OHi Mag Report Geopolitico nr. 133 Introduzione In un panorama globale sempre più multipolare e interconnesso, il concetto di "soft power" – la capacità di influenzare gli altri attraverso l'attrazione e la persuasione piuttosto che con la coercizione – assume un'importanza cruciale. All'interno di questa dinamica, la diplomazia culturale, e in particolare la restituzione dei beni culturali, emerge come uno strumento strategico di crescente rilevanza. Per l'America Latina, una regione profondamente segnata da secoli di estrazione coloniale e spoliazione culturale, il recupero del proprio patrimonio trafugato trascende il mero gesto legale o simbolico. Diventa un atto geopoliticamente significativo, un mezzo per riaffermare la sovranità nazionale, riscrivere narrazioni storiche imposte e rafforzare la propria identità e influenza sulla scena internazionale. Questo saggio, basandosi sull'analisi di Alice Velicogna, esplorerà come la restituzione dei tesori culturali stia rimodellando la diplomazia e il soft power latinoamericano, trasformando i beni culturali in veri e propri strumenti geopolitici. I Fatti raccontati L'articolo di Alice Velicogna, "Cultural heritage diplomacy: Latin American treasures as a tool of soft power", pubblicato il 27 maggio 2025, delinea con precisione il crescente impegno dei paesi latinoamericani nel recuperare il proprio patrimonio culturale illecitamente sottratto e disperso in musei e collezioni private di tutto il mondo, principalmente nel Nord Globale. Questa spinta si inserisce in un contesto più ampio, dove i dibattiti sulla giustizia storica, la decolonizzazione e la rettifica delle ingiustizie coloniali guadagnano sempre più trazione a livello globale. La restituzione dei beni culturali diventa così un potente veicolo per affrontare queste tematiche, permettendo agli Stati di correggere, almeno in parte, le ferite del passato, rafforzare la propria influenza globale e promuovere la cooperazione internazionale su nuove basi. Il quadro giuridico internazionale che regola la restituzione culturale si fonda principalmente su due strumenti chiave: la Convenzione UNESCO del 1970 sui mezzi per proibire e prevenire l'illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà di beni culturali, e la Convenzione UNIDROIT del 1995 sui beni culturali rubati o illecitamente esportati. Entrambe mirano a contrastare il traffico illecito e a facilitare il ritorno dei beni culturali rimossi illegalmente. Tuttavia, Velicogna sottolinea una limitazione significativa: nessuna delle due convenzioni è retroattiva, il che significa che non possono essere applicate ai beni sottratti prima della loro entrata in vigore. Questa lacuna esclude la stragrande maggioranza delle estrazioni avvenute durante l'era coloniale. Nonostante ciò, gli Stati latinoamericani non si sono arresi, ma hanno attivamente utilizzato i canali diplomatici, la pressione dell'opinione pubblica e accordi bilaterali per raggiungere i loro obiettivi. Esempi significativi includono i trattati firmati da Perù (1997; 2022), Bolivia (2001; 2006) e Nicaragua (2000; 2010) con gli Stati Uniti, dimostrando la volontà di perseguire vie alternative per assicurare il ritorno sicuro del proprio patrimonio. L'articolo presenta diversi casi studio emblematici. Il Messico, dal 2019, è impegnato in dispute con la Francia riguardo alla messa all'asta di reperti Aztechi e Maya in gallerie parigine, inquadrando tali eventi non solo come questioni legali ma come affronti morali e storici. Un precedente di grande risonanza è la lunga battaglia del Perù contro l'Università di Yale per la restituzione di migliaia di manufatti provenienti da Machu Picchu, scavati all'inizio del XX secolo da Hiram Bingham e portati negli Stati Uniti. Dopo anni di negoziati, nel 2012 Yale ha acconsentito alla restituzione e, aspetto cruciale, le parti hanno siglato un accordo per la creazione di un Centro Internazionale per lo Studio di Machu Picchu e della Cultura Inca a Cusco, in Perù. Questo caso evidenzia come i processi di restituzione possano evolvere in piattaforme per una cooperazione accademica e culturale a lungo termine. Un altro caso significativo