La Cina sta attivamente espandendo la sua presenza nell'Oceano Indiano, attraverso investimenti infrastrutturali, operazioni di influenza politica e un significativo potenziamento della sua marina militare, inclusa la costruzione di navi a lungo raggio e l'intensificazione delle attività di intelligence. L'autore evidenzia come gli Stati Uniti abbiano storicamente sottovalutato l'importanza strategica dell'Oceano Indiano, concentrandosi maggiormente sulle tensioni nel Pacifico occidentale. Tuttavia, l'Oceano Indiano riveste un ruolo cruciale per l'economia globale, essendo attraversato da vitali rotte commerciali che collegano Asia, Europa e Medio Oriente. Inoltre, la regione è ricca di risorse naturali, tra cui risorse ittiche e minerali essenziali per la sicurezza alimentare e le catene di approvvigionamento globali. La mancata risposta da parte degli Stati Uniti e dei suoi partner all'espansionismo cinese nell'Oceano Indiano potrebbe portare a una crescente vulnerabilità alla coercizione di Pechino. Entro un decennio, una presenza navale cinese in espansione potrebbe essere in grado di minacciare le rotte marittime globali, sfruttare ulteriormente le risorse dei paesi della regione e proiettare potenza militare ben oltre le sue attuali capacità. Per evitare questo scenario, gli Stati Uniti devono elaborare una strategia globale per l'Oceano Indiano che tenga conto delle preoccupazioni degli stati regionali e rafforzi la capacità di Washington di esercitare forza militare nella zona. Negli ultimi anni, la politica statunitense nell'Indo-Pacifico è stata guidata da principi vaghi come la fornitura di "beni pubblici internazionali" e la preservazione di un "Indo-Pacifico libero e aperto". Sebbene questi obiettivi siano ampiamente condivisibili, la loro genericità non fornisce indicazioni operative chiare per affrontare le specifiche sfide nell'Oceano Indiano. Tarapore sottolinea come l'espansione militare cinese nell'Oceano Indiano rappresenti un rischio a lungo termine per gli interessi degli Stati Uniti e dei suoi partner. In particolare, si prevede che l'attività sottomarina cinese supererà presto la capacità di contrasto dell'India o di qualsiasi altro singolo paese nella regione. Nonostante l'India mantenga una significativa presenza navale nell'Oceano Indiano e contribuisca alla sicurezza regionale, i suoi investimenti in nuove capacità sono limitati rispetto a quelli della Cina e sono rallentati negli ultimi anni. L'autore riconosce gli sforzi del Quad nella cooperazione su questioni non militari, come la distribuzione di vaccini COVID, la ricerca sul cancro e la definizione di standard per le telecomunicazioni. L'obiettivo di tali iniziative è rafforzare la resilienza dei piccoli stati regionali, rendendoli meno vulnerabili alla coercizione cinese. Tuttavia, il Quad ha finora evitato qualsiasi forma di cooperazione militare che potesse essere interpretata come un tentativo di costruire una potenza combattente, per timore di una reazione negativa da parte dei paesi del Sud-est asiatico, preoccupati per una potenziale competizione destabilizzante tra Stati Uniti e Cina. Le attività militari congiunte, come le esercitazioni navali Malabar, vengono condotte al di fuori della cornice formale del Quad. Attualmente, l'India svolge un ruolo cruciale come "fornitore di sicurezza netto" nella regione, ma la sua capacità di contrastare la crescente presenza navale cinese sarà sempre più limitata. Conseguenze Geopolitiche Le conseguenze geopolitiche dell'espansione cinese nell'Oceano Indiano sono profonde e di vasta portata. Se gli Stati Uniti e i loro partner non riusciranno a contrastare questa tendenza, si assisterà a un progressivo spostamento dell'equilibrio di potere nella regione a favore della Cina. Questo potrebbe portare a una maggiore influenza di Pechino sulle decisioni politiche ed economiche dei paesi dell'Oceano Indiano, con una conseguente riduzione della sovranità e dell'autonomia di questi stati. La capacità della Cina di "comprare" le élite politiche e di investire massicciamente in infrastrutture le conferirebbe un vantaggio strategico significativo. Un'ulteriore conseguenza geopolitica sarebbe l'erosione dell'ordine internazionale promosso dagli Stati Uniti e dai suoi alleati. La Cina, con la sua crescente potenza, potrebbe essere incentivata a sfidare il ruolo egemone degli USA e a promuovere un sistema internazionale più allineato ai suoi interessi e valori. Questo potrebbe portare a una maggiore instabilità regionale e globale, con un aumento del rischio di conflitti. La crescente presenza militare cinese nell'Oceano Indiano potrebbe anche avere implicazioni significative per le alleanze e i partenariati esistenti nella regione. I paesi che si sentono minacciati dall'espansionismo cinese potrebbero essere più propensi a cercare l'appoggio degli Stati Uniti e dei suoi alleati, rafforzando potenzialmente le dinamiche di blocco. Tuttavia, altri paesi, per ragioni economiche o politiche, potrebbero essere riluttanti a schierarsi apertamente contro la Cina, preferendo una politica di neutralità o di accomodamento. Conseguenze Strategiche Dal punto di vista strategico, la crescente presenza militare cinese nell'Oceano Indiano pone una serie di sfide significative per gli Stati Uniti e i suoi partner. La capacità della marina cinese di proiettare potenza sempre più lontano dalle sue coste, inclusa la possibilità di schierare sottomarini avanzati, rappresenta una minaccia diretta per le linee di comunicazione marittime (SLOC) vitali per il commercio globale e per il movimento delle forze militari statunitensi e alleate. La superiorità numerica della marina cinese e il suo rapido ammodernamento mettono in discussione la tradizionale superiorità navale degli Stati Uniti nella regione indo-pacifica. Se questa tendenza dovesse continuare, gli Stati Uniti potrebbero trovarsi in una posizione di svantaggio in caso di crisi o conflitto. Inoltre, la capacità cinese di raccogliere intelligence nell'Oceano Indiano è in aumento, il che potrebbe compromettere la capacità degli Stati Uniti e dei suoi partner di monitorare e rispondere efficacemente alle attività militari cinesi. La mancanza di una condivisione di intelligence efficace tra gli alleati, come evidenziato nell'articolo, rappresenta un ulteriore elemento di vulnerabilità. Per contrastare queste sfide strategiche, gli Stati Uniti devono adottare un approccio più proattivo e integrato. Ciò include non solo il rafforzamento delle proprie capacità militari nella regione, ma anche una maggiore cooperazione con i suoi partner, in particolare nel campo dell'intelligence, delle operazioni congiunte, della prontezza militare e della modernizzazione degli armamenti. Conseguenze Marittime Le conseguenze marittime dell'espansionismo cinese nell'Oceano Indiano sono strettamente legate alle implicazioni strategiche. La crescente presenza della marina cinese solleva preoccupazioni riguardo alla sicurezza delle rotte marittime che attraversano la regione. La potenziale capacità cinese di interrompere o minacciare queste rotte avrebbe un impatto devastante sul commercio globale, con ripercussioni economiche per tutti i paesi, inclusa l'Italia. Inoltre, l'aumento delle attività navali cinesi potrebbe portare a una maggiore competizione per l'accesso alle risorse marittime, come la pesca e i minerali sottomarini. Ciò potrebbe esacerbare le tensioni regionali e portare a conflitti. La capacità cinese di proiettare potenza navale potrebbe anche essere utilizzata per esercitare pressione sui paesi costieri dell'Oceano Indiano, influenzando le loro politiche marittime e il loro accesso alle risorse. Per preservare la libertà di navigazione e la sicurezza marittima nell'Oceano Indiano, è essenziale che gli Stati Uniti e i suoi partner rafforzino la loro presenza navale nella regione e conducano operazioni di pattugliamento e sorveglianza congiunte. È inoltre importante promuovere il rispetto del diritto internazionale marittimo e risolvere pacificamente le dispute territoriali e marittime. Conseguenze per l'Italia Sebbene geograficamente distante dall'Oceano Indiano, l'Italia non è immune alle conseguenze degli sviluppi geopolitici e strategici in questa regione che, per la parte occidentale, è inserita nell’area definita come Mediterraneo Allargato e quindi di primario interesse nazionale. L'Italia è un'economia fortemente dipendente dal commercio internazionale, e le rotte marittime che attraversano l'Oceano Indiano sono vitali per il trasporto di merci tra l'Asia, l'Europa e il Mediterraneo. Qualsiasi interruzione o minaccia a queste rotte, causata dall'instabilità regionale o dalla crescente influenza cinese, potrebbero avere ripercussioni negative sull'economia italiana, aumentando i costi di trasporto e potenzialmente interrompendo le catene di approvvigionamento. Inoltre, l'Italia, come membro dell'Unione Europea e della NATO, ha un interesse nella preservazione di un ordine internazionale stabile, sicuro e ordinato e nella prevenzione di dinamiche di potere che potrebbero minacciare la stabilità globale. L'espansionismo cinese nell'Oceano Indiano potrebbero rappresentare una sfida questo ordine qualora porti a tensioni con l’India, potenza regionale nel contesto dell’Oceano Indiano. L'Italia partecipa già ad alcune iniziative di sicurezza marittima nel Mediterraneo allargato nell’Oceano Indiano occidentale, come l'operazione Atalanta dell'UE per la lotta alla pirateria e l’operazione Aspìdes. Tuttavia, alla luce della crescente complessità delle sfide nella regione, potrebbe essere necessario un maggiore impegno da parte dell'Italia e dell'Unione Europea nel rafforzare la cooperazione con l’India e gli altri partner, anche nel campo della sicurezza marittima e della condivisione di intelligence. L'Italia potrebbe anche svolgere un ruolo diplomatico nel promuovere il dialogo e la cooperazione tra i paesi della regione, al fine di mitigare le tensioni e prevenire conflitti. È fondamentale che l'Italia mantenga un approccio equilibrato, cercando di preservare le proprie relazioni economiche con la Cina, pur sostenendo i principi di libertà di navigazione, rispetto del diritto internazionale e sovranità degli stati. Conclusioni e Raccomandazioni In conclusione, l'articolo di Arzan Tarapore evidenzia in modo convincente la crescente importanza strategica dell'Oceano Indiano e la necessità urgente per gli Stati Uniti di elaborare una strategia più definita e robusta per affrontare la crescente influenza cinese nella regione. La tradizionale sottovalutazione dell'Oceano Indiano da parte di Washington non è più sostenibile di fronte alle ambizioni di Pechino e al potenziale impatto sulla sicurezza globale e sugli interessi degli Stati Uniti e dei suoi partner. Le conseguenze geopolitiche, strategiche e marittime dell'espansionismo cinese nell'Oceano Indiano sono significative e potrebbero portare a uno spostamento dell'equilibrio di potere, all'erosione dell'ordine internazionale e a minacce alla libertà di navigazione e al commercio globale. Anche l'Italia, pur trovandosi geograficamente distante, risentirebbe delle ripercussioni economiche e geopolitiche di questi sviluppi. Per contrastare queste sfide, Tarapore raccomanda che gli Stati Uniti adottino una strategia omnicomprensiva per l'Oceano Indiano che vada oltre la fornitura di "beni pubblici internazionali" e si concentri sul rafforzamento delle basi abilitanti della potenza militare propria e dei suoi partner: intelligence, operazioni, prontezza e modernizzazione. Una maggiore cooperazione militare con i membri del Quad e altri partner regionali, pur tenendo conto delle sensibilità dei paesi del Sud-est asiatico, è essenziale per costruire una deterrenza credibile e preservare la stabilità nella regione. Una strategia efficace richiederà un coordinamento più stretto tra le agenzie governative statunitensi e con gli alleati e i partner, fornendo una guida chiara e definendo priorità militari specifiche. Per l'Italia e l'Unione Europea, è cruciale monitorare attentamente gli sviluppi nell'Oceano Indiano e rafforzare la cooperazione con l’India, gli Stati Uniti e gli altri partner per preservare la sicurezza marittima, la libertà di navigazione e la stabilità e sicurezza dell'ordine internazionale. Un maggiore impegno diplomatico e una possibile maggiore partecipazione a iniziative di sicurezza nella regione potrebbero essere necessari per tutelare gli interessi italiani ed europei in un contesto geopolitico in rapida evoluzione. Riferimento: Tarapore, A. (2025, April 7). America Needs a Real Indian Ocean Strategy. Foreign Affairs. From https://www.foreignaffairs.com/united-states/america-needs-real-indian-ocean-strategy © RIPRODUZIONE RISERVATA
