OHi Mag Report Geopolitico nr. 105 Introduzione In un panorama globale segnato da profonde incertezze, dal ridimensionamento dell'ombrello di sicurezza statunitense e da tensioni geopolitiche crescenti, l'Unione Europea si trova a ricalibrare le proprie strategie di difesa, cercando nuovi partner affidabili. In questo contesto emerge prepotentemente la Turchia, la cui industria degli armamenti ha conosciuto un'ascesa straordinaria negli ultimi vent'anni, rendendola un attore chiave sulla scena internazionale. Partendo dall'analisi di Selin Gücüm (aprile 2025), questo saggio esplora come il rafforzamento delle capacità militari turche possa fungere da catalizzatore per un rinnovato partenariato strategico tra Ankara e Bruxelles. Il crescente scetticismo sulla garanzia di sicurezza americana e i recenti vertici diplomatici, come quello di Londra del marzo 2025, suggeriscono un possibile riallineamento basato su interessi di sicurezza convergenti, spingendo a valutare se la potenza militare turca possa effettivamente aprire le porte a una nuova era di cooperazione con l'UE. I Fatti Il percorso dell'industria della difesa turca verso l'attuale prominenza globale è il risultato di una visione strategica di lungo periodo, radicata nella volontà di raggiungere l'autonomia nazionale. Già la crisi cipriota degli anni '60 aveva sollevato preoccupazioni sulla dipendenza dagli USA, ma fu l'embargo americano imposto tra il 1975 e il 1978, a seguito dell'intervento turco a Cipro, a rappresentare il vero punto di svolta. Questa esperienza traumatica instillò nella leadership turca la consapevolezza irrevocabile della necessità di sviluppare una capacità produttiva interna per non essere più vulnerabile alle pressioni esterne. I decenni successivi videro sforzi costanti per costruire questa base industriale. La creazione nel 1985 dell'Agenzia per l'Industria della Difesa (originariamente SSB) e il consolidamento delle principali aziende del settore (TUSAŞ, ASELSAN, HAVELSAN, Roketsan) sotto l'egida della Fondazione delle Forze Armate Turche (TSKGV) nel 1987 furono passi fondamentali. Contrariamente alla tendenza occidentale post-Guerra Fredda, la Turchia continuò ad aumentare le spese militari, spinta sia dall'ambizione di autonomia sia dalla persistente lotta contro il PKK e dalle tensioni regionali, come quelle con la Grecia. La percezione di un supporto NATO tiepido durante la Guerra del Golfo rafforzò ulteriormente questa determinazione. La strategia adottata fu pragmatica: acquisizioni tramite joint venture e produzione su licenza (come il progetto Stinger che diede vita a Roketsan) divennero la norma per aggirare le incertezze diplomatiche legate all'acquisto diretto. L'arrivo al potere dell'AKP nel 2002 impresse un'accelerazione decisiva. Sotto il motto delle "soluzioni indigene", il governo Erdoğan rilanciò i programmi di armamento, privilegiando sistematicamente il coinvolgimento dell'industria nazionale. Un periodo di relativa stabilità interna ed esterna, unito a una robusta crescita economica nei primi anni 2000, permise di allocare ingenti risorse alla ricerca e sviluppo (R&S). Ankara poté così concentrarsi sull'innovazione e sulla produzione di sistemi d'arma nazionali senza l'urgenza di un conflitto imminente. I risultati sono oggi evidenti. Nel 2023, tre colossi turchi – ASELSAN, Baykar e TUSAŞ – figuravano tra i primi 100 produttori mondiali di armi. Le esportazioni sono cresciute esponenzialmente, rendendo la Turchia l'11° esportatore globale. Il successo più eclatante è arrivato dal settore dei droni: il Bayraktar TB2, testato con successo in Nagorno-Karabakh, Libia e Ucraina, è diventato un simbolo della tecnologia turca, richiesto in tutto il mondo. Ma l'industria eccelle anche in altri settori, come dimostrano le navi della classe MilGem e l'elicottero T129 ATAK. La presentazione del TCG Anadolu, definita la prima porta-droni, ha avuto anche un forte impatto