OHi Mag Report Geopolitico nr. 162 Il rinnovamento della marina commerciale degli Stati Uniti Introduzione In un'epoca di crescenti tensioni geopolitiche e catene di approvvigionamento globali fragili, l'industria marittima commerciale degli Stati Uniti si trova a un bivio critico, navigando in una "bassa marea" storica che ne minaccia la vitalità economica e il ruolo strategico per la sicurezza nazionale. L'opera "Returning from the Ebb Tide" offre un'analisi completa e autorevole di questa crisi, riunendo le voci di eminenti esperti, accademici e leader militari per tracciare una rotta verso la rinascita. Articolato in tre sezioni, il libro inizia con una diagnosi incisiva dello stato attuale della flotta commerciale, esplorandone le radici storiche nel mondo post-Guerra Fredda e proponendo strategie visionarie, inclusa l'innovazione tecnologica come i reattori nucleari di piccola taglia. Successivamente, l'analisi si sposta sul ruolo insostituibile di questo settore come spina dorsale del trasporto marittimo strategico (Sealift), esaminando i programmi governativi e le capacità essenziali che sostengono la proiezione di forza militare americana. Infine, l'opera si concentra sul cuore pulsante del sistema: i marinai della Marina Mercantile. Attraverso un'indagine sulla loro formazione e sulla sfida critica della loro ritenzione, frutto di "decenni di negligenza", il libro sottolinea che nessuna flotta può esistere senza equipaggi competenti e motivati. Più che un semplice resoconto, questa raccolta si presenta come una roadmap e una chiamata all'azione per politici, industriali e cittadini, volta a rivitalizzare un pilastro essenziale della prosperità e della sicurezza nazionale. La Parabola del Potere Marittimo Americano. Sintesi del libro Returning from the ebb tide. Il racconto della potenza marittima statunitense, come emerge dal saggio "Returning from the Ebb Tide", è una narrazione complessa di ascesa, dominio, declino sistemico e, oggi, di una disperata ricerca di rinascita. La traiettoria di questa componente fondamentale della sicurezza nazionale americana non è lineare, ma un percorso segnato da trionfi strategici, innovazioni rivoluzionarie e decisioni politiche dalle conseguenze devastanti. Per comprendere la crisi attuale, è indispensabile ripercorrere questa storia, che affonda le sue radici nella stessa nascita della nazione. Fin dalla Guerra d'Indipendenza, la Marina Mercantile è stata intrinsecamente legata alla difesa nazionale. In assenza di una marina militare formale, furono i corsari, marinai mercantili autorizzati dal Congresso a condurre azioni di pirateria contro il naviglio britannico, a costituire la prima linea di difesa marittima dell'America. Questa simbiosi tra commercio e difesa fu un principio guida per i Padri Fondatori, i quali compresero che una grande nazione non poteva delegare a potenze straniere il controllo delle proprie linee di rifornimento. Il XIX secolo consacrò questo dominio con l'epopea dei clipper, veloci velieri che facevano sventolare la bandiera a stelle e strisce sui mari di tutto il mondo, dominando le rotte commerciali più redditizie. Tuttavia, le vulnerabilità strategiche emerse durante la Prima Guerra Mondiale, quando la nazione si trovò priva di tonnellaggio sufficiente per sostenere lo sforzo bellico, portarono a una svolta legislativa. Il Congresso varò una serie di atti che avrebbero plasmato il settore per quasi un secolo. Il Merchant Marine Act del 1920, meglio noto come Jones Act, stabilì il principio del cabotaggio protetto: ogni trasporto di merci tra porti statunitensi doveva essere effettuato da navi costruite, possedute ed equipaggiate da cittadini americani. Questa legge, tuttora in vigore e al centro di accesi dibattiti, fu concepita come la pietra angolare per sostenere l'intera base industriale marittima nazionale, dai cantieri navali alla forza lavoro. A questo si aggiunse il Merchant Marine Act del 1936, la vera "Magna Carta" della politica marittima americana. Questo atto istituì un sistema di sussidi federali, il Construction Differential Subsidy (CDS) e l'Operating Differential Subsidy (ODS), progettati per compensare i maggiori costi di costruzione e di esercizio delle navi americane rispetto alla concorrenza internazionale. L'obiettivo non era meramente economico, ma strategico: garantire l'esistenza di una flotta moderna, efficiente e pronta a essere requisita come braccio logistico della Marina Militare in caso di guerra. Fu proprio questa architettura legislativa a "preparare il terreno" per l'incredibile sforzo produttivo della Seconda Guerra Mondiale. L'industria