OHi Mag Report Geopolitico nr. 31 Questo articolo parte da alcune delle nozioni espresse da Mario Coletti - esperto e docente di Intelligenza Artificiale allo IULM di Milano e imprenditore nel digitale a Londra - durante la conferenza "NOI e l'intelligenza artificiale" Elaborazione CESMAR di una foto di Markus Spiske L'intelligenza artificiale si manifesta su due principali attitudini: quella dell'elaborazione visiva e verbale dei contenuti, e quella della capacità predittiva. La nostra intelligenza si basa invece su ciò che vediamo, generando di conseguenza lo stato di piacere o di paura, sulla capacità di comunicare tra di noi e sulla nostra capacità di prevedere, per quanto possibile, il futuro a breve o medio termine. Attualmente la nostra specie si dimostra essere superiore proprio per quest'ultima attitudine che pare essere condivisa anche con altri mammiferi, come le balene e gli elefanti. Questo solo per ora in quanto l'AI sta evolvendo molto più velocemente di quanto l'uomo non abbia fatto nella sua intera esistenza. Siamo sempre più concentrati sul presente (e status quo), e distratti da una molteplicità di forme di comunicazione soprattutto visive. Ecco perchè abbiamo voluto introdurre una forma di intelligenza alternativa, proprio per colmare questo gap al fine di continuare a essere più lungimiranti e, di conseguenza, longevi. Questo comporta alcuni rischi e proprio per questo molte persone guardano con diffidenza quello che potrebbe diventare un competitor piuttosto che un alleato. Ma il concetto di AI non è nato recentemente, viceversa appartiene a un percorso storico iniziato nel 1500 A.C. con la scrittura greca. Ma il vero precursore della classificazione di AI è stato il matematico britannico Alan Turing, che riuscì a decifrare il codice Enigma, un dispositivo elettromeccanico utilizzato dalle forze armate tedesche durante il periodo nazista per cifrare e decifrare informazioni di guerra. Fu ancora lui a coniare il concetto di "Computing Machinery and Intelligence" che creò le basi dei moderni computer e della ricerca sull'intelligenza artificiale. Sono sempre state le necessità di strategia a creare i presupposti per i quali oggi utilizziamo gli stessi strumenti per condividere informazioni in tempo reale con miliardi di persone. Si potrebbe quindi insinuare con minimo scarto di errore che il progresso tecnologico che tutti utilizziamo oggi ha avuto origini e influenze geopolitiche e militari, fino ad arrivare allo scomodo presupposto che per l’evoluzione umana in occidente sia basata sulle guerre, e sul loro ruolo più che determinante nei nostri stili di vita. Se dovessimo semplificare questo concetto e dare una connotazione negativa al progresso potremmo riferirci ad alcuni autori che ritengono che: tutta la tecnologia che utilizziamo quotidianamente è bagnata di sangue, anche la più semplice calcolatrice o il primo Macintosh da cui ci siamo affacciati al mondo, tutti derivati e sviluppati da un presupposto geopolitico, un primordiale oggetto dotato di un'"intelligenza militare". Se il tempo intercorso tra lo sviluppo della rivoluzione industriale e i cambiamenti sociali ad essa connessi sono stati pari a circa due secoli, oggi corriamo il rischio che l'AI ci metta nelle condizioni di introdurci in un nuovo paradigma della nostra evoluzione in meno di vent’anni. Questa accelerazione degli eventi determina di conseguenza la percezione di inadeguatezza e paura da una parte, e ammirazione e speranza dall'altra, generando nuove spaccature sociali. Un po' quello che avvenne quando l'era industriale fece migrare il contadino dalla campagna verso le città dove erano collocate le fabbriche, la zappa verso il trattore, e il cavallo verso l'automobile. E oggi sappiamo quanto importanti siano le fabbriche, i trattori e le automobili nella vita di tutti i giorni. “Ma l'AI potrebbe essere positiva se riuscisse valorizzare il capitale umano e sociale” afferma Mario Coletti e aggiunge: “il nostro cellulare ha sostituito il nostro portafoglio e milioni di persone condividono oggi le proprie informazioni personali, mentre nessuno si fiderebbe di dare i propri documenti al proprio vicino di casa”. Le nuove generazioni stanno migrando verso nuovi linguaggi molto più velocemente di come i nostri padri siano passati dalla zappa al