OHi Mag Report Geopolitico nr. 127 Introduzione Le profondità oceaniche, ultimo grande mistero del nostro pianeta, si trovano oggi al centro di un acceso dibattito globale: l'estrazione mineraria sottomarina (Deep-Sea Mining, DSM). Questa pratica promette di sbloccare vaste riserve di minerali critici, essenziali per la transizione energetica, l'intelligenza artificiale e le tecnologie di difesa, ma solleva al contempo interrogativi cruciali sulla sua sostenibilità economica, i suoi impatti ambientali irreversibili e le complesse dinamiche geopolitiche che ne derivano. Le argomentazioni a favore, spesso incentrate sulla sicurezza nazionale e l'indipendenza dalle catene di approvvigionamento dominate da potenze rivali come la Cina, si scontrano con le voci di scienziati, ambientalisti e persino istituzioni finanziarie che ne denunciano i rischi sproporzionati. Il presente saggio, basandosi su analisi recenti, si propone di esplorare le molteplici sfaccettature di questa contesa, esaminando i fatti, le implicazioni strategiche, marittime e le potenziali ricadute, anche per nazioni come l'Italia, inserite in questo complesso scenario globale. I Fatti Il dibattito sull'estrazione mineraria dai fondali oceanici è stato rinvigorito da recenti iniziative e analisi che ne delineano un quadro complesso e controverso. Come evidenziato da Steve Trent nel suo articolo "Why Deep-Sea Mining Is a Gamble We Can’t Afford" (The National Interest, 13 maggio 2025), la narrazione che dipinge il DSM come una panacea finanziaria e strategica è profondamente fallace. Trent sostiene che le aziende promotrici, come The Metals Company (TMC), si basano su presupposti economici "selvaggiamente ottimistici e obsoleti" e modelli di business non provati. Dal 2021, i costi operativi sono raddoppiati e i tassi di interesse sono saliti vertiginosamente. Paradossalmente, nonostante l'aumento delle vendite di veicoli elettrici, i prezzi di minerali chiave come il cobalto e il nichel, target del DSM, sono diminuiti significativamente. Inoltre, l'innovazione tecnologica, con l'ascesa delle batterie litio-ferro-fosfato (LFP) che non richiedono nichel, manganese o cobalto, sta riducendo la domanda per i minerali che il DSM si propone di estrarre. Trent cita il fallimento del progetto Solwara I in Papua Nuova Guinea, costato al paese 120 milioni di dollari, come monito emblematico. L'industria, secondo l'autore, si affida a tecnologie non collaudate e affronta enormi rischi legali e reputazionali, legati alla distruzione di ecosistemi fragili e alla potenziale contaminazione delle catene alimentari. Non a caso, istituzioni finanziarie di primo piano (Deutsche Bank, Lloyds, Swiss Re, Banca Europea per gli Investimenti) e grandi assicuratori (Hannover Re, Zurich Insurance Group) si rifiutano di finanziare tali operazioni, mentre oltre sessanta aziende, tra cui Apple, Google e BMW, hanno escluso il DSM dalle loro filiere. Più di trenta governi e la Commissione Europea invocano una moratoria. In netto contrasto, Steven Groves, in "Trump’s Interest in Deep-Sea Mining in the Face of Global Pressure" (The National Interest, 13 maggio 2025), difende la legittimità dell'interesse dell'ex presidente Trump per il DSM, sottolineando come un ordine esecutivo del 24 aprile mirasse a "expedite the process" per consentire alle compagnie statunitensi di operare, anche senza essere firmatari della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS). L'obiettivo, secondo un fact sheet della Casa Bianca citato da Groves, era posizionare gli USA come leader globali nell'esplorazione e sviluppo minerario sottomarino, creando una robusta catena di approvvigionamento domestica e "contrastare l'influenza della Cina" nel settore. Groves contesta la posizione dell'International Seabed Authority (ISA), l'organismo con sede in Giamaica che regola le attività minerarie in acque internazionali, la quale sostiene di avere il controllo esclusivo su tali attività. Poiché gli USA non hanno ratificato UNCLOS, non sarebbero vincolati dalle sue regole. Groves critica inoltre l'ISA per non essere riuscita a concordare un codice minerario in oltre un decennio. L'opposizione all'iniziativa di Trump da parte di Cina, UE e Greenpeace viene interpretata da Groves come un segnale che gli USA stessero "facendo qualcosa di giusto", rompendo il presunto "strangolamento" cinese sulle catene di approvvigionamento dei minerali