OHi Mag Report Geopolitico nr. 122/bis Mauro Barberis a Vittorio Veneto Come salvare la Democrazia da Internet Se il sogno di Internet era la disintermediazione, dove tutti possono comunicare direttamente tra loro, oggi si potrebbe parlare di reintermediazione, un modello in cui non sono più le persone, ma i media a dialogare. Le grandi compagnie digitali – Google, Meta, SpaceX, TikTok – nate come startup, sono diventate monopoliste nei rispettivi settori. Questo è il vero futuro digitale: ogni azienda punta a creare qualcosa di nuovo e insostituibile da monopolizzare. La libertà di concorrenza non esiste più, o meglio, non deve esistere, perché in un mondo dominato dall’efficienza, solo il monopolio è vincente. Ma per comprendere questa evoluzione, dobbiamo ripartire dalla storia della comunicazione umana. Dall’epoca dell’oralità, in cui la parola conquistò il primato nelle relazioni, si passò alla scrittura, dalle sacre scritture ai libri, ai giornali, fino ad arrivare a Internet. Quest’ultimo non è solo uno strumento, ma una vera e propria era, la terza, che stiamo vivendo da almeno vent’anni. Eppure, paradossalmente, dal punto di vista comunicativo, stiamo regredendo verso un linguaggio iconografico, un’adorazione delle immagini e di un’informazione troppo veloce per essere assimilata correttamente. «È curioso», osserva Mauro Barberis, docente di diritto all’Università di Trieste e autore di Come salvare la Democrazia da Internet, «vedere come le Big Tech siano cresciute vicino a università come Stanford, attingendo alla psicologia cognitiva per rendere i loro prodotti irresistibili.» Un meccanismo perfetto per creare macchine finanziarie basate sulla pubblicità. Perché se Internet ci appare come lo strumento più democratico al mondo, in realtà lo paghiamo a caro prezzo, cedendo dati personali, contenuti e immagini. È l’industria più redditizia della storia. E la politica, nell’era digitale, ne ha ricalcato il modello. Se funziona per la pubblicità commerciale, perché non dovrebbe funzionare per quella politica? Barack Obama, il primo presidente "nero" – come lo definisce Barberis con tono quasi dissacrante – a vincere grazie a Internet, ha segnato un precedente. Quando Donald Trump chiese all’allora CEO di Twitter, Jack Dorsey, come superare l’engagement di Obama, la risposta fu lapidaria: «Semplicemente inarrivabile per uno come lei.» L’unica chance per Trump, allora, è stata giocare la carta opposta: «Se lo sa usare un energumeno come me, lo può fare chiunque», «Sono il più scemo del villaggio, quindi sono uno di voi». Barberis sottolinea come, paradossalmente, l’unico modo per combattere il populismo sia adottarne i cliché – ma solo nelle orazioni, non nei libri. Oggi i giovani preferiscono corsi sull’intelligenza artificiale ai noiosi programmi universitari. Perché memorizzare, se esistono Google e Wikipedia? Internet è un mezzo rivoluzionario senza precedenti, e chi vuole governare il mondo non può ignorarne le dinamiche. Viviamo in un ambiente in cui tutto sembra concatenato da trame occulte, in cui l’unico innocente è l’utente, lobotomizzato e teleguidato – termine che aggiungo con piacere, perché calza a pennello. «Ma cos’è la democrazia? Il fatto che tutti possano votare?», prosegue Barberis. No, la democrazia dovrebbe anche garantire la separazione dei poteri. Oggi è facile criticare l’Unione Europea, che, pur con i suoi difetti, resta un baluardo democratico. L’alternativa? Putin, o l’estremismo della cancel culture, che rischia di soffocare il dibattito sotto pretesti ideologici. «Non possiamo permettercelo», avverte Barberis. Questa non è più la democrazia per cui è stata concepita: un sistema in cui le decisioni rispecchiano la volontà popolare. Ma la volontà popolare, come ho sostenuto anche in dibattito con Barberis, deve essere informata da una conoscenza reale, non da una comprensione superficiale e emotiva. Non si può governare solo con meme e slogan. La democrazia è altro: votare non significa essere liberi. La libertà non si negozia al primo click, alla prima notizia letta di fretta su un social. Il problema non è l’offerta democratica, ma la cultura, sommersa in un mare di informazione e disinformazione che si confondono in un gioco di specchi distorti. Una "democrazia teleguidata", dove masse spaesate si aggrappano all’ultimo slogan, all’ultima notizia virale. Una coercizione di massa che trasforma la politica in una partita di tifo, nascondendo giochi di potere ben più complessi. «Come salvare la Democrazia da Internet», riecheggia il titolo di Barberis. Democrazia e Internet dovrebbero essere separati, ma la colpa non è tutta della rete. Uno strumento è neutro: dipende dall’uso che se ne fa. E l’intelligenza artificiale, così potente e veloce, richiede controlli rigorosi – soprattutto in democrazia. © RIPRODUZIONE RISERVATA Mauro Barberis
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La definizione "Democrazia Teleguidata" è particolarmente efficace e suggestiva, perché coglie due aspetti cruciali della crisi democratica nell’era digitale:
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