trattore, e dimenticheranno ben presto l'uso della scrittura preferendo immagini e audio per comunicare. E questo ha già generato il 28% di analfabetismo funzionale in Italia, persone capaci di leggere e scrivere, ma non di comprendere esattamente il contenuto di un testo. Quello che ancora ci fa primeggiare sull'intelligenza artificiale è la creatività, il senso innato della nostra specie di associare secondo un inedito ordine immagini, suoni e parole. “Per questo motivo la scuola dovrebbe avere un approccio meno accademico e più creativo nei confronti delle future generazioni, dovrebbe allenare il giovane a essere differente dalla macchina e difficilmente sostituibile, portando sempre più verso un'intelligenza disciplinare, sintetica, creativa, inclusiva ed etica. Solo così riusciremo ad avere un ruolo dominante nel futuro che è già alle porte. E solo se riusciremo ad accettare le diversità, etniche e di genere, riusciremo a esprimerci con più forza all'interno di quello che è l'era del transumanesimo. “Quello che proporrei è semplicemente una maggiore fiducia nel progresso”, Kodak non voleva credere che in futuro dei pixel avrebbero sostituito la pellicola fotografica. Oggi il nome Kodak è quasi sconosciuto alle nuove generazioni lasciando campo libero ad aziende come Intel. E in questo gli americani - seppur in tutte le loro contraddizioni - hanno saputo liberare capacità di sviluppo non eguagliabili proprio alle persone che credevano che le cose si sarebbero potute cambiare al fine di migliorare il futuro (a scanso di equivoci o danni collaterali). La realtà di ciò è davanti ai nostri occhi: IBM, che ha introdotto il modo di gestire grandi moli di informazioni a livello computazionale e statistico, e Apple, che con Macintosh ha portato tutto questo ad un utilizzo democratico su larga scala, sono solo alcuni esempi di "fiducia nel progresso" che però, secondo il nostro personale punta di vista, non deve essere paragonata a una fede cieca su quello che ancora non esiste. Visionari quasi sempre demonizzati le cui invenzioni sono oggi utilizzate da miliardi di persone che mai e poi mai vi saprebbero rinunciare. Oggi si parla forse negativamente di Tesla, BYD, Optimus, SpaceX; ma domani tutto questo rappresenterà la normalità per milioni di persone che punteranno il dito verso altri "demoni". Ritornando all'intelligenza artificiale, esiste un'ipotesi concreta che questa, dopo averci superato, ci possa in qualche modo dominare o addirittura portarci all'estinzione? Anche questo potrebbe rientrare in un normale processo evolutivo della nostra specie, che dal carbonio sta migrando verso il silicio oppure che possa addirittura sostituirci a livello profondo, quello della coscienza. Nel nostro pianeta cose simili sono già accadute, basti pensare ai dinosauri per esempio. E su scala planetaria questa supposizione è più che ben storicizzata da una molteplicità di eventi. E quando l'AI sarà in grado di individuare i problemi prima dell'uomo - quelli ad esempio correlati alla sopravvivenza – in questo caso questo dimostrerà che l'AI ci ha superato, decretando il nostro inesorabile declino. Anche in questo possiamo far rientrare l'analogismo geopolitico; è una mera questione di potere, prevaricazione, e sopravvivenza che potrebbe portare a un ipotetico conflitto di interessi su larga scala. Di massima l'uomo ha sempre saputo fronteggiare le sue sciagure: è nella sua indole creativa di riuscire ad avere la meglio sui suoi errori e porre rimedio agli imprevisti negativi. Oggi tutto questo ha un costo e nulla è così scontato come in passato. Gli errori – nati da cieca ricerca di potere e dominio – oggi si pagano e forse non è la creatività che serve quanto l’umiltà di comprendere i limiti della nostra specie. Ma cos'è la creatività? Creare un virus per poi creare l'antidoto è forse la forma più complessa di creatività? Quale il senso di distruggere per poter ricreare. Una dotazione esclusivamente umana decifrabile nell'ambito della parodia, ma che comunque ha portato la nostra specie a evolvere così in fretta rispetto alle altre forme di vita, sicuramente meno "schizofreniche" della nostra. E' forse la pazzia stessa una forma di creatività, lungimiranza e successo a breve termine? O siamo forse una specie predestinati all'insuccesso. © RIPRODUZIONE RISERVATA Leggi l'articolo