critici. Un'ulteriore prospettiva, focalizzata sulla competizione geostrategica, emerge dall'articolo "A 'Sputnik Moment' in Deep Sea Mining" di Gilbert, Wang e Bazilian (The National Interest, 17 marzo 2025). Gli autori interpretano l'accordo quinquennale siglato a febbraio tra la Cina e le Isole Cook per l'esplorazione mineraria sottomarina come un "momento Sputnik", che segnala un punto di inflessione strategica in cui i minerali marini diventano un nuovo asse di competizione geopolitica, con gli Stati Uniti in ritardo. La domanda globale di minerali critici è in aumento esponenziale a causa delle trasformazioni tecnologiche (transizione energetica, AI, difesa), e le risorse terrestri faticano a tenere il passo. Il fondale marino, ricco di noduli polimetallici, solfuri massivi e croste ricche di cobalto, offre depositi concentrati di questi minerali. Gli autori sottolineano come la mancata ratifica di UNCLOS da parte degli USA impedisca loro di accedere a risorse promettenti come quelle della Clarion Clipperton Zone (CCZ) e mini l'influenza americana nell'ISA. L'accordo Cina-Isole Cook, che si concentra su trasferimento tecnologico, supporto logistico e ricerca ecosistemica, è visto come un tentativo di Pechino di aggirare l'impasse dell'ISA e posizionarsi come primo produttore globale di minerali marini, estendendo la sua influenza nel Pacifico. Infine, la revisione scientifica di Kathryn A. Miller, "An Overview of Seabed Mining Including the Current State of Development, Environmental Impacts, and Knowledge Gaps" (Frontiers in Marine Science), fornisce un quadro dettagliato dei tipi di risorse minerarie sottomarine (noduli di manganese, solfuri massivi polimetallici, croste ricche di cobalto, idrati di gas), della loro localizzazione e degli ecosistemi unici ad esse associati, spesso riconosciuti come Ecosistemi Marini Vulnerabili (VME). L'articolo descrive le tecnologie di estrazione proposte e i loro inevitabili impatti: distruzione fisica dell'habitat, pennacchi di sedimenti che possono diffondersi per chilometri soffocando la vita bentonica e rilasciando metalli tossici, inquinamento acustico e luminoso continuo che disturba la fauna marina, e alterazioni termiche. Miller evidenzia come il recupero degli ecosistemi profondi, caratterizzati da specie a crescita lenta e lunga vita, possa richiedere decenni, secoli o essere addirittura impossibile. Sottolineano le profonde lacune nella conoscenza scientifica degli ecosistemi profondi e la difficoltà di valutare gli impatti e definire un "danno accettabile". Viene inoltre trattato il quadro normativo (UNCLOS e ISA) e le difficoltà nel sviluppare regolamenti di sfruttamento efficaci che bilancino interessi economici e protezione ambientale. Si menzionano approcci alternativi come l'economia circolare e il riciclo, pur riconoscendo che potrebbero non essere sufficienti a soddisfare la domanda futura. Conseguenze Geopolitiche Le iniziative e le analisi descritte prefigurano un acuirsi della competizione geopolitica per il controllo delle risorse sottomarine. L'ordine esecutivo di Trump, come interpretato da Groves, e l'accordo Cina-Isole Cook, analizzato da Gilbert., sono manifestazioni di una strategia volta a garantirsi l'accesso a minerali critici, riducendo la dipendenza da attori esteri e proiettando influenza. La Cina, attraverso la Belt and Road Initiative e accordi bilaterali, sta sistematicamente assicurandosi il controllo di risorse strategiche a livello globale, e il DSM rappresenta una nuova frontiera in questa strategia. L'accordo con le Isole Cook, una nazione strategicamente posizionata nel Pacifico, non solo offre accesso a ricchi depositi ma estende la portata geopolitica di Pechino in un'area tradizionalmente influenzata da potenze occidentali. Questo è visto come un tentativo di isolare partner degli USA come Nuova Zelanda e Australia. La mancata ratifica di UNCLOS da parte degli Stati Uniti emerge come un fattore geopolitico cruciale. Se da un lato, secondo Groves, permette agli USA di agire unilateralmente, dall'altro, come sottolinea Gilbert, li esclude dalla governance formale delle risorse in alto mare gestite dall'ISA e impedisce alle aziende americane di ottenere permessi per aree chiave come la CCZ. Questa auto-limitazione potrebbe cedere un vantaggio significativo alla Cina all'interno dell'ISA e nella corsa globale alle risorse. L'International Seabed Authority stessa si trova