sull'opinione pubblica interna, diventando uno strumento di consenso politico per l'AKP. Due fattori chiave spiegano il successo commerciale: la competitività dei prezzi (un Bayraktar TB2 costa una frazione di un MQ-9 Reaper americano) e l'assenza di condizionalità politiche o etiche legate alle vendite, un vantaggio rispetto ai fornitori occidentali. Questa combinazione ha aperto le porte a mercati in Africa, Medio Oriente e, più recentemente, in Europa, inclusi membri NATO e UE come Portogallo, Polonia, Croazia e Romania. Tuttavia, questa ascesa non è priva di limiti. Le difficoltà economiche che affliggono la Turchia dal 2018 pongono un'ipoteca sulla sostenibilità a lungo termine degli investimenti. Nonostante l'aumento della spesa nel 2023, la sua quota sul PIL rimane contenuta. Inoltre, la Turchia dipende ancora da componenti estere per i sistemi ad alta tecnologia, una vulnerabilità significativa in caso di sanzioni. Infine, la carenza di capitale umano qualificato e il fenomeno della "fuga di cervelli" rappresentano una sfida strutturale per un settore che vive di innovazione e R&S. Conseguenze geopolitiche L'affermazione dell'industria della difesa turca ha profonde ripercussioni geopolitiche. Innanzitutto, rafforza lo status della Turchia come potenza regionale autonoma, capace di proiettare influenza militare e diplomatica dal Mediterraneo Orientale al Caucaso (e al teatro operativo dell’heartland), dal Vicino Oriente all'Africa. La capacità di fornire armamenti efficaci e a basso costo, senza vincoli politici, le permette di costruire relazioni privilegiate con numerosi Paesi, spesso al di fuori delle tradizionali sfere di influenza occidentali. Questa accresciuta capacità militare supporta la dottrina di politica estera turca basata su "alleanze flessibili", consentendo ad Ankara di agire in modo più indipendente dai suoi alleati storici della NATO e di perseguire i propri interessi nazionali con maggiore assertività. Il ruolo attivo e spesso determinante della Turchia in conflitti regionali (Siria, Libia, Nagorno-Karabakh) e la sua posizione unica nel conflitto ucraino (mediazione sull'accordo del grano) ne sono una diretta conseguenza. Conseguenze Strategiche Sul piano strategico, l'ascesa dell'industria bellica turca incarna la ricerca di "autonomia strategica" da parte di Ankara. Riducendo la dipendenza tecnologica e militare dall'esterno, la Turchia guadagna margini di manovra significativi. Per la NATO, ciò significa avere un alleato militarmente più forte e capace, soprattutto sul fianco sud-orientale, ma potenzialmente meno allineato e più incline a perseguire agende proprie. Per l'Unione Europea, la Turchia emerge come un partner potenzialmente indispensabile per la sicurezza continentale, data la sua posizione geo-strategica, le sue capacità militari e il suo ruolo nella gestione di crisi regionali (come la migrazione). Questa nuova realtà strategica sta spingendo Bruxelles a riconsiderare il rapporto con Ankara, spostando il focus dalle annose questioni politiche verso una cooperazione più pragmatica incentrata sulla sicurezza, come suggerito da recenti dichiarazioni di alti funzionari UE e NATO. Conseguenze Marittime Il settore marittimo è un'altra area di eccellenza dell'industria della difesa turca, con implicazioni significative. Lo sviluppo e la produzione di navi da guerra moderne, come le corvette della classe MilGem, e l'ambizioso progetto della TCG Anadolu (porta-droni), dimostrano la capacità turca di operare anche in domini tecnologicamente complessi. L'esportazione di navi militari verso un paese NATO e UE come il Portogallo segna una tappa fondamentale, attestando la qualità raggiunta e aprendo nuovi mercati. Questa crescente capacità navale permette alla Turchia di rafforzare la propria presenza e influenza nel Mar Nero, nel Mediterraneo Orientale e potenzialmente oltre, sostenendo le sue ambizioni geopolitiche e la difesa dei propri