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Vittorio Veneto da crocevia strategico nel corso della prima guerra mondiale e palcoscenico nell'ultimo scontro armato tra Italia e Impero austro-ungarico, a location privilegiata per incontri e riflessioni a tema geopolitico, relazioni e crisi internazionali, grazie a Cesmar, Limes Club della Vittoria e OhiMag, tre realtà nate nella stessa città da un impegno costante da parte di un gruppo di esperti, diplomatici, insegnanti, politologi, esperti di informatica e giuristi. Tema della conversazione di geopolitica, svoltasi lo scorso 15 Novembre presso la prestigiosa Aula civica Museo della Battaglia, l'impatto del voto statunitense sulle crisi internazionali. A rispondere ad alcune domande sul tema è stato chiamato un'ospite d'eccezione: Gianandrea Gaiani, direttore responsabile di Analisi Difesa, giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, che dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Moderatore è stato Danilo Riponti, giurista e storico. Ad ascoltare una sala gremita di appassionati, ma anche giovani studiosi ed esperti del settore. In discussione c'è l'informazione. I media occidentali, che di fatto hanno volutamente messo in crisi i sondaggi e la prevedibilità degli scenari del voto americano, in un contesto dove la partita a scacchi veniva giocata sulla base di una vera e propria distorsione della realtà. Una scenografia montata ad arte che ha tratto in inganno milioni di elettori e gli stessi opinionisti, in un finto testa a testa tra democratici e repubblicani. Lo scenario è quello descritto da George Orwell nel suo 1984, che descrive un mondo pilotato dalla disinformazione dove dire la verità è un atto rivoluzionario. Un secondo punto trattato riguarda la finanza che influenza e determina la politica di oggi, dato che gli “oligarchi” dispongono di patrimoni a volte ben superiori a quelli degli stati. Non a caso Elon Musk, oltre a finanziare e influenzare il voto, addirittura con una lotteria a premi, alza la cornetta rompendo di fatto qualsiasi stereotipo diplomatico. Così Trump stravince perchè è vicino al mondo reale più di quanto non sia la Harris, piace perchè incarna il self made man, il Tycoon per eccellenza, conquista per il suo sovranismo che porta a una nuova età dell'oro lontana dalle guerre e dall'odio. Il suo grido è che i soldi si fanno con la pace, è un uomo d'affari e bisogna negoziare, le grandi potenze trovano sempre una soluzione quando viene messo a rischio il guadagno e il commercio. E non è più una questione di competitività commerciale con Russia e Cina; oggi sul tavolo dei giochi ci sono i BRICS che negli ultimi due anni e mezzo sono preoccupantemente cresciuti. Trump si affaccia in questo scenario; ha bisogno di Putin quindi deve risolvere velocemente la "seccatura" dell'Ucraina in una visione dove ogni stato deve provvedere, a proprie spese, alla propria sovranità, Europa compresa. "L'Europa non esiste" parole di Gaiani che rabbrividiscono e fanno quasi male, e "La NATO è morta" anche se, come l'ONU, non può essere sostituita. E' oramai chiaro a tutti che il Tycoon è un sovranista americano, non europeo e tantomeno italiano. E tutto si traduce sui dazi, sul prezzo che l'Europa dovrà pagare, perchè tutto ha un costo. La dispendiosa deterrenza,- che tuttavia ha permesso a noi "boomer" di vivere una vita tutto sommato serena -, deve avere un nuovo costo. Quindi l'"ombrello nucleare" avrà un prezzo diverso per noi europei, mentre Gaiani non considera che la NATO possa più guidare gli eventi internazionali come ha sempre cercato di fare. Una politica dove l'America si riscoprirà sempre più autosufficiente anche dal punto di vista tecnologico, artefice della propria indipendenza industriale e produttiva. Gaiani punta anche il dito sulla presidente della Commissione Europea la cui visione a largo raggio potrebbe non essere tanto europeista, dato che fu indicata da Biden come possibile segretario generale della NATO, ruolo che fu poi dato a Mark Rutte. "Siamo sicuri che Ursula von der Leyen abbia a cuore gli interessi dell'Europa?" ribatte Gaiani. Poi c'è la questione delle armi: l'uso indiscriminato con cui vengono attualmente consumate non consentono a nessun stato, compreso gli USA, di sostituirle al ritmo con cui