OHi Mag Report Geopolitico nr. 101 La partecipazione di Donald Trump alla cerimonia funebre di Papa Francesco è un gesto che può essere letto in modi diversi. Da un lato, potrebbe essere interpretato come un atto di rispetto universale verso la morte, un momento che, al di là delle divergenze ideologiche, impone una pausa di riconoscimento della comune fragilità umana. Dall’altro, non si può ignorare il sospetto che si tratti di un calcolo politico, un’occasione per proiettare un’immagine di statista al di sopra delle divisioni. È vero che, in tali circostanze, persino figure polarizzanti come Trump si trovano a confrontarsi con l’ineluttabilità della fine. La morte, infatti, è il grande equalizzatore: di fronte a essa, ogni disputa terrena perde peso. In questo senso, la sua presenza potrebbe essere vista come un’ammissione implicita che, in fondo, tutti - persino chi ha costruito la propria carriera sul conflitto - devono prima o poi inchinarsi davanti a qualcosa di più grande. Tuttavia, è difficile separare completamente il gesto dalla sua natura politica. Trump non è un uomo noto per il distacco dalle proprie posizioni, né per il rispetto istituzionale verso chi la pensa diversamente. Se avesse voluto dimostrare coerenza, avrebbe potuto evitare di partecipare, confermando la sua linea di antagonismo verso certi valori. Invece, ha scelto di esserci, e questo solleva domande: è un segno di ipocrisia opportunistica o un momento di autentica riflessione? Forse la risposta sta nel mezzo. Anche se motivato da calcolo, il suo gesto dimostra comunque che, in certe circostanze, persino i leader più divisivi riconoscono l’importanza simbolica di certi riti. E questo, in sé, è significativo. Non tanto per Trump in quanto individuo, ma per ciò che rivela della natura umana: la capacità, anche se parziale e contraddittoria, di riconoscere che esistono momenti in cui persino le rivalità devono cedere il passo a un silenzio condiviso. Alla fine, che la sua presenza fosse calcolata o meno, poco importa. Quel che conta è che, in un’epoca di polarizzazione estrema, persino un uomo come Trump ha sentito il bisogno di onorare - almeno formalmente - un momento di unità universale. E questo, in qualche modo, dice più sulla nostra società che su di lui. © RIPRODUZIONE RISERVATA
OHi Mag Report Geopolitico nr. 100 Introduzione Nell'aprile del 2025, uno scenario politico internazionale caratterizzato da dinamiche complesse e riallineamenti strategici ha visto il Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, recarsi in visita ufficiale a Washington per incontrare il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Questo incontro, analizzato da diverse testate come Formiche.net, Notizie Geopolitiche e InsideOver, assume un significato che trascende le mere relazioni bilaterali. Viene dipinto come un momento potenzialmente cruciale non solo per il posizionamento dell'Italia sullo scacchiere globale, ma anche per il futuro delle relazioni tra gli Stati Uniti e l'Unione Europea, messe alla prova da tensioni commerciali e divergenze strategiche. Le analisi convergono nel presentare Meloni non solo come leader nazionale, ma come figura capace di interpretare un ruolo di ponte e di mediatrice, investita, anche informalmente, di una responsabilità di portata europea, in un contesto segnato dalla politica assertiva di Trump e dalle sfide poste da attori globali come la Cina. I fatti descritti negli articoli ruotano attorno alla visita di Giorgia Meloni alla Casa Bianca il 17 aprile 2025. L'accoglienza riservata da Donald Trump alla premier italiana è descritta come particolarmente calorosa. Trump, attraverso i suoi canali social e dichiarazioni alla stampa, definisce Meloni "uno dei veri leader del mondo", elogiandone il lavoro e dichiarandosi "orgoglioso" di lei. Questo clima positivo fa da sfondo a discussioni su dossier cruciali. In primo piano vi è la questione dei dazi commerciali imposti da Trump, che hanno creato forti tensioni con l'Unione Europea. Durante l'incontro, è emersa una significativa apertura da entrambe le parti: Trump ha espresso fiducia sulla possibilità di raggiungere un accordo commerciale con l'UE ("Al 100%"), mentre Meloni HO sottolineato la necessità di parlarsi "francamente" e "trovarsi a metà strada", affermando la sua convinzione che un'intesa sia possibile. Un altro tema centrale è l'impegno nella difesa comune. Meloni, secondo quanto riportato, ha rassicurato Trump sull'impegno italiano, annunciando l'intenzione di raggiungere l'obiettivo NATO del 2% del PIL nelle spese militari e sottolineando lo sforzo europeo per incrementare gli investimenti nel settore. Questo risponde a una delle richieste più pressanti e costanti di Trump nei confronti degli alleati europei. La visita era stata preceduta da un incontro significativo tra Meloni e la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, interpretato da analisti come Giovanni Orsina come un segnale del desiderio di una parte importante dell'Europa (in particolare la Germania, attenta all'esito del colloquio) di vedere Meloni agire come risorsa e potenziale mediatrice con Washington. Le analisi, in particolare quella di James Carafano della Heritage Foundation, inquadrano la visita in una visione strategica più ampia, quella dei "Free and Open Spaces" (spazi liberi e aperti). Carafano vede Meloni come una "leader di visione", capace di comprendere e promuovere questo concetto, alternativo alla Belt and Road Initiative cinese (definita una forma di "imperialismo"). L'Italia viene identificata come un "asset unico" in questa geografia strategica che connette l'Euro-Atlantico all'Indo-Pacifico, fungendo da snodo cruciale nell'Indo-Mediterraneo per progetti come l'India-Middle East-Europe Corridor (IMEC), valorizzato dallo stesso Trump, e potenzialmente collegabile all'Iniziativa dei Tre Mari (Trimarium). La decisa presa di distanza di Meloni dalla Via della Seta cinese viene vista come una leva positiva nei rapporti con l'amministrazione Trump, la cui politica mira a creare accordi commerciali "equi" e a ridurre le dipendenze strategiche dalla Cina, considerata un partner "immorale e pericoloso". Meloni viene quindi presentata come un esempio per altri leader europei, invitati a superare le divisioni interne e ad abbracciare un approccio pragmatico e orientato alla costruzione di alternative vantaggiose per tutti i partecipanti. Le conseguenze geopolitiche di questo incontro, come delineate dagli articoli, sono potenzialmente di vasta portata. Innanzitutto, la visita e il ruolo riconosciuto a Meloni potrebbero segnare l'inizio di una fase di distensione nei rapporti tra Stati Uniti ed Unione Europea, incrinati dalla politica dei dazi e da una certa retorica conflittuale. Meloni emerge come potenziale "ponte" o "trait d’union" tra le due sponde dell'Atlantico, un'interlocutrice privilegiata capace di dialogare con Trump in un modo che altri leader europei, o le stesse istituzioni di Bruxelles (con von der Leyen che, secondo alcune fonti, Trump rifiuterebbe di incontrare direttamente), faticano a fare. Questo rafforzerebbe l'asse transatlantico, considerato fondamentale per la stabilità occidentale, nonostante le critiche e le perplessità suscitate da alcune politiche di Trump. Il concetto di "Free and Open Spaces", promosso da Carafano e apparentemente condiviso da Meloni e Trump, delinea una nuova mappa geopolitica basata su corridoi economici, energetici e digitali alternativi a quelli dominati dalla Cina, ridefinendo le aree di influenza e cooperazione a livello globale, con un focus particolare sull'area Indo-Mediterranea. L'Italia, in questo schema, acquisisce una centralità geopolitica inedita. Sul piano strategico, le conseguenze si legano strettamente a quelle geopolitiche. L'impegno ribadito da Meloni sul fronte delle spese militari NATO (2% del PIL) è un elemento strategico chiave per consolidare la fiducia di Trump nell'alleanza e nell'impegno europeo per la propria sicurezza. La convergenza sulla necessità di ridurre la dipendenza strategica dalla Cina e di promuovere alternative come l'IMEC ha implicazioni dirette sulla sicurezza economica e tecnologica dell'Occidente. L'Italia, posizionandosi come attore affidabile e allineato su questi temi con Washington, ma anche capace di dialogare con Bruxelles, cerca di ritagliarsi un ruolo di protagonista nei nuovi equilibri strategici europei, sfruttando la sua "capacità di avere buoni rapporti con gli Stati Uniti", come sottolinea Orsina, in un contesto di fluidità dove anche Francia e Germania stanno ricalibrando le proprie posizioni. La postura italiana, pragmatica e atlantista, viene vista come un modello alternativo rispetto ad altri Paesi europei più inclini al dialogo con Pechino (come la Spagna) o in attesa di definire la propria linea (come la Germania post-Scholz). Le conseguenze marittime, sebbene non esplicitate nel dettaglio, sono intrinsecamente legate alla visione strategica dell'Indo-Mediterraneo e dei "Free and Open Spaces". Progetti come l'IMEC si basano fondamentalmente sulla sicurezza e l'apertura delle rotte marittime che collegano l'India, il Medio Oriente e l'Europa attraverso il Mar Rosso, il Canale di Suez e il Mediterraneo. L'Italia, per la sua posizione geografica al centro del Mediterraneo, è un attore marittimo naturale e fondamentale per il successo di tali corridoi. Il rafforzamento della cooperazione strategica tra USA, Italia e altri partner regionali in questa cornice implica necessariamente un'accresciuta attenzione alla sicurezza marittima, al controllo delle vie di comunicazione e alla stabilità delle aree costiere coinvolte. La visione promossa da Carafano e discussa nell'incontro si contrappone implicitamente anche all'espansione marittima legata alla Belt and Road Initiative cinese, proponendo un modello alternativo di connettività basato sulla cooperazione tra nazioni "libere e aperte". Per l'Italia, le conseguenze di questa visita e del posizionamento di Meloni sono molteplici e significative. In primo luogo, vi è un evidente rafforzamento del prestigio e del ruolo internazionale del Paese. L'Italia viene accreditata come un interlocutore chiave per gli Stati Uniti in Europa, capace di influenzare le dinamiche transatlantiche. Questo si traduce in un maggior peso specifico all'interno dell'Unione Europea stessa, dove l'Italia può giocare la carta del rapporto privilegiato con Washington come asset negoziale. Sul piano economico, l'apertura di Trump a un accordo commerciale con l'UE, facilitata dal ruolo di Meloni, sarebbe di vitale importanza per l'export italiano, fortemente dipendente dai mercati internazionali e vulnerabile a guerre commerciali. La centralità acquisita nel quadro strategico dell'Indo-Mediterraneo e in progetti