navale, già rinvigorita dai sussidi, fu in grado di lanciare il programma delle navi Liberty e Victory. Guidata dall'innovazione di industriali come Henry J. Kaiser, che rivoluzionò la cantieristica introducendo tecniche di prefabbricazione e costruzione modulare, l'America divenne "l'Arsenale della Democrazia", producendo migliaia di navi che si rivelarono decisive per la vittoria alleata. Il Generale Dwight D. Eisenhower stesso riconobbe questo contributo, affermando che nessuna organizzazione avrebbe meritato più credito della Marina Mercantile per la vittoria finale. Nel dopoguerra, però, iniziò un lento ma inesorabile declino. Sebbene nel 1947 la flotta a bandiera statunitense trasportasse ancora il 60% del commercio estero della nazione, oggi quella percentuale è crollata a meno dell'1%. Le cause di questa erosione sono molteplici e interconnesse. La prima fu l'ascesa delle "bandiere di comodo". Nazioni come Panama e la Liberia iniziarono a offrire regimi fiscali e normativi estremamente permissivi, permettendo agli armatori, compresi quelli americani, di registrare le proprie navi all'estero per abbattere i costi del lavoro e aggirare le rigide normative statunitensi. Questo fenomeno spezzò il legame storico tra nazionalità dell'armatore e bandiera della nave, erodendo la competitività della flotta nazionale. Parallelamente, un'altra innovazione americana, la containerizzazione, inventata da Malcom McLean, rivoluzionò il commercio globale. L'efficienza del container, dimostrata in modo spettacolare durante la guerra del Vietnam nel risolvere un incubo logistico, rese il trasporto marittimo esponenzialmente più economico e veloce, diventando il motore della globalizzazione. Tuttavia, il colpo di grazia alla politica marittima americana arrivò negli anni '80. Con l'amministrazione Reagan, in un clima di deregolamentazione e sulla scia della fine della Guerra Fredda, i sussidi CDS e ODS furono eliminati. La decisione si basava su due presupposti che il tempo avrebbe dimostrato essere tragicamente errati: che l'era delle grandi guerre convenzionali fosse finita e che l'integrazione della Cina nel sistema economico globale l'avrebbe resa un attore pacifico. Mentre Washington smantellava il proprio supporto strategico, Pechino faceva l'esatto contrario. Ispirandosi alle teorie del potere marittimo dell'americano Alfred Thayer Mahan, la Cina ha perseguito per decenni una strategia olistica per dominare l'intero ecosistema marittimo. Oggi, la Cina costruisce la metà delle navi portacontainer del mondo, produce il 97% dei container e il 70% delle gru portuali, controllando al contempo una flotta vastissima e avendo investimenti strategici in centinaia di terminal in tutto il mondo. Questo squilibrio ha generato una vulnerabilità strategica senza precedenti per gli Stati Uniti, che si trovano ora a dipendere dal loro principale rivale per le proprie catene di approvvigionamento. Di fronte a questa diagnosi, il saggio esplora due principali vie d'uscita, entrambe basate sull'innovazione. La prima, delineata da Brent Sadler, è una "Blue Ocean Strategy" incentrata su un "multimodalità (più modalità di trasporto) di nuova generazione". Non si tratta più solo di trasferire un container da una nave a un treno, ma di creare un ecosistema logistico integrato che fonde trasporto marittimo, aereo e terrestre, abilitato da tecnologie come la stampa 3D per la produzione distribuita, container intelligenti dotati di sensori e tracciabilità blockchain, e l'uso di droni e dirigibili per la consegna dell'ultimo miglio. In questo scenario, navi madre di dimensioni colossali agirebbero come hub logistici galleggianti in mare aperto, trasferendo il carico a navi "feeder" più piccole o a piattaforme aeree, aprendo così decine di piccoli porti al commercio globale e aumentando la resilienza del sistema. La seconda via, proposta da Thomas Davies e Sanjana Shashikumar, è un "game-changer" tecnologico: la propulsione nucleare commerciale. Riprendendo l'eredità della NS Savannah, la prima nave mercantile a propulsione nucleare del 1962, ma superandone i limiti grazie ai moderni Piccoli Reattori Modulari (SMR). Questi reattori di nuova generazione sono intrinsecamente sicuri, operano a bassa pressione (eliminando il rischio di vaste zone di evacuazione) e possono essere prodotti in serie. Una flotta a propulsione nucleare offrirebbe vantaggi strategici immensi: indipendenza dalla volatilità dei prezzi del carburante, zero emissioni, e la capacità di operare a velocità molto più elevate, rivoluzionando la produttività del trasporto marittimo. Il saggio sposta poi