al centro di tensioni, con la sua incapacità di finalizzare un codice di sfruttamento che bilanci gli interessi economici degli stati e delle imprese con il principio del "patrimonio comune dell'umanità" e la protezione ambientale, come evidenziato da Miller et al. e criticato da Groves. Le piccole nazioni insulari del Pacifico, ricche di risorse nei loro fondali ma vulnerabili, diventano pedine in questo grande gioco, divise tra le promesse di benefici economici e i timori per la sovranità e l'integrità ambientale. Conseguenze Strategiche Dal punto di vista strategico, l'accesso sicuro e diversificato ai minerali critici è fondamentale per la sicurezza nazionale, lo sviluppo tecnologico (AI, semiconduttori) e la transizione verso energie pulite. La dipendenza da catene di approvvigionamento concentrate, specialmente quelle dominate dalla Cina, è vista come una vulnerabilità strategica significativa, come argomentato da Groves e Gilbert. Il DSM è quindi proposto da alcuni come una soluzione per mitigare questo rischio, garantendo una fonte "domestica" o comunque controllata da alleati. La competizione per i minerali sottomarini si configura quindi come un nuovo dominio della rivalità tra grandi potenze, con implicazioni dirette per le capacità di difesa e l'innovazione tecnologica. Chi controllerà queste risorse e le tecnologie per estrarle e processarle avrà un vantaggio strategico. Tuttavia, le argomentazioni di Trent e Miller introducono una contro-narrativa strategica: l'investimento in un'industria dai costi esorbitanti, dalla redditività incerta e dagli impatti ambientali potenzialmente catastrofici potrebbe rivelarsi un errore strategico, deviando risorse da alternative più sostenibili come l'economia circolare, il riciclo e l'innovazione in materiali sostitutivi. Un danno ambientale su vasta scala negli oceani profondi potrebbe avere conseguenze strategiche a lungo termine imprevedibili, alterando gli equilibri ecosistemici globali. Il "momento Sputnik" evocato da Gilbert è un appello a una mobilitazione statunitense, ma la direzione di tale mobilitazione – verso un DSM accelerato o verso una leadership in alternative sostenibili – rimane un punto cruciale del dibattito. La sfida strategica consiste nel bilanciare l'imperativo della sicurezza delle risorse con la necessità di una gestione responsabile del pianeta. Conseguenze Marittime Le conseguenze marittime del DSM, come ampiamente dettagliato da Miller. e richiamato da Trent, sono profonde e potenzialmente devastanti. L'estrazione fisica dei noduli, dei solfuri o delle croste comporta la distruzione diretta e su vasta scala degli habitat bentonici, che sono cresciuti e si sono evoluti per milioni di anni. Questi habitat ospitano una biodiversità spesso unica ed endemica, con specie adattate a condizioni estreme e a crescita estremamente lenta, rendendo il recupero degli ecosistemi estremamente lento o impossibile. I pennacchi di sedimenti sollevati dalle operazioni minerarie possono diffondersi per decine o centinaia di chilometri, soffocando gli organismi bentonici ben oltre l'area di estrazione diretta, alterando la chimica dell'acqua e rilasciando metalli pesanti tossici che possono entrare nella catena alimentare marina. L'inquinamento acustico generato dalle macchine operatrici e dalle navi di supporto, operanti con continuità, può interferire con la comunicazione, la navigazione e il comportamento di una vasta gamma di specie marine, inclusi i mammiferi marini. Anche l'inquinamento luminoso in ambienti naturalmente bui può avere effetti deleteri. Questi impatti non si limitano al sito di estrazione ma possono avere effetti a cascata su ecosistemi più ampi, comprese le attività di pesca commerciale e di sussistenza. La distruzione degli habitat sui seamount, ad esempio, che fungono da "oasi" di biodiversità e aree di aggregazione per specie pelagiche, potrebbe avere ripercussioni significative sulle popolazioni ittiche. Vi è inoltre il rischio di interferenze con altre attività marittime, come la posa e la manutenzione di cavi sottomarini per le telecomunicazioni, vitali per l'economia globale, come implicitamente suggerito da Gilbert nel contesto delle Isole Cook. La mancanza di conoscenze scientifiche complete sugli ecosistemi profondi rende estremamente difficile prevedere l'intera portata di questi impatti e sviluppare misure di mitigazione efficaci, rendendo il principio di