vengono consumate sia in un arco temporale soddisfacente, sia per l'indisponibilità di manodopera specializzata che per i costi stessi dell'acciaio la cui industria occidentale è appesantita dal prezzo fuori controllo dell’energia. Quindi, da buon imprenditore, quando a scarseggiare è la finanza, non resta che negoziare: con Putin, con Netanyahu, con Ching-te, con Jinping, offrendo loro tutte le garanzia di stabilità possibili. Questo è il quadro generale che il voto americano ha reso ancora più realistico, e noi europei, in questo disegno, non siamo compresi per la semplice ragione che non abbiamo più nulla da mettere nel piatto della bilancia degli asset geopolitici internazionali. Trump è il buon samaritano per casa sua, è un imprenditore, teniamolo sempre ben presente. L'Europa è stata cotta a puntino, digerita e vomitata nel giro di poche decadi. Ritornando al ruolo dell'informazione e dei media, tema da cui eravamo partiti, destabilizzanti la percezione della realtà, questo ci introduce a un grande problema: la disinformazione, che poi può essere descritta come forma occulta di cyber warfare, guerra dei dati e dove le stesse intelligence, pur non commettendo errori, vengono coinvolte in un utilizzo improprio degli stessi dati forniti. Un Deep State sempre meno intelligibile ed evanescente e il pericolo che le visioni di Orwell possano diventare sempre più concrete nello scenario futuro dell’America di Trump e del suo ruolo sul resto del mondo. Leggi l'articolo
© RIPRODUZIONE RISERVATA Gianandrea Gaiani è un giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario. Nato a Venezia il 3.11.1960 , dopo studi classici, Danilo Riponti ha conseguito a ventitré anni la laurea in Giurisprudenza presso l'Università di Trieste con voti 110 e lode. La tesi di laurea in Procedura Penale, redatta nel corso di un Simposio Internazionale tenutosi a Tokyo in materia di Vittimologia, è stata pubblicata da CEDAM con presentazione del già Ministro della Giustizia e Giudice Costituzionale Giuliano Vassalli. Da oltre 25 anni è cultore di Antropologia Criminale prima e di Criminologia poi, presso l'Università di Trieste ed è autore di numerose pubblicazioni in materia criminologica.
OHi Mag Report Geopolitico nr. 28 Ercole e Iolao, nipote e amico di Ercole, e l’Hydra di Lerna. Da un vaso greco https://www.meisterdrucke.it/stampe-d-arte/English-School/1043750/Ercole-e-Iolao-e-l%27Idra-di-Lerna- %28litografia%29.html Ci è capitato di leggere il saggio “La logica della guerra nella Grecia antica. Contenuti, forme, contraddizioni”[1], un testo che analizza la guerra e i conflitti dell’antichità alla luce degli eventi bellici di oggi - ai confini orientali d’Europa e nel Vicino Oriente - cercando di trovare stimoli interpretativi e idee. L’autore, se da un lato affronta un tema complesso come la guerra da esperto del mondo greco, dall’altro cerca di mantenersi al di sopra degli eventi che racconta, valutandoli senza giudicarli a priori. Molte le domande a cui cerca di dare risposta attraverso una ricca analisi di testi greci. Uno studio lontano nel tempo, ma, proprio per questo, libero da condizionamenti e, soprattutto, capace di andare all’essenza dei fatti. Oggi la riscoperta dei classici è divenuta fondamentale, anche nella formazione dei giovani Ufficiali, ai quali non si chiede più di applicare acriticamente sul campo risposte pre-pianificate, ma di acquisire la capacità di individuare la miglior soluzione per la situazione peggiore che possa verificarsi. Ed è apparso proprio in questi giorni sul sito del CIMSEC (Center for International Maritime Security) un interessante articolo di Jack Tribolet, “The Theoretical Edge: Why Junior Officers Should Study Military Classics”[2], dove si invitano appunto i giovani Ufficiali a studiare i classici. L’autore del citato articolo non è il solo in questa importante riscoperta dei classici nello studio della guerra. Per molti anni la US Navy ha studiato attentamente la guerra del Peloponneso, perché rappresenta uno dei pochi casi in cui una Potenza marittima (Atene) sia stata sconfitta da una Potenza continentale (Sparta). Al tempo della Guerra Fredda gli USA potevano ovviamente essere assimilati ad Atene e la NATO alla Lega di Delo, mentre l’Unione Sovietica giocava la parte di Sparta e il Patto di Varsavia