l'analisi dal settore commerciale alla sua funzione militare, analizzando la macchina del trasporto strategico nota come Sealift. Il cuore di questa capacità è il U.S. Transportation Command (USTRANSCOM), il comando unificato responsabile di proiettare e sostenere la forza militare americana nel mondo. Circa il 90% del materiale militare, in termini di volume, viaggia via mare. L'USTRANSCOM gestisce questa imponente operazione attraverso diversi strumenti: navi governative attivate dalla riserva, noleggi a tempo (simili a un'auto a noleggio, con pieno controllo operativo) e noleggi a viaggio (simili a un taxi, con controllo limitato). Tuttavia, l'architettura del Sealift americano è afflitta da una contraddizione fatale. Come analizzato da Bradley Martin, essa è un retaggio della Guerra Fredda, progettata per trasportare divisioni corazzate in Europa. La flotta di riserva governativa, la Ready Reserve Force (RRF), è composta principalmente da navi Roll-on/Roll-off (RORO), ottimizzate per veicoli. Questa flotta è drammaticamente inadeguata per lo scenario più probabile oggi: un conflitto nel Pacifico occidentale con la Cina. Un tale conflitto richiederebbe non tanto carri armati, quanto un flusso costante di munizioni e, soprattutto, carburante alla rinfusa, per sostenere una forza aerea e navale distribuita su un teatro operativo immenso. La RRF è vecchia, con un'età media superiore ai 45 anni, e inaffidabile, con bassi tassi di successo nelle esercitazioni di attivazione. Per colmare questo divario, gli Stati Uniti si affidano a una partnership pubblico-privata di grande successo: il Maritime Security Program (MSP). Gestito dalla Maritime Administration (MARAD), l'MSP fornisce uno compenso finanziario annuale a 60 navi commerciali militarmente utili, che in cambio rimangono sotto bandiera statunitense e a disposizione del Dipartimento della Difesa. Questa flotta, grazie a un meccanismo di auto-ricapitalizzazione, è moderna e pronta. Il successo del programma ha portato alla creazione del Tanker Security Program (TSP), un'iniziativa gemella volta a colmare la critica carenza di navi cisterna. Nonostante il successo dell'MSP, il problema della ricapitalizzazione della flotta governativa (la RRF) rimane. Come illustra Sabreena Croteau, la politica attuale di acquistare navi usate per sostituire quelle ancora più vecchie è una trappola strategica. Queste navi richiedono costose modifiche e, soprattutto, la pratica finisce per finanziare la concorrenza: le compagnie vendono le loro navi obsolete agli Stati Uniti e con i proventi ne acquistano di nuove dai cantieri cinesi. Questa paralisi è aggravata da una divisione disfunzionale delle responsabilità, in cui il principale beneficiario del Sealift, l'Esercito, è in gran parte assente dal processo di pianificazione e finanziamento, lasciando che questa capacità critica "cada tra le crepe" del bilancio del Pentagono. Infine, il saggio affronta l'elemento più critico dell'intero ecosistema: il capitale umano. Le navi, le strategie e le tecnologie sono inutili senza marinai qualificati e motivati. La Marina Mercantile americana sta affrontando una crisi di personale che minaccia di vanificare qualsiasi sforzo di rivitalizzazione industriale e strategica. John Konrad descrive questa crisi come una perdita di identità e di fiducia. I marinai mercantili si trovano in un limbo: non sono né militari (privi dei relativi benefici e riconoscimenti) né semplici civili. Questa ambiguità ha portato a un crollo del morale, esacerbato da decenni di promesse non mantenute riguardo allo status di veterano e da un senso di abbandono da parte delle istituzioni. Il problema è quantificabile. Secondo il rapporto del Mariner Workforce Working Group (MWWG) del 2017, agli Stati Uniti mancano almeno 1.839 marinai per sostenere operazioni belliche prolungate. La crisi è particolarmente acuta tra il personale non ufficiale (le "ratings"), il cui numero è crollato del 78% tra il 2001 e il 2017. La causa è strutturale: una "piramide invertita" con pochissimi posti di lavoro entry-level, che impedisce ai giovani di entrare nel settore e accumulare l'esperienza necessaria per avanzare. A questa carenza numerica si aggiunge il problema della volontarietà. Poiché il servizio è volontario, non c'è garanzia che i marinai scelgano di navigare in una zona di guerra, specialmente con margini di personale così risicati. Le accademie marittime, le principali fonti di ufficiali qualificati, affrontano a loro volta sfide esistenziali legate a finanziamenti cronici, difficoltà di reclutamento e una cultura che fatica a diventare pienamente