interessi marittimi, spesso in competizione con altri attori regionali. La forza marittima diventa così un pilastro fondamentale della sua autonomia strategica. Conseguenze per l'Italia Per l'Italia, l'ascesa dell'industria della difesa turca presenta un quadro complesso di opportunità e sfide. Da un lato, emergono possibilità concrete di collaborazione industriale, come testimoniato dall'acquisizione di Piaggio Aerospace da parte di Baykar e dal protocollo d'intesa tra la stessa Baykar e Leonardo per una joint venture nel settore dei droni (UAS). Questo indica un riconoscimento della qualità tecnologica italiana e apre potenziali sinergie. D'altro canto, la Turchia si afferma come un concorrente sempre più agguerrito sui mercati internazionali della difesa, anche in settori dove l'Italia ha tradizionalmente goduto di rendite di posizione, come quello navale. Geopoliticamente, l'Italia, come potenza mediterranea e membro chiave dell'UE, si trova a dover bilanciare la necessità strategica di un rapporto stabile e cooperativo con Ankara (specialmente su dossier come Libia, energia e migrazioni) con le preoccupazioni legate alle politiche turche e alle tensioni nel Mediterraneo Orientale. Una Turchia militarmente più forte e autonoma richiede all'Italia una ricalibrazione della propria politica estera e di difesa nella regione. Non è un caso che molte aree di interesse l’Italia sia stata sostituita dalla Turchia che si è di fatto appropriata di aree scalzando l’Italia da un ruolo di leadership locale. Conclusioni e Raccomandazioni L'impressionante sviluppo dell'industria della difesa turca ha innegabilmente modificato gli equilibri geopolitici e strategici regionali ed europei. Alimentata da una storica aspirazione all'autonomia e coronata da successi tecnologici e commerciali, soprattutto nel campo dei droni, questa crescita ha reso Ankara un attore militare ed economico di primo piano, capace di perseguire una politica estera più indipendente e assertiva. In un contesto internazionale fluido e pragmatico, dove le tradizionali alleanze sono messe in discussione, le capacità militari turche offrono un'opportunità concreta per ridefinire le relazioni con l'Unione Europea. La convergenza di interessi nel campo della sicurezza, acuita dalle crisi alle porte dell'Europa e dall'incertezza sul ruolo futuro degli Stati Uniti, potrebbe spingere verso un partenariato strategico rinnovato tra Bruxelles e Ankara, più focalizzato su obiettivi pragmatici e meno vincolato dalle complesse dinamiche politiche del processo di adesione. La Turchia, con il suo esercito e la sua industria, può offrire un contributo significativo alla sicurezza europea. Tuttavia, la realizzazione di questa potenziale alleanza richiede il superamento di ostacoli considerevoli: le persistenti tensioni politiche bilaterali (Grecia, Cipro), le preoccupazioni europee sullo stato di diritto e i diritti umani in Turchia, e le richieste turche (modernizzazione dell'unione doganale, liberalizzazione dei visti). Si raccomanda pertanto un approccio pragmatico basato sul dialogo costante, sull'identificazione di aree concrete di cooperazione mutuamente vantaggiose (sicurezza regionale, industria della difesa, energia) e sulla volontà reciproca di compiere passi costruttivi per ricostruire la fiducia. Riferimento: Questo testo è una sintesi e rielaborazione basata sull'articolo "L’Essor de l’Armement Turc : Un Catalyseur pour une Nouvelle Alliance entre la Turquie et l’Union Européenne ?" di Selin Gücüm, pubblicato dall'Observatoire de la Turquie et de son environnement géopolitique dell'IRIS (Institut de Relations Internationales et Stratégiques) nell'aprile 2025. Vedasi : https://www.iris-france.org/lessor-de-larmement-turc-un-catalyseur-pour-une-nouvelle-alliance-entre-la-turquie-et-lunion-europeenne/ © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Maggio 2025
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