come l'IMEC potrebbe aprire nuove opportunità economiche e infrastrutturali. Internamente, il successo diplomatico e l'incoronazione a "leader" da parte di Trump rafforzano la figura della premier. Tuttavia, l'Italia si trova anche a dover gestire un delicato equilibrismo tra la sponda americana e quella europea, cercando di capitalizzare i buoni rapporti con Trump senza alienarsi i partner europei e mantenendo una coerenza strategica nel lungo periodo. Conclusioni e Raccomandazioni In sintesi, la visita di Giorgia Meloni a Washington nell'aprile 2025, come emerge dalle analisi di diverse fonti italiane, rappresenta un momento diplomatico di alto profilo e dalle potenziali conseguenze rilevanti. La premier italiana ha saputo capitalizzare un rapporto personale positivo con Donald Trump, ottenendo un'apertura significativa sulla spinosa questione dei dazi commerciali e vedendosi riconosciuto un ruolo di interlocutrice privilegiata e di ponte tra Stati Uniti ed Europa. Le discussioni hanno rafforzato l'allineamento strategico su temi chiave come la NATO, la sfida cinese e la promozione di un ordine internazionale basato su "spazi liberi e aperti", con un focus sull'area Indo-Mediterranea dove l'Italia ambisce a giocare un ruolo centrale. Se da un lato questo posizionamento offre all'Italia opportunità significative in termini di influenza geopolitica, stabilità economica e prestigio internazionale, dall'altro richiede una navigazione attenta e pragmatica delle complesse dinamiche transatlantiche ed europee. Le raccomandazioni implicite che emergono dalle analisi suggeriscono a Meloni e all'Italia di continuare su questa linea pragmatica, consolidando il ruolo di mediatore affidabile, lavorando concretamente alla realizzazione dei progetti strategici condivisi come l'IMEC, e utilizzando l'influenza acquisita per favorire la coesione occidentale di fronte alle sfide globali. Riferimenti:
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OHi Mag Report Geopolitico nr. 99 Basandoci sul documento RAND del 2019, "Overextending and Unbalancing Russia", la situazione geopolitica odierna suggerisce che diverse strategie delineate in quella ricerca potrebbero essere state implementate senza una piena comprensione delle loro potenziali conseguenze e del rischio di escalation. L'analisi del 2019 esplorava opzioni per esercitare pressione sulla Russia, ma la loro applicazione, come l'espansione di alleanze o il sostegno militare a paesi limitrofi, potrebbe aver contribuito a un clima di crescente tensione e diffidenza, culminato tragicamente nell'attacco russo all'Ucraina. Lungi dall'essere un evento puramente casuale, l'escalation in Ucraina potrebbe riflettere una sottovalutazione delle reazioni russe alle politiche occidentali suggerite nel rapporto RAND. Sebbene l'intento potesse essere quello di "sbilanciare" la Russia, la mancanza di una valutazione approfondita delle soglie di tolleranza di Mosca e delle possibili contromisure ha forse innescato una reazione aggressiva. L'analisi odierna, con la persistente crisi ucraina e le fragili paci altrove, potrebbe essere una dolorosa testimonianza di come una strategia volta a contenere un avversario, se mal calibrata e senza considerare pienamente il rischio di escalation, possa paradossalmente condurre a un conflitto più ampio e destabilizzante. Si potrebbe sostenere che un approccio più prudente e una maggiore attenzione alle implicazioni a lungo termine avrebbero potuto, se non impedire del tutto l'escalation, almeno mitigarne la portata. Come mettere pressione sulla Russia Introduzione Il presente documento riassume un'analisi approfondita condotta dalla RAND Corporation, focalizzata sull'individuazione di strategie non violente attraverso le quali gli Stati Uniti e i loro alleati potrebbero esercitare una pressione significativa sulla Russia. L'obiettivo primario di tali strategie è quello di "sovra-estendere e sbilanciare" la Federazione Russa, agendo simultaneamente sulla sua economia, sulle sue capacità militari e sulla stabilità del suo sistema politico, sia internamente che sulla scena internazionale. L'analisi prende le mosse dal riconoscimento della persistente rilevanza della Russia come attore globale e come concorrente degli Stati Uniti in specifici ambiti, nonostante le sue intrinseche vulnerabilità e le sue manifeste ansietà geopolitiche. La RAND Corporation, forte della sua tradizione di studi strategici risalente alla Guerra Fredda, applica in questo lavoro il concetto di competizione strategica a lungo termine al contesto attuale, valutando una vasta gamma di opzioni attraverso un'analisi qualitativa che ne considera la probabilità di successo nell'esercitare pressione sulla Russia, i potenziali benefici derivanti dalla loro implementazione e i costi e i rischi ad essi associati. La disamina si articola in diverse aree strategiche, spaziando dalle dinamiche geopolitiche e informative fino alle implicazioni militari nei domini aereo-spaziale e marittimo, con l'intento di fornire un quadro completo delle possibili leve attraverso le quali influenzare il comportamento e le capacità della Russia. La disamina delle misure geopolitiche definibili come cost-imposing options si concentra su azioni che potrebbero alterare l'equilibrio di potere regionale e globale, aumentando le sfide e i costi per la Russia nel perseguire i propri interessi. La fornitura di aiuto militare letale all'Ucraina emerge come una strategia potenzialmente efficace per sfruttare la vulnerabilità esterna più critica della Russia, ma viene sottolineata la cruciale necessità di una calibrazione precisa per evitare un'escalation incontrollata. Analogamente, l'incremento del sostegno ai gruppi ribelli in Siria è valutato come meno promettente a causa dei potenziali effetti controproducenti e della complessa dinamica del conflitto. La promozione della liberalizzazione in Bielorussia è considerata un'opzione ad alto rischio di fallimento e di provocazione di una reazione russa negativa. L'espansione dei legami nel Caucaso Meridionale e la riduzione dell'influenza russa in Asia Centrale sono ritenute iniziative difficili da realizzare e potenzialmente costose per gli Stati Uniti. Infine, l'ipotesi di "ribaltare" la Transnistria è vista come un'azione con benefici limitati e potenziali costi aggiuntivi. Nel dominio ideologico e informativo, le strategie analizzate mirano a erodere il sostegno interno al regime russo e a minarne l'influenza internazionale. La diminuzione della fiducia nel sistema elettorale russo è considerata un obiettivo difficile da raggiungere a causa del controllo statale sui media. La creazione della percezione che il regime non persegue l'interesse pubblico, focalizzandosi sulla corruzione, presenta incertezze sugli esiti e rischi elevati. L'incoraggiamento di proteste interne e forme di resistenza nonviolenta, pur mirando a destabilizzare il regime, è considerato difficile da influenzare direttamente da parte di attori esterni e comporta rischi significativi. Minare l'immagine della Russia all'estero, attraverso sanzioni e boicottaggi, potrebbe danneggiare il prestigio del paese, ma il suo impatto sulla stabilità interna rimane incerto. Nel settore aereo e spaziale, le cost-imposing options si concentrano sul forzare la Russia ad aumentare le proprie spese militari in risposta a iniziative statunitensi e alleate. Il riposizionamento di bombardieri a portata di obiettivi strategici russi è considerato un'azione ad alta probabilità di successo e a basso costo/rischio. Al contrario, il riposizionamento di aerei da caccia più vicino ai loro obiettivi presenta maggiori rischi e una minore probabilità di successo. Lo schieramento di ulteriori armi nucleari tattiche potrebbe aumentare l'ansia russa e stimolare investimenti nelle difese aeree, ma comporta rischi significativi di reazioni negative. Il riposizionamento di sistemi di difesa antimissile balistici è giudicato poco efficace a causa della capacità russa di saturare tali sistemi. L'incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo aerospaziale, in particolare in aerei a bassa osservabilità, droni, missili a lungo raggio e tecnologie di guerra elettronica, è visto come un modo per sfruttare le paure russe nei confronti della superiorità aerea statunitense e per indurre Mosca a incrementare le proprie spese in contromisure. Nel dominio marittimo, le cost-imposing options includono l'aumento della presenza navale statunitense e alleata nelle aree operative russe, l'incremento della ricerca e sviluppo navale (in particolare in armi sottomarine) e uno spostamento della postura nucleare verso sottomarini lanciamissili balistici. Queste misure mirano a forzare la Russia a investire maggiori risorse nelle proprie capacità navali. Infine, l'ipotesi di contrastare il rafforzamento militare russo nel Mar Nero attraverso il dispiegamento di sistemi anti-accesso e di interdizione d'area da parte della NATO è considerata un'opzione potenzialmente efficace, sebbene comporti sfide politiche e logistiche. Conseguenze Geopolitiche Le misure geopolitiche, se implementate, avrebbero un impatto significativo sull'assetto regionale e globale. Un aumento dell'aiuto letale all'Ucraina potrebbe intensificare il conflitto e le tensioni con la Russia, con potenziali ripercussioni sulla stabilità dell'Europa orientale. Un maggiore coinvolgimento in Siria rischierebbe di alimentare ulteriormente l'instabilità regionale e di rafforzare attori non statali indesiderati. La pressione sulla Bielorussia potrebbe portare a una maggiore integrazione di quest'ultima con la Russia, rafforzando l'influenza di Mosca. Le iniziative nel Caucaso Meridionale e in Asia Centrale potrebbero innescare reazioni russe volte a preservare la propria sfera di influenza. La questione della Transnistria potrebbe diventare un ulteriore punto di contesa tra Russia e Occidente. In generale, un'intensificazione delle misure geopolitiche costo-imponenti aumenterebbe le tensioni internazionali e la competizione strategica tra le grandi potenze. Conseguenze Strategiche Le conseguenze strategiche delle azioni descritte sarebbero profonde, influenzando gli equilibri di potere militari e la stabilità strategica globale. Le opzioni militari cost-imposing, in particolare quelle nel dominio aereo e spaziale, potrebbero innescare una nuova corsa agli armamenti, con entrambe le parti costrette a investire in capacità offensive e difensive per contrastare le mosse dell'avversario. Il riposizionamento di forze militari e lo sviluppo di nuove armi potrebbero alterare le percezioni di deterrenza e aumentare il rischio di errori di calcolo e di escalation in caso di crisi. La competizione strategica si estenderebbe anche al dominio marittimo, con implicazioni per la sicurezza delle rotte commerciali e per la proiezione di potenza navale. La stabilità nucleare potrebbe essere messa a rischio da alcune delle opzioni considerate, in particolare quelle relative allo schieramento di armi nucleari tattiche e alla difesa antimissile. Conseguenze Marittime Le cost-imposing options nel dominio marittimo avrebbero implicazioni dirette per la competizione navale tra Stati Uniti, NATO e Russia. Un aumento della presenza navale occidentale nelle aree operative russe forzerebbe Mosca a rispondere con maggiori investimenti nella propria flotta, potenzialmente a scapito di altre priorità militari. L'enfasi sulla ricerca e sviluppo di maggiori capacità ASW dei battelli aumenterebbe la pressione sulla flotta sottomarina russa, in particolare sui sottomarini lanciamissili balistici, che rappresentano un elemento chiave della deterrenza nucleare russa. Il contrasto al rafforzamento militare russo nel Mar Nero, sebbene mirato a limitare l'influenza russa in