quella della Lega Peloponnesiaca. Forse fu proprio il desiderio di evitare una sconfitta degli USA nel loro confronto con l’URSS che spinse Donald Kagan a studiare in profondità questa guerra così complessa e interessante, trattata nel prezioso “The Peloponnesian War”; di Kagan vanno inoltre ricordati anche gli stimolanti “On the Origins of War. And the Preservation of Peace” e “The Western Heritage. Since 1300”. La fama di Tucidide, che della guerra del Peloponneso è stato il principale studioso (e non tutti sanno che vi ha partecipato al Comando di un’unità navale), ha indotto Graham Allison a utilizzare alcune sue valutazioni nel suo saggio del 2017 “Destined for War: Can America and China Escape Thucydides's Trap?” (che contiene in realtà concetti già da lui espressi in precedenza in un suo articolo del 2012 per il Financial Times). Allison utilizza il termine “trappola di Tucidide” nel descrivere il rapporto tra Cina e USA, e non è casuale che lo stesso Xi Jinping lo abbia ripreso in un discorso del 2013, sottolineando come si dovesse “… tutti lavorare insieme per evitare scenari evocati da Tucidide”. La “trappola di Tucidide” si riferisce alla rapida crescita dell’egemonia territoriale di Atene (Cina, ai giorni nostri), avvertita come una minaccia dalla Potenza consolidata di Sparta (USA); il timore di quest’ultima di perdere la sua posizione acquisita determinò gli eventi che condussero alla guerra del Peloponneso. Ma torniamo ora allo stimolante testo del prof. Cozzo[3]. Il libro si pone l’obiettivo di rispondere a tre domande: come nasce e si sviluppa una guerra; quali sono le sue dinamiche; e qual è il ruolo degli storici nel raccontarla. Nel primo punto vengono poste in evidenza le contraddizioni sulle cause che portano allo scoppio delle ostilità:
Nel secondo punto, quello relativo alle dinamiche, l’autore analizza la retorica, l’ideologia, la propaganda, l’importanza del morale, le sofferenze dei civili. RETORICA. Per molti anni la guerra è stata considerata un confronto nobile, romantico, sportivo, in cui le regole, ben sintetizzate dallo storico Josiah Ober[6], dovevano essere rispettate, uno scontro tra pari che, però, talvolta andava oltre i limiti autoimposti. Oggi non è più così: a titolo di esempio, i civili soffrono perdite molto superiori al passato. Ma di questa tradizione sono rimaste le virtù militari, l’onore, l’eroismo, l’elogio funebre e i sacrari (retorica patriottica), tutti aspetti che, secondo Cozzo, possono diventare forme di sfruttamento della morte in battaglia per fini di natura politica. Dalla retorica si passa facilmente all’IDEOLOGIA, che, nel passato, era utile a sostenere lo sforzo bellico. Ma allora il ruolo dei capi militari e politici era coincidente, quindi la sconfitta diventava evidente con la morte del capo. Oggi non è più così: una delle conseguenze più evidenti e drammatiche del pericolo di una sconfitta, infatti, è che i leader politici pagherebbero un prezzo assai elevato per essa e devono quindi puntare a un’ideologia protettiva della propria persona e che possa giustificare i sacrifici imposti alla propria Nazione. L’ideologia è quindi diventata una forma di “salvagente”, che tende a giustificare le azioni anche a scapito di errori di valutazione strategica. Come afferma giustamente il prof. Alberto Camerotto dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, “… quando si comincia una guerra non si può più tornare indietro”; sarebbe quindi indispensabile riflettere bene sulle conseguenze di interventi mal pianificati che rischiano di diventare ingestibili e, soprattutto, costosi in termini di vite umane, causando perdite che potrebbero apparire inutili e, conseguentemente, private di dignità. D’altra parte, la guerra rimane un’attività imprevedibile e non sempre è possibile trovare alternative. I Corinzi hanno lasciato questa massima relativamente alla guerra: “Essa si fa soggetto e prende il sopravvento sull’uomo”; come l’Idra di Lerna, che, secondo la visione di Erasmo da Rotterdam, si autogenera, si trasforma e si rafforza dal dolore che crea[7]. Ma, soprattutto, essa porta gli uomini, come ci dice Voltaire, a ricercare la totale distruzione del nemico[8], e a non accontentarsi, quindi, della sola vittoria o dell’umiliazione dell’avversario. Per quanto attiene la PROPAGANDA, Cozzo