precauzione particolarmente pertinente. Conseguenze per l’Italia Sebbene gli articoli non menzionino direttamente l'Italia come attore protagonista nel DSM, le implicazioni per il paese sono significative e si manifestano su più livelli. In quanto nazione manifatturiera avanzata, con settori chiave come l'automotive, l'elettronica, l'aerospazio e la difesa, l'Italia dipende dall'approvvigionamento stabile e a costi accessibili dei minerali critici che il DSM promette di fornire. Le interruzioni nelle catene di approvvigionamento globali o la volatilità dei prezzi di questi minerali, influenzate dalla competizione geopolitica descritta, avrebbero un impatto diretto sull'economia italiana e sulla sua competitività. Come membro dell'Unione Europea, l'Italia è partecipe delle discussioni e delle posizioni comunitarie sul DSM. La Commissione Europea, come citato da Trent, ha espresso preoccupazioni e invocato una moratoria, e l'Italia probabilmente si allineerebbe a un approccio cauto e basato sul principio di precauzione, sostenendo la necessità di una solida governance internazionale e di una valutazione approfondita dei rischi ambientali prima di procedere con lo sfruttamento. La comunità scientifica italiana, con la sua tradizione di ricerca marina, è coinvolta nello studio degli ecosistemi profondi, contribuendo alla conoscenza necessaria per valutare gli impatti del DSM. L'Italia, come nazione marittima con una vasta linea costiera nel Mediterraneo, ha un interesse intrinseco nella salute globale degli oceani. Anche se il DSM non riguarda direttamente il Mediterraneo nelle sue forme più discusse (es. noduli polimetallici), il principio della tutela degli oceani come "bene comune" e le potenziali ricadute globali di un danno esteso agli ecosistemi profondi toccano anche gli interessi italiani. Infine, l'Italia potrebbe giocare un ruolo importante nello sviluppo e nell'adozione di quelle alternative al DSM menzionate da Trent e Miller, come l'economia circolare, il riciclo avanzato dei materiali e l'innovazione in prodotti e processi che riducano la dipendenza da minerali vergini. Investire in queste aree potrebbe rappresentare un'opportunità strategica per l'industria italiana, allineandosi con gli obiettivi di sostenibilità e riducendo la vulnerabilità alle dinamiche geopolitiche delle materie prime. Conclusioni e Raccomandazioni L'estrazione mineraria dai fondali oceanici si presenta come un dilemma emblematico del XXI secolo, sospeso tra la promessa di accesso a risorse cruciali per il progresso tecnologico e la sicurezza energetica, e la minaccia di danni ambientali irreversibili e costi economici e sociali insostenibili. Le analisi concordano sulla crescente domanda di minerali, ma divergono radicalmente sulla fattibilità e l'opportunità del DSM come soluzione. La spinta di attori come gli Stati Uniti (sotto certe amministrazioni) e la Cina a perseguire il DSM riflette una chiara logica geopolitica di competizione per le risorse e l'influenza globale. Tuttavia, le argomentazioni economiche a favore appaiono fragili di fronte all'evoluzione tecnologica (es. batterie LFP) e ai costi crescenti, mentre i rischi ambientali, come dettagliato dalla comunità scientifica, sono immensi e in gran parte sconosciuti. Le raccomandazioni che emergono con forza sono orientate alla cautela e alla responsabilità. Appare imprescindibile, come invocato da molti, una moratoria sullo sfruttamento commerciale fino a quando non vi sarà una comprensione scientifica molto più profonda degli ecosistemi abissali e degli impatti del DSM, e fino a quando l'International Seabed Authority non avrà sviluppato un quadro normativo robusto, trasparente e realmente protettivo, che incarni il principio di precauzione. Parallelamente, è cruciale intensificare gli investimenti in ricerca e sviluppo di alternative sostenibili: l'economia circolare, il riciclo efficiente dei materiali, la progettazione di prodotti a minor impatto e la ricerca di materiali sostitutivi. Per l'Italia, e per la comunità internazionale, la vera sfida strategica non è tanto vincere la corsa al fondo dell'oceano, quanto guidare la transizione verso un modello di sviluppo che non sacrifichi l'ultimo grande ambiente selvaggio del pianeta sull'altare di un progresso miope. Riferimenti (elenco nell'ordine di autore del testo, titolo, sito, data e indirizzo URL):
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