quella regione, potrebbe portare a un'escalation di tensioni e a un aumento del rischio di incidenti marittimi. Conseguenze per l’Italia Le conseguenze per l'Italia delle strategie costo-imponenti nei confronti della Russia sarebbero molteplici e interconnesse. In quanto membro della NATO e dell'Unione Europea, l'Italia sarebbe chiamata a partecipare attivamente all'implementazione di molte delle misure proposte, in particolare quelle relative a sanzioni economiche, iniziative geopolitiche e rafforzamento della postura militare alleata. L'aumento delle tensioni tra Occidente e Russia potrebbe avere ripercussioni economiche significative per l'Italia, data la sua esposizione nei settori dell'energia, del commercio e degli investimenti. Dal punto di vista della sicurezza, l'Italia sarebbe direttamente interessata da qualsiasi deterioramento della stabilità in Europa orientale e nel Mediterraneo, con potenziali implicazioni per la sua difesa e per la gestione dei flussi migratori. Inoltre, l'Italia, in quanto paese con una forte tradizione diplomatica, potrebbe svolgere un ruolo cruciale nel cercare di contenere le tensioni e nel promuovere canali di dialogo tra le parti. La necessità di bilanciare la pressione sulla Russia con la ricerca di soluzioni diplomatiche rappresenterebbe una sfida politica e strategica significativa per l'Italia. Conclusioni e Raccomandazioni L'analisi delle cost-imposing options volte a "sovraestendere e sbilanciare" la Russia evidenzia un complesso intreccio di opportunità, benefici, costi e rischi. Le opzioni più promettenti appaiono essere quelle che colpiscono direttamente le vulnerabilità economiche della Russia, come l'espansione della produzione energetica statunitense e l'imposizione di sanzioni finanziarie e commerciali più incisive. Nel settore militare, le strategie che sfruttano le paure russe nei confronti della superiorità aerea statunitense e che incentivano Mosca a disperdere risorse in costose contromisure, come gli investimenti in ricerca e sviluppo aerospaziale, appaiono promettenti. Tuttavia, è fondamentale riconoscere che la maggior parte delle opzioni analizzate comporta un certo grado di rischio di escalation e potrebbe innescare contromisure russe. Pertanto, ogni strategia dovrebbe essere attentamente calibrata e implementata nel contesto di una visione politica complessiva che integri deterrenza, difesa e, ove possibile, cooperazione con la Russia. Si raccomanda agli Stati Uniti e ai loro alleati di adottare un approccio strategico olistico, che combini diverse misure cost-imposing in modo coordinato e coerente. È cruciale monitorare attentamente le reazioni russe e adattare le proprie strategie di conseguenza. Inoltre, è essenziale mantenere aperti canali di comunicazione con Mosca per gestire i rischi di escalation e per esplorare potenziali aree di dialogo e cooperazione, laddove gli interessi convergano. Infine, per l'Italia, si raccomanda un impegno attivo all'interno delle istituzioni internazionali (NATO e UE) per contribuire alla definizione e all'implementazione di strategie coordinate, prestando particolare attenzione alla gestione dei rischi economici e di sicurezza e promuovendo iniziative diplomatiche volte a stabilizzare il contesto geopolitico. Riferimento: Questo lavoro trae spunto dall'analisi del documento RAND Corporation "Overextending and unbalancing russia: assessing the impact of cost-imposing options". Gli autori sono: James Dobbins, Raphael S. Cohen, Nathan Chandler, Bryan Frederick, Edward Geist, Paul DeLuca, Forrest E. Morgan, Howard J. Shatz, Brent Williams. Il documento può essere trovato all’indirizzo: https://www.rand.org/pubs/research_briefs/RB10014.html © RIPRODUZIONE RISERVATA
OHi Mag Report Geopolitico nr. 98 La natura cangiante della geo-strategia INTRODUZIONE Il XX secolo ha rappresentato un periodo di trasformazioni radicali nel panorama geostrategico mondiale. Il passaggio da un’epoca dominata dall’imperialismo terrestre a un’era influenzata in modo crescente dalla tecnologia, in particolare dalla potenza aerea e marittima, ha ridefinito le dinamiche di potere tra le nazioni. Questo saggio esplora l’evoluzione del pensiero geostrategico nel periodo 1900-2000, analizzando come le teorie geopolitiche, le innovazioni militari e gli eventi storici abbiano plasmato un nuovo paradigma. Si partirà dall’epoca dell’egemonia imperialista, passando per lo sviluppo della geopolitica negli Stati Uniti e in Germania, l’impatto delle rivoluzioni militari e l’emergere della potenza aerea e della portaerei, fino ad arrivare alle sfide della Guerra Fredda e alle guerre post-Vietnam, culminando con la Rivoluzione Tecnologica Militare e la Network-Centric Warfare. L’obiettivo è fornire una sintesi che colga i punti chiave di questa trasformazione, evidenziandone le conseguenze geopolitiche, strategiche, marittime e le implicazioni per l’Italia. I Fatti All’inizio del XX secolo (1890-1914), il mondo era caratterizzato da un’intensa competizione tra le potenze imperiali europee per il controllo di territori e risorse. Questa "Era dell'Egemonia Imperialista" vide emergere diverse teorie geopolitiche volte a comprendere e giustificare le ambizioni espansionistiche. In questo contesto, figure come Halford Mackinder con la sua teoria del "Cuore Geografico" (Heartland) e Alfred Thayer Mahan con la sua enfasi sul potere marittimo influenzarono profondamente il pensiero strategico dell’epoca. Negli Stati Uniti (1890-1945), il pensiero geopolitico fu inizialmente orientato verso l’isolazionismo e la difesa dell’emisfero occidentale, come espresso dalla Dottrina Monroe, ma gradualmente si evolse verso una maggiore consapevolezza del ruolo globale della nazione, soprattutto con l’ascesa della propria potenza navale. La Germania, dopo la Prima Guerra Mondiale (1919-1941), sviluppò una propria scuola di geopolitica, spesso associata a tendenze nazionalistiche ed espansionistiche, che influenzò le ambizioni del regime nazista. Il quadro teorico e storico della geo-strategia è strettamente legato al rapporto tra strategia e geografia. La geografia offre il palcoscenico per l’azione militare, influenzando le opzioni strategiche disponibili. Le "Rivoluzioni Militari" nella storia, come l’introduzione della polvere da sparo o la meccanizzazione, hanno costantemente rimodellato questo rapporto. Un punto di svolta significativo fu lo sviluppo della potenza aerea. Inizialmente vista come un’appendice delle forze terrestri e navali, l’aviazione dimostrò rapidamente il suo potenziale per operazioni offensive strategiche e per superare le difese tradizionali. L’idea del "Fianco Verticale" emerse come un nuovo paradigma operativo, in cui lo spazio aereo diveniva un teatro di operazioni cruciale, in grado di influenzare l’andamento dei conflitti terrestri e marittimi. La logistica aerea, inoltre, acquisì un’importanza crescente per il supporto delle operazioni militari lontane dalle basi. La Guerra Fredda (1947-1991) rappresentò un’era di confronto bipolare tra Stati Uniti e Unione Sovietica, caratterizzata da una corsa agli armamenti nucleari e da conflitti per procura in diverse parti del mondo. La geo-strategia durante questo periodo fu dominata dalla dottrina del contenimento e dalla deterrenza nucleare. Un’innovazione significativa fu l’introduzione della portaerei, definita come una forma di "geo-strategia artificiale". Essa proiettava la potenza marittima e aerea lontano dalle coste, consentendo agli Stati Uniti di esercitare la propria influenza globale senza la necessità di basi terrestri in ogni regione. Il periodo successivo alla Guerra del Vietnam (1973-2003) vide un’evoluzione del pensiero militare statunitense. La sconfitta in Vietnam portò a una riflessione critica sulla dottrina militare e sulla necessità di adattarsi a nuove minacce e scenari operativi. Si assistette a cambiamenti nella dottrina bellica, con una maggiore enfasi sulla tecnologia, sulla precisione e sulla rapidità delle operazioni. Il crollo dell’Unione Sovietica portò alla comparsa di nuove minacce, come il terrorismo internazionale e all’aumento del numero degli stati canaglia, che richiedevano approcci strategici differenti rispetto alla deterrenza nucleare. Il manuale FM 100-5 "Operations" (nelle sue versioni dal 1993 al 2001) rifletteva questa evoluzione, ponendo maggiore enfasi sulla manovra, sull’iniziativa dei comandanti sul campo e sull’integrazione delle diverse forze armate. La "Rivoluzione Tecnologica Militare" (RMA) divenne un elemento centrale, con l’introduzione di sistemi d’arma più sofisticati, sensori avanzati e comunicazioni digitali. Negli anni successivi, il pensiero militare americano fu influenzato dalla "Teoria della Terza Ondata" (The Third-Wave Theory), che vedeva la società post-industriale caratterizzata dall’informazione e dalla conoscenza come fonti primarie di potere. Questa teoria ebbe un impatto significativo sul settore militare, portando allo sviluppo della "Network-Centric Warfare" (NCW). La NCW mirava a migliorare la consapevolezza situazionale, la velocità di decisione e l’efficacia operativa attraverso la creazione di reti informative condivise tra tutte le unità combattenti. L’influenza del settore civile, con le sue innovazioni tecnologiche e i nuovi modelli organizzativi, giocò un ruolo cruciale in questa trasformazione. Le guerre nell'"Era della Terza Ondata" furono caratterizzate da una maggiore dipendenza dalla tecnologia, dalla precisione degli attacchi e dalla capacità di operare in ambienti informativi complessi. Le "Linee Guida del Dipartimento della Difesa: 2006 QDR" (Quadrennial Defense Review) riflettevano la necessità di adattare le forze armate a queste nuove realtà, enfatizzando la flessibilità, l’interoperabilità e la capacità di affrontare minacce asimmetriche. Conseguenze Geopolitiche Le trasformazioni geostrategiche descritte hanno avuto profonde conseguenze geopolitiche. Il declino dell’imperialismo classico e l’ascesa degli Stati Uniti come superpotenza globale nel corso del XX secolo hanno ridisegnato gli equilibri di potere. La Guerra Fredda ha polarizzato il mondo, portando alla formazione di blocchi contrapposti e a conflitti indiretti in diverse regioni. La fine della Guerra Fredda ha creato un momento di unipolarismo con la predominanza americana, ma ha anche aperto la strada a nuove sfide, come la frammentazione statale, il terrorismo transnazionale e l’ascesa di nuove potenze regionali. Lo sviluppo della potenza aerea ha reso meno rilevanti le tradizionali barriere geografiche, consentendo una proiezione di potenza più rapida e su distanze maggiori. La portaerei, in particolare, ha fornito agli Stati Uniti uno strumento flessibile per intervenire in diverse crisi senza la necessità di ottenere permessi o stabilire basi terrestri permanenti. La Rivoluzione Tecnologica Militare e la Network-Centric Warfare hanno conferito un vantaggio significativo alle forze armate tecnologicamente avanzate, ampliando il divario tra le potenze militari. Conseguenze Strategiche A livello strategico, l’evoluzione geostrategica ha portato a un cambiamento nel modo di concepire e condurre la guerra. La potenza aerea ha introdotto la possibilità di attacchi strategici diretti al cuore del territorio nemico, influenzando la capacità produttiva, il morale della popolazione e la volontà politica di combattere. La portaerei ha modificato le strategie navali, consentendo la proiezione di potenza aerea in teatri operativi lontani, superando la dipendenza dalle basi terrestri. La Rivoluzione Tecnologica Militare ha enfatizzato la necessità di forze armate più agili, flessibili e capaci di operare in ambienti informativi complessi. La Network-Centric Warfare ha promosso un approccio basato sulla condivisione