pone in evidenza come in tale contesto le diverse verità scompaiano e ne rimanga solo una: quella che gli autori del comunicato o della affermazione desiderano. I morti non sono tutti uguali: i morti della parte “giusta” contano di più, i morti del nemico non meritano alcun rispetto, perché sono dalla parte sbagliata della storia. Talvolta la verità - quella vera - viene negata, l’evidenza scompare in una nebbia che porta all’oblio. Un unico fine: far dimenticare i propri errori, cancellare le colpe dalla propria gente e accusare l’avversario di tutte le possibili nefandezze. In fondo, la storia viene sempre scritta dai vincitori, quindi chi domina la comunicazione può dire qualsiasi cosa senza doverne rispondere in seguito. Analizzando l’IMPORTANZA DEL MORALE, l’autore sottolinea come in guerra diventi essenziale non solo mantenere alto il morale delle proprie truppe, ma contemporaneamente ricercare ogni occasione per prostrare quello dei nemici, che devono essere impauriti, minacciati, ingiuriati e provocati. Infine, in merito alle VIOLENZE SULLA POPOLAZIONE CIVILE, Cozzo rileva come evacuazioni, asservimenti, stupri siano una costante della guerra. Ciò che è cambiato oggi, rispetto al passato, è una maggior attenzione alla vita dei non belligeranti, che ha prodotto un corpus di leggi tese a proteggere le comunità. Ciononostante, il numero dei morti civili nelle guerre odierne è percentualmente molto superiore rispetto al passato, con valori di massima sempre superiori al 50% dei caduti, e spesso vicine al 90%. Trattando quindi il ruolo degli storici nel raccontare la guerra, l’autore analizza quello di tre somme figure del passato, Tucidide, Erodoto e Senofonte, rilevando come essi abbiano sempre inteso raccontare le grandi imprese di guerra nella loro complessità, parlando di eroismo e di fatti, elaborando testimonianze e avendo una precisa conoscenza politica del contesto. Cozzo ci invita quindi a guardare alle verità, non a un’unica verità, pena la perdita di oggettività dello studio. In conclusione, le considerazioni che si possono trarre dalla lettura di questo saggio sono:
[1] Andrea Cozzo, “La logica della guerra nella Grecia Antica. Contenuti, forme, contraddizioni”, Palermo University Press, 2023. [2] https://cimsec.org/the-theoretical-edge-why-junior-officers-should-study-military-classics/. [3] Andrea Cozzo è Professore Ordinario di Lingua e Letteratura greca presso l’Università di Palermo. [4] Su questo tema è di estremo interesse la visione del film “Official Secrets” di Gavin H. Hood del 2019. [5] Per Cozzo la guerra civile è assai peggiore della guerra tra Stati. [6] Ober ha stilato un elenco di queste convenzioni non scritte, che ne comprende dodici: 1. la guerra deve essere ufficialmente dichiarata e le tregue vanno rispettate; 2. ugualmente vanno rispettate le tregue sacre (per esempio, durante la celebrazione dei giochi olimpici); 3. bisogna rispettare i luoghi sacri e le persone sotto la protezione degli dèi (araldi, supplici, ecc.); 4. i trofei della vittoria vanno rispettati; 5. i morti in battaglia vanno restituiti al nemico che li richieda; 6. il corretto preambolo di una battaglia è una sfida rituale; 7. i prigionieri vanno liberati in cambio di un riscatto; 8. non si possono maltrattare i nemici che si sono arresi; 9. bisogna evitare gli attacchi ai civili; 10. le battaglie devono svolgersi nella stagione estiva; 11. bisogna limitare l’uso delle armi non oplitiche; 12. l’inseguimento dei nemici sconfitti che si ritirano deve essere limitato. [7] “E poiché guerra genera guerra, da guerra finta nasce guerra vera, da guerra piccina guerra poderosa, non di rado suole accadere ciò che nel mito si racconta del mostro di Lerna”. Erasmo da Rotterdam, Adagia. [8] Il 26 febbraio del 1769 Voltaire scrisse a Caterina Il, imperatrice di Russia, e le propose di utilizzare, nell'imminente guerra contro i Turchi, un temibile strumento di morte, che avrebbe sorpreso e atterrito gli avversari: “Non basta fare una guerra vittoriosa contro questi barbari e poi concluderla con una pace qualsiasi; non basta umiliarli, bisogna distruggerli”. Andrea Giardina (a cura di), Anonimo, Le cose della guerra, Ed. Fondazione Lorenzo Valla, A. Mondadori, 1989, pag. IX. Leggi l'articolo
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