inclusiva. Di fronte a questa emorragia di personale, iniziative come "Operation Mariner" propongono soluzioni concrete: benefici fiscali, miglioramento della qualità della vita a bordo (come l'accesso a internet ad alta velocità), creazione di una riserva civile e riforma della burocrazia per le licenze. Tuttavia, queste misure mirano a stabilizzare la forza lavoro attuale, non necessariamente ad aumentarla al livello richiesto da un conflitto su larga scala. Conseguenze Geopolitiche Il declino della potenza marittima statunitense, così meticolosamente documentato, non è un problema interno, ma un evento con profonde ramificazioni geopolitiche. Esso segnala un riallineamento fondamentale degli equilibri di potere globali, con l'ascesa della Cina a riempire il vuoto lasciato da un'America strategicamente distratta. La dipendenza degli Stati Uniti e dei suoi alleati da catene di approvvigionamento dominate da Pechino crea una vulnerabilità senza precedenti. In un'eventuale crisi, la Cina avrebbe la capacità di esercitare una coercizione economica paralizzante, interrompendo il flusso di beni essenziali e componenti critici. Il controllo cinese su porti strategici in tutto il mondo, parte integrante della Belt and Road Initiative, non è solo un progetto commerciale, ma uno strumento di proiezione di influenza che potrebbe limitare l'accesso e la mobilità delle forze navali occidentali in tempo di pace e di guerra. Per gli alleati degli Stati Uniti, in particolare per le nazioni che dipendono dalla libertà di navigazione per la propria prosperità, questa situazione solleva dubbi sulla credibilità dell'ombrello di sicurezza americano. Un'America che non può garantire le proprie linee di rifornimento marittimo faticherà a garantire quelle dei suoi partner, spingendo potenzialmente alcuni paesi a cercare un accomodamento con Pechino o a perseguire una maggiore autonomia strategica, con il rischio di frammentare le alleanze esistenti. Conseguenze Strategiche Sul piano strategico-militare, le conseguenze sono ancora più dirette e allarmanti. La capacità di proiettare e sostenere la forza militare a grandi distanze è la pietra angolare del potere globale americano. Senza una capacità di Sealift robusta, l'esercito americano rischia di diventare una "forza di guarnigione", incapace di intervenire efficacemente e in modo tempestivo in teatri operativi lontani. L'attuale flotta di riserva, obsoleta e ottimizzata per scenari della Guerra Fredda, è inadeguata per un conflitto nel vasto e conteso teatro dell'Indo-Pacifico. Questa discrepanza tra mezzi e minacce erode la credibilità della deterrenza americana. Un potenziale avversario, consapevole delle fragilità logistiche degli Stati Uniti, potrebbe essere meno incline a credere alla determinazione americana di intervenire, aumentando il rischio di errori di calcolo e di escalation. Inoltre, la crisi del personale marittimo rappresenta un "single point of failure" strategico: anche con le navi più avanzate, l'assenza di equipaggi qualificati e disposti a rischiare la vita rende l'intera impresa logistica insostenibile. La mancanza di marinai non è un problema amministrativo, ma un limite fondamentale alla capacità della nazione di condurre una guerra. Conseguenze Marittime L'impatto sul settore marittimo globale è trasformativo. L'abdicazione degli Stati Uniti dal loro ruolo storico di leader nella cantieristica commerciale ha portato a una concentrazione quasi monopolistica della produzione in Asia, e in particolare in Cina. Questo non solo influenza i prezzi delle navi e del trasporto a livello globale, ma conferisce a Pechino un'enorme influenza sulla definizione degli standard tecnologici, ambientali e lavorativi del settore. Le nazioni occidentali, un tempo "price-maker", sono diventate "price-taker", costrette ad adattarsi a un mercato modellato dagli interessi strategici di un'altra potenza. La crisi del personale marittimo statunitense è un sintomo di una tendenza più ampia che riguarda molte nazioni occidentali, dove la carriera in mare è percepita come sempre meno attraente. Questo potrebbe portare a un futuro in cui le flotte globali sono dominate da equipaggi provenienti da un numero ristretto di paesi, con potenziali implicazioni per la sicurezza e l'affidabilità. D'altro canto, le soluzioni innovative esplorate nel saggio, come la multimodalità avanzata e la propulsione nucleare, se perseguite con decisione, potrebbero innescare una nuova rivoluzione marittima, sfidando lo status quo e creando nuovi paradigmi competitivi. Conseguenze per l'Italia Per una nazione come l'Italia, la cui geografia, economia