delle informazioni e sulla decentralizzazione del comando, con l’obiettivo di ottenere un vantaggio decisionale sul nemico. La strategia è diventata sempre più dipendente dalla tecnologia, dalla capacità di raccogliere, elaborare e distribuire informazioni in tempo reale. Conseguenze Marittime Le conseguenze marittime sono state significative, soprattutto con l’emergere della portaerei come piattaforma strategica. Essa ha trasformato la guerra navale, rendendo le flotte più capaci di proiettare potenza offensiva e difensiva su vaste aree oceaniche. La supremazia navale è diventata strettamente legata alla capacità di dispiegare e proteggere le portaerei. Anche la logistica marittima ha subito trasformazioni, con la necessità di supportare operazioni navali sempre più complesse e lontane dalle basi. La competizione per il controllo delle rotte marittime, vitali per il commercio e per il dispiegamento delle forze, è rimasta un elemento costante della geo-strategia, ma il modo in cui questo controllo viene esercitato è cambiato con l’evoluzione delle tecnologie navali e aeree. Conseguenze per l’Italia Per l’Italia, le trasformazioni geostrategiche del XX secolo hanno comportato la necessità di adattare la propria politica estera e di difesa a un contesto internazionale in continua evoluzione. L’appartenenza alla NATO durante la Guerra Fredda ha rappresentato un ancoraggio fondamentale nella strategia di sicurezza italiana. La fine della Guerra Fredda e l’emergere di nuove minacce nel Mediterraneo e nelle regioni limitrofe hanno richiesto una revisione delle priorità strategiche. La capacità di partecipare a operazioni multinazionali, la modernizzazione delle forze armate (con particolare attenzione alla componente aerea e navale) e la gestione delle sfide legate alla sicurezza marittima e al terrorismo sono diventate cruciali. L’Italia, situata in una posizione geostrategica chiave nel Mediterraneo, è direttamente interessata alle dinamiche di potere regionali e globali, e deve quindi essere in grado di comprendere e rispondere alle evoluzioni del panorama geostrategico potendo contare soprattutto su forze navali efficaci e moderne, logisticamente sostenibili e in grado di poter difendere gli interessi italiani ovunque sia necessario. Conclusioni e Raccomandazioni L’analisi dell’evoluzione geostrategica nel periodo 1900-2000 evidenzia un passaggio da un mondo dominato dalla geografia fisica e dalle potenze terrestri a uno sempre più influenzato dalla tecnologia, dalla potenza aerea e marittima, e dalle dinamiche informative. Le teorie geopolitiche classiche hanno dovuto confrontarsi con nuove realtà, come la globalizzazione, l’interdipendenza economica e la diffusione di minacce non statali. La Rivoluzione Tecnologica Militare e la Network-Centric Warfare rappresentano l’apice di questa trasformazione, con implicazioni profonde per il modo in cui gli stati concepiscono la sicurezza e conducono le operazioni militari. Per l’Italia, è fondamentale continuare a investire nella modernizzazione delle proprie forze armate, con particolare attenzione alle capacità aeree, navali e digitali. È cruciale sviluppare una visione strategica che tenga conto delle specificità del contesto geopolitico mediterraneo e delle nuove sfide globali, come la cyber-sicurezza e la disinformazione. La partecipazione attiva alle alleanze internazionali e la promozione della cooperazione regionale rimangono elementi essenziali per la sicurezza e la stabilità del Paese. Inoltre, è importante promuovere una cultura strategica che integri le competenze militari con una profonda comprensione delle dinamiche politiche, economiche e sociali, al fine di affrontare le complessità del panorama geostrategico contemporaneo. Un approccio olistico e adattabile è necessario per garantire che l’Italia possa affrontare efficacemente le sfide del futuro. RIFERIMENTO: Tovy, A. (n.d.). The Changing Nature of Geostrategy 1900–2000 The Evolution of a New Paradigm. Air University Press. Retrieved from https://www.airuniversity.af.edu/Portals/10/AUPress/Books/B_0140_TOVY_CHANGING_NATURE_GEOSTRATEGY.pdf © RIPRODUZIONE RISERVATA
OHi Mag Report Geopolitico nr. 97 Sicurezza marittima europea Introduzione Il complesso scenario della sicurezza europea è attualmente interessato da una fase di profonda trasformazione, innescata, tra gli altri fattori, da una rimodulazione del ruolo che gli Stati Uniti intendono esercitare nel continente. La crescente enfasi posta da Washington sulla necessità che l'Europa assuma una responsabilità primaria nella tutela della propria difesa, un imperativo reso ancora più pressante dalle dinamiche scaturite dal conflitto russo-ucraino, introduce sfide inedite e significative per le marine militari del Vecchio Continente. Queste forze navali, che hanno subito una considerevole contrazione dimensionale nel periodo successivo alla Guerra Fredda e che presentano lacune strutturali in capacità considerate ormai cruciali, si troverebbero a dover operare in un contesto caratterizzato da un potenziale vuoto di supporto da parte degli Stati Uniti, un'eventualità che esporrebbe le loro intrinseche deficienze sia sul piano operativo che su quello strategico. Di fronte a questa prospettiva, i governi europei sono chiamati a una rapida e profonda revisione delle proprie priorità in materia di difesa, con un focus che inevitabilmente dovrà concentrarsi sul potenziamento e sulla modernizzazione delle proprie capacità navali. Tale sforzo richiederà investimenti mirati e significativi in settori chiave come la proiezione di potenza su terra, l'acquisizione e il mantenimento di una solida consapevolezza del dominio marittimo e la garanzia di una sostenibilità operativa a lungo termine (aspetti logistici divenuti essenziali), elementi indispensabili per assicurare una deterrenza credibile e una difesa efficace degli interessi europei in un contesto geopolitico caratterizzato da una rapida e costante evoluzione. Fatti La conclusione della Guerra Fredda ha rappresentato un punto di svolta che ha determinato una marcata riduzione delle dimensioni delle principali marine militari europee. Pur mantenendo in servizio un numero, seppur limitato, di piattaforme e risorse caratterizzate da un elevato livello di sofisticazione tecnologica, queste forze navali hanno assistito a una progressiva erosione della propria massa critica, un fattore che incide significativamente sulla loro capacità complessiva. Sebbene le marine dei paesi europei membri della NATO, considerate nel loro insieme, superino numericamente la flotta di superficie russa in termini di unità da combattimento principali, la loro effettiva capacità di esercitare una deterrenza credibile e di sostenere una postura difensiva robusta e efficace in assenza del tradizionale e consistente supporto fornito dagli Stati Uniti è una questione ben più complessa e meritevole di un'attenta analisi. La presenza avanzata della US Navy in Europa ha subito una contrazione significativa nel periodo successivo alla Guerra Fredda, pur mostrando una recente ripresa, in termini di visibilità e frequenza, grazie a dispiegamenti regolari e a incrementi temporanei di gruppi da battaglia portaerei (Carrier Strike Groups - CSG) e gruppi anfibi pronti (Amphibious Ready Groups - ARG). Tuttavia, è fondamentale sottolineare che la US Navy è attualmente sottoposta a notevoli pressioni operative a livello globale e, di conseguenza, non mantiene in maniera continuativa formazioni navali significative di questo tipo permanentemente dislocate nella regione europea. La sua presenza nelle acque europee si limita essenzialmente a una nave comando, a un numero ristretto di cacciatorpediniere, a distaccamenti di aerei da pattugliamento marittimo P-8 Poseidon e, soprattutto, a un numero imprecisato ma cruciale di sottomarini a propulsione nucleare dotati di elevate capacità operative. Nonostante i suoi numerosi impegni a livello globale, la capacità della US Navy di rinforzare significativamente la regione europea in tempi rapidi, in particolare attraverso l'invio di forze provenienti dalle basi situate sulla costa orientale degli Stati Uniti, rimane un elemento fondamentale per la strategia di difesa collettiva della NATO. Una delle principali carenze che affliggono le marine europee risiede nella loro limitata potenza di fuoco offensiva, in particolare per quanto concerne la capacità di condurre attacchi contro obiettivi terrestri situati a grande distanza. Questa limitazione è in parte strettamente correlata alla ridotta capacità europea in termini di portaerei. L'equivalente più vicino a una capacità di proiezione di potenza aerea paragonabile a quella di un gruppo da battaglia portaerei statunitense è rappresentato dalla portaerei nucleare francese Charles de Gaulle. Il Regno Unito possiede due portaerei della classe Queen Elizabeth, ma nella migliore delle ipotesi è in grado di schierare un solo gruppo aereo imbarcato completo e, con ogni probabilità, solo per un periodo di tempo limitato. Le piattaforme aeree con ponte di volo esteso in dotazione alle marine italiana e spagnola presentano capacità operative più limitate e sono concepite per un impiego diverso. Di conseguenza, la potenziale perdita delle capacità offerte dai gruppi da battaglia portaerei statunitensi si farebbe sentire in maniera particolarmente significativa e negativa. Allo stesso modo, la sottrazione dal contesto europeo dei cacciatorpediniere e dei sottomarini statunitensi, in particolare i sottomarini lanciamissili da crociera della classe Ohio (SSGN), capaci di lanciare un elevato numero di missili da crociera Tomahawk contro obiettivi terrestri, rappresenterebbe un significativo passo indietro per le capacità complessive della NATO nella regione. Al contrario, le capacità europee in questo specifico settore sono limitate al piccolo numero di missili da crociera che potrebbero essere lanciati dai sottomarini d'attacco a propulsione nucleare (SSN) britannici e francesi e da alcune navi di superficie francesi. Un settore in cui le marine europee hanno investito risorse significative è quello delle piattaforme di difesa aerea di fascia alta, sebbene anche in questo ambito permangano significative carenze strutturali. Nessuna nave europea è attualmente in grado di fornire le capacità complete di difesa missilistica d'area offerte da molti incrociatori e cacciatorpediniere della US Navy, e le marine europee sono anche inferiori alle loro controparti statunitensi in termini di capacità di immagazzinamento di munizioni e di scorte di armamenti. Questi sono fattori chiave sia per la protezione efficace delle principali formazioni navali durante le operazioni sia per il contributo alla difesa aerea e missilistica integrata europea nel suo complesso. Allo stato attuale, è probabile che le navi da difesa aerea europee incontrerebbero notevoli difficoltà nel contrastare efficacemente le moderne capacità di attacco navale russe. Anche l'inventario europeo di fregate specializzate nella guerra antisommergibile (Anti-Submarine Warfare - ASW) si troverebbe in seria difficoltà nel contrastare anche il ridotto numero di sottomarini in dotazione alla flotta russa. Compensare la potenziale mancanza di aerei da pattugliamento marittimo (Maritime Patrol Aircraft - MPA) statunitensi risulterebbe altrettanto problematico, date le flotte aeree limitate in termini numerici di cui dispongono i paesi europei. Lo stesso vale per il contrasto alla minaccia sottomarina. Le marine europee dispongono di piccole flottiglie di moderni sottomarini d'attacco a propulsione convenzionale, capaci di svolgere determinate missioni in contesti specifici. Tuttavia, ancora una volta, l'assenza degli SSN e degli SSGN della US Navy si farebbe sentire gravemente per quanto riguarda le loro avanzate capacità ASW in mare aperto e in profondità. Francia e Regno Unito insieme dispongono di soli dieci SSN operativi. La Marina francese è attualmente impegnata nella transizione dalla classe Rubis, caratterizzata da capacità operative inferiori, alla nuova e più performante classe Suffren, mentre la Royal Navy britannica ha affrontato sfide significative nel mantenimento di un adeguato livello di prontezza operativa dei suoi SSN della classe Astute. L'Europa si troverebbe inoltre in una posizione di netto svantaggio senza l'accesso alla vasta e sofisticata rete di sensori sottomarini statunitensi. Risulterebbe estremamente difficile per i paesi europei fornire autonomamente il quadro completo di consapevolezza del dominio marittimo che gli Stati Uniti sono in grado di offrire, così come garantire alcuni aspetti critici del comando e controllo in mare in maniera indipendente. Inoltre, sebbene l'Europa conservi alcune limitate capacità anfibie o di proiezione costiera, queste non sono in alcun modo paragonabili alle capacità e alle dimensioni dei gruppi anfibi pronti (ARG) statunitensi. Allo stesso modo, il supporto logistico e il rifornimento in mare rappresentano un altro settore cruciale in cui, attualmente, le marine europee incontrerebbero notevoli difficoltà ad operare in maniera autonoma e prolungata. Tuttavia, è importante sottolineare che esistono aree di nicchia specifiche in cui alcune delle marine europee più piccole dimostrano effettivamente punti di forza capacitivi significativi, come ad esempio la difesa costiera e il pattugliamento marittimo, nonché la guerra di contromisure mine (Mine Countermeasures - MCM). Qualora l'Europa dovesse intraprendere un significativo percorso di riarmo nel settore navale, l'attenzione iniziale si dovrebbe concentrare sull'aggiornamento e sul ripianamento delle lacune capacitivo più urgenti nelle piattaforme esistenti nel modo più rapido ed efficiente possibile, nonché sul miglioramento del loro livello di prontezza operativa. Ciò includerebbe necessariamente anche un focus sul reclutamento e sulla fidelizzazione del personale altamente specializzato. Le marine europee, al pari di altre forze armate a livello globale, stanno anche cercando di promuovere una rapida innovazione tecnologica, anche attraverso l'adozione di piattaforme e sistemi senza equipaggio, al fine di integrare e potenziare le capacità operative esistenti. A più lungo termine, qualsiasi piano di riarmo navale europeo di ampia portata richiederà anche investimenti aggiuntivi significativi e sostenuti nello sviluppo e nell'acquisizione di piattaforme e capacità chiave di fascia alta, nonché un ampliamento sostanziale della base industriale nazionale ed europea per la loro costruzione, manutenzione e supporto logistico nel tempo. Conseguenze Geopolitiche La potenziale diminuzione del coinvolgimento militare statunitense in Europa, in particolare nel cruciale dominio marittimo, porterebbe con sé profonde e significative conseguenze geopolitiche a livello continentale e globale. Un'Europa meno protetta e capace di esercitare un controllo efficace sui propri spazi marittimi potrebbe diventare più vulnerabile a pressioni e minacce esterne, con un impatto diretto e negativo sulla sua capacità di proiettare influenza politica ed economica e di difendere i propri interessi strategici a livello globale. La mancanza del deterrente fornito dalla US Navy potrebbe innescare un pericoloso incentivo per attori statali e non statali a intraprendere azioni più assertive e destabilizzanti in regioni di importanza strategica vitale per l'Europa, come il Mediterraneo Allargato e il teatro operativo Artico-Boreale. La necessità impellente per l'Europa di colmare le significative lacune capacitive in campo navale potrebbe inoltre portare a una maggiore competizione tra gli stati membri per l'allocazione di risorse finanziarie limitate e per la definizione delle priorità di difesa, influenzando negativamente la coesione e l'efficacia della politica estera e di sicurezza comune dell'Unione Europea. Inoltre, un'Europa militarmente più autonoma nel dominio marittimo potrebbe ridefinire in modo sostanziale le dinamiche di potere all'interno della NATO, con implicazioni dirette per la leadership e la distribuzione delle responsabilità tra i membri dell'alleanza. La capacità dell'Europa di agire autonomamente in scenari di crisi marittima, senza la necessità di un sostegno statunitense diretto e massiccio, diventerebbe un fattore cruciale nella sua interazione con altri importanti attori globali, inclusi la Russia e la Cina, influenzando gli equilibri di potere a livello internazionale. Conseguenze Strategiche Dal punto di vista strettamente strategico, una ridotta presenza navale statunitense in Europa costringerebbe inevitabilmente le marine europee a riconsiderare in profondità le proprie dottrine operative consolidate e le priorità di investimento a breve, medio e lungo termine. La necessità di compensare la perdita delle significative capacità di attacco terrestre a lungo raggio, di difesa aerea d'area avanzata e di guerra antisommergibile di fascia alta precedentemente fornite dagli Stati Uniti richiederà un ripensamento radicale delle attuali architetture di difesa navale europee. Si potrebbe assistere a un'accelerazione degli investimenti in tecnologie emergenti e potenzialmente disruptive, come i sistemi d'arma autonomi e le piattaforme operative senza equipaggio (sia di superficie che sottomarine), al fine di compensare le carenze di personale specializzato e di risorse convenzionali. La cooperazione e l'interoperabilità tra le diverse marine europee diventerebbero elementi ancora più critici e imprescindibili per massimizzare l'efficacia collettiva delle risorse disponibili e per affrontare le sfide comuni in maniera coordinata. La strategia di deterrenza europea dovrebbe necessariamente evolvere per tenere conto della ridotta presenza militare statunitense, potenzialmente enfatizzando maggiormente le capacità di deterrenza convenzionale e ibrida, integrando elementi militari e non militari. La protezione delle vitali linee di comunicazione marittime (Sea Lines of Communication - SLOC), essenziali per la prosperità economica europea e per la sua sicurezza strategica, richiederebbe una maggiore attenzione e una significativa allocazione di risorse, data la potenziale vulnerabilità in assenza della protezione e della sorveglianza fornite tradizionalmente dalla US Navy. Conseguenze Marittime Le conseguenze marittime dirette di uno scenario caratterizzato dall'assenza di un robusto e affidabile supporto navale statunitense sarebbero particolarmente significative e avrebbero un impatto tangibile sulla capacità operativa delle marine europee. La capacità di condurre operazioni di proiezione di potenza lontano dalle coste europee diminuirebbe considerevolmente, limitando la capacità dell'Europa di intervenire efficacemente in scenari di crisi globali. La protezione delle flotte mercantili, fondamentali per il commercio internazionale e per l'approvvigionamento di beni essenziali, e delle infrastrutture critiche sottomarine, come i cavi di comunicazione in fibra ottica che sostengono l'economia digitale globale, diventerebbe un compito molto più impegnativo e complesso. La capacità di mantenere la superiorità navale in aree geografiche contestate, come il Mar Baltico o il Mar Nero, sarebbe sensibilmente ridotta, con potenziali implicazioni negative per la libertà di navigazione, il commercio internazionale e la stabilità regionale. Le marine europee dovrebbero affrontare maggiori sfide nel condurre operazioni di mantenimento della pace e di assistenza umanitaria su scala globale, data la loro ridotta capacità di proiezione logistica e di supporto. La sorveglianza e il controllo del traffico marittimo, elementi essenziali per contrastare efficacemente la criminalità organizzata transnazionale e il terrorismo marittimo, diventerebbero operazioni più difficili e meno efficaci senza le vaste risorse e le sofisticate capacità di intelligence della US Navy. Infine, la necessità di sviluppare e mantenere capacità di rifornimento in mare efficaci e completamente autonome diventerebbe cruciale per sostenere operazioni navali prolungate lontano dalle basi operative convenzionali. Conseguenze per l'Italia Per l'Italia, le implicazioni di un cambiamento significativo nel panorama della sicurezza navale europea sarebbero molteplici e meritevoli di un'attenta considerazione strategica. La Marina Militare italiana, pur rappresentando una forza navale di tutto rispetto e caratterizzata da un elevato livello di professionalità e competenza, dovrebbe affrontare le sfide intrinseche legate alle proprie dimensioni e alle lacune capacitivo esistenti in un contesto di crescente responsabilità europea per la difesa marittima. L'Italia potrebbe trovarsi nella necessità di aumentare significativamente gli investimenti in settori chiave come la difesa aerea di area, la guerra antisommergibile avanzata e la proiezione di potenza anfibia per poter contribuire in modo efficace alla sicurezza collettiva europea e alla stabilità regionale. La cooperazione con gli altri alleati europei, in particolare nel cruciale teatro del Mediterraneo Allargato, diventerebbe un elemento ancora più importante e strategico per la condivisione degli oneri finanziari e delle risorse operative. L'Italia, in quanto paese con una vasta estensione costiera e con interessi marittimi significativi e diversificati, dovrebbe prestare particolare attenzione alla protezione delle proprie vitali linee di comunicazione marittime e alla sicurezza complessiva del Mar Mediterraneo, un'area geopolitica caratterizzata da una crescente instabilità e da numerose sfide alla sicurezza. La capacità di contribuire attivamente a operazioni di mantenimento della pace e di gestione delle crisi nel Mediterraneo Allargato e in altri Teatri Operativi di interesse strategico richiederà un potenziamento mirato delle capacità navali italiane. Inoltre, l'Italia potrebbe e dovrebbe svolgere un ruolo chiave nello sviluppo di tecnologie innovative nel settore della difesa navale e nella promozione di una maggiore cooperazione industriale a livello europeo in questo specifico e strategico ambito. Conclusioni e Raccomandazioni La prospettiva di un ridimensionamento del ruolo militare degli Stati Uniti nell'architettura di sicurezza europea presenta sfide indubbiamente significative per il futuro del continente, ma offre al contempo una preziosa opportunità per una maggiore autonomia strategica e per una ridefinizione delle priorità in materia di difesa. Le marine militari europee si trovano a un momento cruciale, chiamate a colmare lacune critiche, a investire in nuove capacità operative e a modernizzare le piattaforme esistenti per garantire una deterrenza credibile e una difesa efficace in un contesto geopolitico sempre più complesso e imprevedibile. La priorità strategica dovrebbe essere attribuita a investimenti mirati e sostenuti in settori chiave come la proiezione di potenza su terra, la difesa aerea integrata di area, la guerra antisommergibile di fascia alta e l'acquisizione e il mantenimento di una solida consapevolezza del dominio marittimo. È di fondamentale importanza promuovere e rafforzare una maggiore cooperazione e interoperabilità tra le marine dei diversi paesi europei, attraverso la pianificazione e l'esecuzione di esercitazioni congiunte sempre più ambiziose e realistiche, lo sviluppo di programmi di acquisizione condivisi per ridurre i costi e massimizzare l'efficienza, e la creazione di dottrine operative comuni che facilitino l'azione coordinata in scenari di crisi. L'innovazione tecnologica, con particolare attenzione all'adozione di sistemi senza equipaggio (Unmanned Surface Vehicles - USV, Unmanned Underwater Vehicles - UUV e Unmanned Aerial Vehicles - UAV) e allo sviluppo di solide capacità cyber marittime, dovrebbe essere sfruttata appieno per compensare le limitazioni dimensionali delle flotte europee e per migliorare complessivamente l'efficacia operativa. Per l'Italia, è imperativo proseguire e intensificare gli sforzi già intrapresi per modernizzare e potenziare la propria Marina Militare, concentrando gli investimenti nelle aree di maggiore necessità strategica e promuovendo attivamente la collaborazione con gli alleati europei e atlantici. Una Marina Militare italiana forte, tecnologicamente avanzata e ben equipaggiata è essenziale non solo per la difesa degli interessi nazionali, ma anche per contribuire in modo significativo alla sicurezza collettiva europea e alla stabilità del cruciale bacino del Mar Mediterraneo. Una solida consapevolezza della situazione geopolitica in continua evoluzione, un'efficace pianificazione strategica a lungo termine, unitamente a investimenti oculati e a una stretta e proficua cooperazione internazionale, saranno elementi cruciali per garantire che l'Europa, e l'Italia al suo interno, possano difendere efficacemente i propri interessi marittimi e contribuire alla sicurezza globale nel futuro. Riferimento: Il presente elaborato trae spunto e rielabora concetti e analisi contenuti nell'articolo: "The defence of Europe all at sea?" pubblicato da Military Balance+, International Institute for Strategic Studies (IISS). https://www.iiss.org/online-analysis/military-balance/2025/03/the-defence-of-europe-all-at-sea/ © RIPRODUZIONE RISERVATA