e sicurezza sono intrinsecamente legate al mare, le dinamiche descritte hanno implicazioni dirette e significative. In primo luogo, in qualità di membro fondatore della NATO e pilastro della sicurezza nel Mediterraneo, l'Italia dipende dalla credibilità della garanzia di difesa collettiva. L'indebolimento della capacità di Sealift statunitense mina direttamente la capacità dell'Alleanza di sostenere operazioni prolungate sul fianco orientale o meridionale. In uno scenario di crisi, la capacità di Washington di proiettare rinforzi in Europa via mare sarebbe cruciale, e ogni debolezza in questo ambito si traduce in una debolezza per la sicurezza italiana. In secondo luogo, sul piano industriale, l'Italia, con la sua avanzata industria cantieristica rappresentata da Fincantieri, si trova di fronte alla stessa schiacciante concorrenza cinese descritta nel saggio. La crisi americana funge da monito: senza un sostegno strategico e una visione a lungo termine, anche le eccellenze industriali possono essere erose. Tuttavia, rappresenta anche un'opportunità. Le innovazioni discusse, in particolare i Piccoli Reattori Modulari (SMR) e le tecnologie per il trasporto multimodale, aprono potenziali fronti di collaborazione tecnologica e industriale tra Italia e Stati Uniti. Infine, la crisi del personale marittimo americano è un campanello d'allarme anche per l'Italia, che affronta sfide demografiche simili e la necessità di rendere la carriera marittima attraente per le nuove generazioni, garantendo così la vitalità di un settore che è fondamentale per l'economia e l'identità nazionale. Conclusioni "Returning from the Ebb Tide" non è semplicemente un'analisi accademica, ma un potente e urgente appello alla nazione. Attraverso un'indagine meticolosa e stratificata, il libro dimostra come la potenza marittima degli Stati Uniti, un tempo indiscussa, sia stata erosa da decenni di decisioni politiche miopi, cambiamenti strutturali globali e, soprattutto, una profonda negligenza strategica. L'opera dipana la sua tesi attraverso tre sezioni interconnesse che, insieme, dipingono un quadro di vulnerabilità sistemica. La Prima Parte traccia il desolante declino industriale, da leader globale a un'ombra di sé, mentre esplora audaci sentieri per la rinascita tecnologica, come il multimodalità avanzata e la propulsione nucleare. La Seconda Parte smonta l'apparato del trasporto strategico (Sealift), rivelando una flotta di riserva obsoleta e pericolosamente disallineata con le minacce di un conflitto nel Pacifico, in netto contrasto con il successo, seppur insufficiente, di programmi mirati come il Maritime Security Program (MSP). Infine, la Terza Parte colpisce al cuore del problema: il capitale umano. Qui, il libro dimostra in modo inequivocabile che navi e strategie sono vane senza i marinai. Decenni di promesse infrante, una crisi d'identità e l'assenza di un percorso di carriera sostenibile hanno prodotto una carenza critica di personale qualificato e motivato, mettendo a nudo il vero tallone d'Achille della sicurezza nazionale americana. Più che una semplice cronaca del fallimento, il libro si configura come una roadmap strategica. La sua conclusione è inequivocabile: la rinascita della potenza marittima statunitense non può essere frammentaria. Non si tratta solo di costruire nuove navi, di riformare la burocrazia del Pentagono o di finanziare le accademie. Richiede una strategia nazionale olistica e un rinnovato patto sociale con la comunità marittima, riconoscendone il ruolo di "quarta arma della difesa". In un'era definita dalla competizione strategica con la Cina, ignorare questo appello non significa solo rischiare la prosperità economica, ma compromettere la capacità stessa della nazione di proiettare forza e difendere i propri interessi nel mondo. La marea deve tornare a salire, e deve farlo ora. Riferimento. La presente sintesi è basata sull'analisi dei contenuti del libro Returning from the Ebb Tide, edito dalla Marine Corps University Press, Quantico, VA. Gli autori dei vari saggi sono i seguenti: Foggo, James G. (Foreword), McCown Jr., John D. (Capitoli 1 & 2), Sadler, Brent (Capitolo 3), Davies, Thomas, and Shashikumar, Sanjana (Capitolo 4), Mewbourne, Dee (Capitolo 5), Martin, Bradley (Capitolo 6), McDonald, William (Capitolo 7), Croteau, Sabreena (Capitolo 8), Konrad, John (Capitolo 9), Chiego, Christopher; Skoll, Amy; and Wade, Ryan (Capitolo 10), Brown, Geoffrey, with Bardot, Eric (Capitolo 11). © RIPRODUZIONE RISERVATA
0 Commenti
Lascia una Risposta. |
RedazioneCERCA▼Cerca per argomenti oppure un'autore
Archives
Luglio 2025
Categories |