OHi Mag Report Geopolitico nr. 96 Introduzione Il recente licenziamento del Vice Admiral Shoshana Chatfield dal suo ruolo di rappresentante militare statunitense presso la NATO, avvenuto sotto la presidenza di Donald Trump e per mano del Segretario alla Difesa Pete Hegseth, ha suscitato un acceso dibattito negli Stati Uniti. Questo episodio, che segue analoghe rimozioni di figure apicali della Marina, della Guardia Costiera e di ambasciatori, solleva interrogativi cruciali sul rapporto tra leadership politica e vertici militari, sull'influenza delle ideologie politiche all'interno delle forze armate e sulle implicazioni per la strategia e la coesione delle Forze Armate USA. Sebbene alcuni commentatori abbiano difeso la decisione di Trump come un atto necessario per riaffermare il controllo politico e allineare la leadership militare alla propria visione, altri vi hanno visto un segnale di politicizzazione eccessiva e di mancanza di rispetto per figure di alto rango con carriere militari di indubbio valore. Analizzare le motivazioni di questa rimozione e le sue potenziali conseguenze geopolitiche, strategiche e marittime, con un focus particolare sulle ripercussioni per l'Italia, è fondamentale per comprendere le dinamiche attuali dello scenario internazionale e le sfide che attendono anche la NATO. I Fatti La notizia del licenziamento del Vice Admiral Shoshana Chatfield da parte del Segretario alla Difesa Hegseth, per una dichiarata "perdita di fiducia nella sua capacità di leadership", ha immediatamente scatenato una tempesta mediatica. Chatfield, una figura di spicco con un curriculum militare notevole, che include esperienze come pilota di elicotteri, comandante di squadroni e il primato di essere stata la prima donna a presiedere il prestigioso Naval War College, rappresentava gli Stati Uniti presso il Comitato Militare della NATO. La motivazione ufficiale fornita dal Pentagono, una generica perdita di fiducia, non ha placato le polemiche, anzi ha alimentato speculazioni sulle reali ragioni di questa decisione. È importante inquadrare questo evento in un contesto più ampio, ricordando le precedenti rimozioni di alti ufficiali e funzionari volute dall'amministrazione Trump. La cacciata del Capo della Marina, del Capo della Guardia Costiera e del rappresentante statunitense presso la NATO, unitamente al licenziamento/dimissioni di diverse ambasciatori donna, tra cui quella a Kiev, e del comandante della base di Pituffik in Groenlandia, suggerisce una tendenza da parte della presidenza Trump a epurare figure apicali potenzialmente non allineate con la propria agenda politica. Le ragioni di queste rimozioni potrebbero essere molteplici, spaziando da divergenze politiche e ideologiche a presunti contrasti caratteriali o, come ipotizzato da alcuni, a una preferenza per figure meno indipendenti e più fedeli alla linea presidenziale. La reazione all'allontanamento di Chatfield è stata polarizzata. I Democratici hanno denunciato l'atto come un esempio di maschilismo e di epurazione di ufficiali competenti a favore di "camerati politici" del Presidente. I Repubblicani, al contrario, hanno argomentato che Chatfield fosse un simbolo delle politiche DEI (Diversità, Equità e Inclusione) promosse dall'amministrazione Biden e avversate da Trump. Tuttavia, l'articolo di Brandon J. Weichert su National Interest offre una prospettiva diversa, sostenendo che Trump fosse nel suo diritto di licenziare Chatfield. L'argomentazione principale si basa sul principio che tutti i dipendenti del ramo esecutivo, inclusi gli ufficiali militari di alto rango, servono a discrezione del Presidente in carica. Pertanto, la mancanza di fiducia da parte del Presidente e del suo Segretario alla Difesa è ritenuta una motivazione sufficiente per la rimozione, senza che sia necessario fornire ulteriori spiegazioni o giustificazioni. Weichert sottolinea che Trump è stato eletto con la promessa di contrastare quella che percepiva come corruzione ed eccessi ideologici di sinistra in ogni ambito del governo. In quest'ottica, la nomina di persone in ruoli di leadership che condividano la visione del mondo del Presidente diventa un elemento centrale della sua strategia politica. Un punto cruciale sollevato dall'articolo riguarda le posizioni pubbliche espresse da Chatfield a favore dei programmi DEI. Viene citata una sua dichiarazione del 2015 in cui lamentava la scarsa rappresentanza femminile al Congresso, definendo la diversità come un punto di forza. Weichert interpreta queste affermazioni, secondo noi esasperando le parole della Chatfield, come una potenziale politicizzazione di un ruolo che dovrebbe essere apolitico e si chiede se un ufficiale uomo che avesse espresso avversione alla presenza femminile al Congresso non sarebbe stato rimosso con altrettanta rapidità. Vengono inoltre menzionati i profili LinkedIn di Chatfield, successivamente rimossi, dove venivano espressi pareri in favore dei programma DEI e ciò è in aperto contrasto con e la visione di Trump. Infine, l'articolo suggerisce che il ruolo di Chatfield presso la NATO potrebbe aver contribuito al suo licenziamento, dato che, in quanto nominata dall'amministrazione Biden, probabilmente non condivideva le opinioni di Trump sull'Alleanza. In un contesto in cui il futuro rapporto degli Stati Uniti con la NATO è un punto di crescente tensione tra Trump e il resto della classe dirigente di Washington, il Presidente avrebbe la necessità di circondarsi di ufficiali la cui visione sull'Alleanza sia più in linea con la propria. Analisi sul Ruolo dei Militari e la Lealtà Costituzionale La questione sollevata pone al centro un principio fondamentale che regola il rapporto tra le forze armate e il potere politico nelle democrazie costituzionali: la neutralità politica dei militari e la loro subordinazione al comando civile. È universalmente riconosciuto che i membri delle forze armate, pur essendo cittadini con proprie convinzioni politiche, sono tenuti a esercitare il loro ruolo istituzionale con assoluta imparzialità, evitando qualsiasi manifestazione pubblica delle proprie opinioni politiche e obbedendo scrupolosamente agli ordini legittimi delle autorità politiche democraticamente elette. Questo principio è cruciale per preservare la natura apolitica delle forze armate e per garantire che esse agiscano unicamente a difesa della nazione e nel rispetto della Costituzione, senza farsi strumento di particolari agende politiche. Il giuramento prestato dai militari di difendere la patria e la sua Costituzione rappresenta l'impegno solenne verso questi valori fondamentali. Ci si aspetterebbe, quindi, che la rimozione di un ufficiale di alto rango come il Vice Ammiraglio Chatfield, apparentemente motivata da una presunta divergenza di opinioni politiche con il Presidente, susciti perplessità e interrogativi. Sebbene sia prerogativa del potere politico nominare e revocare incarichi di fiducia, la rimozione basata su una sospetta "opposizione ideologica" al Presidente introduce un elemento potenzialmente destabilizzante nel rapporto tra militari e politica. Il timore è che decisioni di questo tipo possano erodere il principio di neutralità, insinuando il sospetto che la lealtà richiesta ai vertici militari non sia primariamente verso la Costituzione e la nazione, ma verso l'orientamento politico del governo in carica. Ciò potrebbe ingenerare un clima di incertezza e potenzialmente scoraggiare l'espressione di valutazioni professionali sincere e indipendenti da parte dei militari, nel timore di ritorsioni politiche. È vero che in ogni sistema democratico il potere politico definisce gli indirizzi strategici e le priorità di difesa, e i militari sono chiamati ad attuarli con lealtà ed efficacia. Tuttavia, questa subordinazione non implica una rinuncia al proprio pensiero critico o un obbligo di adesione ideologica alla visione politica del momento. Anzi, in un sistema sano, ci si aspetta che i vertici militari forniscano consulenza esperta e valutazioni basate sulla loro competenza professionale, anche quando queste potrebbero non coincidere pienamente con le preferenze politiche del governo. La rimozione di un ufficiale per presunte divergenze politiche, soprattutto se non accompagnata da chiare violazioni del dovere di neutralità o da mancanze professionali accertate, rischia di apparire come un atto di politicizzazione eccessiva, potenzialmente dannoso per la professionalità e l'indipendenza delle forze armate. Un militare che ha dedicato la propria vita al servizio della nazione e che ha giurato fedeltà alla Costituzione dovrebbe essere valutato primariamente per la sua competenza e per la sua capacità di adempiere ai propri doveri, non per la presunta adesione o opposizione alle idee politiche del leader politico di turno. La stabilità e l'efficacia delle istituzioni militari dipendono in larga misura dalla percezione di imparzialità e di rispetto del loro ruolo costituzionale da parte del potere politico. Conseguenze Geopolitiche La rimozione di un alto rappresentante militare statunitense presso la NATO, come il Vice Ammiraglio Chatfield, innesca inevitabilmente interrogativi sulla stabilità e la coesione dell'Alleanza. In un contesto geopolitico globale caratterizzato da crescenti tensioni e sfide, la fiducia e la chiarezza di intenti tra gli alleati sono cruciali. Un cambio di leadership così repentino, motivato apparentemente da ragioni politiche interne piuttosto che da valutazioni puramente professionali, potrebbe essere interpretato dai partner NATO come un segnale di incertezza sull'impegno americano nei confronti dell'Alleanza. Questo episodio si inserisce in un quadro più ampio di dubbi sollevati da Trump in passato sul valore strategico della NATO e sulla necessità che gli alleati contribuiscano in misura maggiore alla difesa comune. La rimozione di un ufficiale percepito come vicino alle precedenti amministrazioni e potenzialmente meno allineato con la visione di Trump sulla NATO potrebbe rafforzare la percezione di un approccio più unilateralista da parte degli Stati Uniti, minando la fiducia reciproca e la capacità dell'Alleanza di agire in modo unitario. Le conseguenze geopolitiche potrebbero manifestarsi in diversi modi. Gli alleati europei potrebbero interpretare queste epurazioni come un tentativo di indebolire figure di alto rango che potrebbero esprimere dissenso rispetto a eventuali decisioni unilaterali o a cambiamenti radicali nella politica di sicurezza americana. Ciò potrebbe portare a una maggiore cautela e a una minore disponibilità a seguire ciecamente la leadership statunitense, con potenziali ripercussioni sulla capacità della NATO di rispondere in modo efficace a crisi internazionali. Inoltre, la narrazione di un'amministrazione statunitense che privilegia la lealtà politica e l'allineamento ideologico rispetto alla competenza e all'esperienza potrebbe incrinare l'immagine degli Stati Uniti come partner affidabile e prevedibile, con possibili ripercussioni sulla loro influenza globale e sulla capacità di costruire coalizioni internazionali per affrontare sfide comuni. Conseguenze Strategiche A livello strategico, la rimozione di figure apicali come il Vice Ammiraglio Chatfield potrebbe avere implicazioni significative sulla pianificazione militare e sulla definizione delle priorità strategiche degli Stati Uniti. La sostituzione di ufficiali con una comprovata esperienza con figure percepite come più allineate politicamente potrebbe portare a un cambiamento nelle prospettive strategiche e nelle valutazioni dei rischi e delle minacce. In particolare, la potenziale divergenza di opinioni tra la leadership politica statunitense e i vertici militari sull'importanza della NATO e sul ruolo degli Stati Uniti nell'Alleanza potrebbe influenzare le decisioni relative al dispiegamento di forze, alla partecipazione a missioni congiunte e agli investimenti nella difesa. Un indebolimento della coesione interna alla leadership statunitense potrebbe rendere più difficile per la NATO definire e attuare strategie comuni efficaci. La sostituzione di Chatfield con un ufficiale che condivida la visione di Trump sulla NATO potrebbe anche portare a un cambiamento nell'approccio degli Stati Uniti nei confronti dell'Alleanza, con una maggiore enfasi sulla necessità che gli alleati aumentino la propria spesa per la difesa e un potenziale ridimensionamento dell'impegno americano in determinate aree. Questo potrebbe costringere gli altri membri della NATO a rivedere le proprie strategie di difesa e a considerare scenari in cui la leadership e il sostegno degli Stati Uniti potrebbero essere meno certi. Inoltre, la percezione di una politicizzazione eccessiva dei vertici militari potrebbe minare la fiducia degli ufficiali di carriera nella loro indipendenza professionale e nella possibilità di esprimere valutazioni strategiche basate su criteri puramente militari, senza timore di ritorsioni politiche. Questo potrebbe avere effetti negativi sulla qualità del processo decisionale strategico e sulla capacità delle forze armate di adattarsi a un ambiente di sicurezza in rapida evoluzione. Conseguenze Marittime Al di là delle generali implicazioni strategiche, l'allontanamento del Vice Ammiraglio Chatfield, unitamente alle precedenti rimozioni del Capo della Marina e del Capo della Guardia Costiera, assume una valenza peculiare nel contesto marittimo statunitense. È fondamentale comprendere che la cultura e la prassi operativa delle forze navali si distinguono in modo significativo da quelle di altri rami delle forze armate. Storicamente, le operazioni navali sono intrinsecamente caratterizzate da un elevato grado di autonomia decisionale a livello di comando. Un comandante di una unità navale, anche di modeste dimensioni e grado, si trova spesso a dover prendere decisioni cruciali in tempo reale, basandosi su una conoscenza diretta e immediata delle condizioni del mare, della situazione tattica e delle capacità della propria nave. Queste variabili, spesso dinamiche e imprevedibili, rendono impossibile una gestione eccessivamente centralizzata e dettagliata da parte dei superiori. Tentativi di imporre ordini troppo rigidi e prescrittivi possono non solo rivelarsi inefficaci, ma addirittura controproducenti, mettendo a rischio la sicurezza della nave e il raggiungimento degli obiettivi. Questa specificità operativa ha forgiato una tradizione di leadership marittima meno incline all'obbedienza cieca e più orientata alla responsabilità individuale e all'iniziativa. Gli ufficiali di marina sono storicamente abituati a esercitare un notevole grado di libertà di pensiero e di azione, pronti anche a discostarsi dagli ordini ricevuti qualora ciò si rivelasse necessario per conseguire vantaggi strategici superiori. Il concetto stesso di "disobbedienza creativa", reso celebre dall'Ammiraglio Nelson, incarna questa mentalità: la capacità di interpretare o persino ignorare ordini restrittivi in nome di un obiettivo più alto, agendo con la consapevolezza delle proprie responsabilità. In questo scenario, la rimozione di figure di alto rango del settore marittimo, apparentemente per ragioni politiche, solleva interrogativi sulle priorità della leadership politica statunitense nei confronti della Marina e della Guardia Costiera. Tali decisioni potrebbero indicare un cambiamento di enfasi strategica, una nuova valutazione delle minacce marittime o la volontà di esercitare un controllo politico più diretto sulle forze navali. Un aspetto particolarmente delicato riguarda l'impatto sulla cultura interna e sul morale delle forze navali. La percezione di una leadership politica meno propensa a valorizzare l'esperienza, la competenza tecnica e l'indipendenza di giudizio degli alti ufficiali di marina potrebbe minare la fiducia e la coesione interna. Un clima di incertezza e di potenziale politicizzazione potrebbe dissuadere ufficiali di talento dal perseguire carriere di alto livello o dall'esprimere apertamente opinioni professionali non allineate con la linea politica dominante, con un conseguente impoverimento del capitale umano e della capacità di innovazione all'interno delle forze navali. A livello internazionale, eventuali cambiamenti nella strategia marittima statunitense avrebbero inevitabili ripercussioni sugli equilibri di potere marittimi e sulla cooperazione navale con gli alleati, inclusa l'Italia. Quest'ultima, con i suoi considerevoli interessi strategici nel Mediterraneo Allargato e la sua dipendenza dalla sicurezza delle rotte commerciali marittime globali, osserva con attenzione l'evoluzione della politica navale statunitense. La potenziale alterazione della fiducia e della prevedibilità della leadership navale americana potrebbe influenzare la pianificazione congiunta, le operazioni multinazionali e la condivisione di intelligence marittima, elementi cruciali per la stabilità e la sicurezza dello scenario marittimo globale. Conseguenze per l'Italia L'ondata di rimozioni di figure apicali, inclusi ammiragli stimati e conosciuti anche dai loro colleghi in uniforme blu italiani, non rappresenta un segnale edificante per la comunità militare internazionale. L'allontanamento di professionisti di alto rango, in particolare di donne ammiraglio, solleva specifiche preoccupazioni all'interno delle forze armate italiane e per le donne in uniforme. Osservare dinamiche che sembrano privilegiare il genere o l'orientamento politico rispetto al merito e alla competenza può generare inquietudine e minare la fiducia in sistemi di avanzamento basati sull'oggettività. Più in generale, le dinamiche interne alla leadership politica e militare degli Stati Uniti si riverberano inevitabilmente sull'Italia. La rimozione di un alto rappresentante statunitense presso la NATO e la sequenza di epurazioni pongono seri interrogativi sulla stabilità della leadership americana. Questi aspetti sono di cruciale importanza per la sicurezza nazionale e la politica estera italiana, strettamente interconnesse con la solidità e la coerenza dell'alleato statunitense. Un potenziale indebolimento della coesione interna alla NATO, o un percepibile cambiamento nell'approccio degli Stati Uniti nei confronti dell'Alleanza, potrebbe costringere l'Italia a una profonda riflessione sul proprio ruolo e sull'allocazione delle risorse per la difesa. Una diminuzione della certezza sull'affidabilità e sul livello di impegno degli Stati Uniti potrebbe spingere l'Italia, in sinergia con gli altri alleati europei, a rafforzare ulteriormente la propria cooperazione in materia di sicurezza e difesa nel quadro dell'Unione Europea, al fine di compensare eventuali vuoti strategici o incertezze. Parallelamente, eventuali modifiche nella strategia marittima statunitense potrebbero esercitare un impatto diretto sugli interessi marittimi italiani, con particolare riferimento al Mediterraneo Allargato. Questo teatro operativo marittimo, vitale per la sicurezza regionale, le rotte commerciali e gli approvvigionamenti energetici italiani, ha tradizionalmente beneficiato della presenza e della cooperazione con la US Navy per contrastare minacce comuni quali il terrorismo internazionale e la criminalità organizzata transnazionale. Un cambiamento nelle priorità o un ridimensionamento dell'impegno navale statunitense nel Mediterraneo richiederebbero un'attenta valutazione e potenziali aggiustamenti nella strategia marittima italiana. Diventa pertanto imperativo per l'Italia monitorare con scrupolo l'evoluzione della politica di sicurezza statunitense per la cruciale regione mediterranea. È essenziale coltivare e mantenere un dialogo costante e costruttivo con gli alleati americani, al fine di comprendere appieno le loro priorità strategiche e di ribadire con forza l'importanza di coesione, efficiente e caratterizzata da un solido e duraturo impegno da parte degli Stati Uniti per la sicurezza europea e mediterranea. Inoltre, di fronte a uno scenario internazionale segnato da crescenti incertezze e da potenziali mutamenti negli equilibri di potere globali, l'Italia potrebbe dover seriamente valutare la necessità non solo di un ulteriore rafforzamento delle proprie capacità di difesa, ma soprattutto di una maggiore autonomia strategica, al fine di proteggere i propri interessi nazionali e contribuire in modo più incisivo alla sicurezza collettiva. Conclusioni e Raccomandazioni L'allontanamento del Vice Ammiraglio Chatfield, inserito in un contesto di rimozioni di figure apicali militari e diplomatiche statunitensi, delinea un potenziale cambio di paradigma nel rapporto tra politica e forze armate negli Stati Uniti, con ripercussioni significative per la NATO e i suoi alleati. La natura delle rimozioni, con implicazioni di genere e possibili motivazioni ideologiche, desta preoccupazione per la meritocrazia e la neutralità delle istituzioni militari. Per l'Italia, le conseguenze geopolitiche, strategiche e marittime di tali dinamiche impongono una vigile attenzione. È fondamentale mantenere un dialogo transatlantico robusto, ribadendo l'importanza di una NATO coesa e di un impegno statunitense affidabile. Contestualmente, l'Italia dovrebbe rafforzare la cooperazione con gli altri partner europei in ambito di sicurezza e difesa, valutando con pragmatismo la necessità di accrescere le proprie capacità autonome e la resilienza strategica, in un contesto globale sempre più incerto e complesso. Un'analisi approfondita e una risposta coordinata a livello europeo appaiono indispensabili per preservare la stabilità e la sicurezza collettiva. Riferimento: Weichert, Brandon J. "Trump Was Right to Fire Vice Admiral Shoshana Chatfield." National Interest, 10 aprile 2025. https://nationalinterest.org/blog/buzz/trump-was-right-to-fire-vice-admiral-shoshana-chatfield © RIPRODUZIONE RISERVATA
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