menzionato è la restituzione di oltre 600 manufatti precolombiani dall'Italia all'Ecuador nel 2018, oggetti frutto di traffico illecito sequestrati dalle autorità italiane. Più recentemente, nel 2024, il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC) di Roma ha ufficialmente restituito nove reperti archeologici pre-ispanici all'Ambasciata di El Salvador in Italia. Questi oggetti, risalenti al Periodo Classico Tardo, erano stati importati illecitamente e detenuti in una collezione privata. Questi episodi, sottolinea Velicogna, illustrano una tendenza più ampia: i paesi latinoamericani stanno mobilitando con crescente efficacia canali diplomatici, opinione pubblica e forum multilaterali per reclamare i propri beni culturali. L'articolo analizza anche le sfide che persistono. Molti paesi del Sud Globale affrontano significative barriere strutturali, tra cui limitate capacità finanziarie e istituzionali per catalogare, conservare ed esporre i reperti restituiti. L'assenza di database nazionali completi e registri digitali complica l'identificazione e la rivendicazione del patrimonio saccheggiato. Inoltre, la resistenza da parte di alcuni musei, collezionisti e case d'asta continua a ostacolare i progressi, con argomentazioni che spaziano dalla legalità dell'acquisizione al concetto di "patrimonio universale" accessibile a tutti. Come risposta propositiva, Velicogna cita lo sviluppo del modello di "museo integrale" in America Latina – musei che fungono da centri comunitari, promuovono l'inclusione sociale e riflettono l'esperienza culturale vissuta da diverse popolazioni. Conseguenze Geopolitiche Le implicazioni geopolitiche della restituzione del patrimonio culturale sono profonde e multiformi. Come evidenziato da Velicogna, assicurarsi il ritorno dei manufatti culturali da musei stranieri e collezioni private aiuta le nazioni latinoamericane a riaffermare la propria "historical agency", ovvero la capacità di agire autonomamente sulla propria storia e narrazione, e a proiettare un'identità nazionale rinnovata, radicata nel patrimonio precoloniale e indigeno. Questo processo contribuisce a smantellare le narrazioni coloniali che per secoli hanno sminuito o cancellato le civiltà originarie. La restituzione rafforza l'immagine internazionale di questi Stati come difensori dei diritti culturali fondamentali, incluse le minoranze indigene, che spesso vedono in questi reperti una parte viva e sacra della loro identità. Posizionandosi come leader nella decolonizzazione globale degli spazi museali, i paesi latinoamericani accrescono la loro autorità morale e il loro peso diplomatico. Questo è particolarmente rilevante in un'epoca in cui la diplomazia culturale sta diventando una componente centrale della politica estera di molte nazioni. Inoltre, la restituzione di oggetti culturali può servire a riequilibrare, almeno simbolicamente, le relazioni asimmetriche tra i paesi latinoamericani e le ex potenze coloniali o altre nazioni più potenti del Nord Globale. Le negoziazioni sui ritorni del patrimonio sono spesso inserite in dinamiche geopolitiche più ampie che coinvolgono commercio, migrazione e aiuti allo sviluppo. In questo contesto, la restituzione può agire come un contrappeso simbolico a persistenti disuguaglianze strutturali, permettendo ai paesi latinoamericani di negoziare da una posizione di maggiore parità morale e culturale. La creazione di nuovi quadri bilaterali che legano la restituzione alla cooperazione culturale, come nel caso Perù-Yale, trasforma l'atto del ritorno in una relazione diplomatica sostenuta e reciprocamente vantaggiosa, aprendo canali di dialogo e collaborazione che vanno oltre il singolo oggetto. Conseguenze Strategiche Dal punto di vista strategico, la diplomazia del patrimonio culturale offre ai paesi latinoamericani vantaggi significativi. In primo luogo, rafforza la coesione sociale e l'identità nazionale. Il ritorno di oggetti culturalmente significativi può fungere da catalizzatore per un rinnovato orgoglio nazionale e per una più profonda comprensione della propria storia, specialmente tra le giovani generazioni. La valorizzazione del patrimonio indigeno e precoloniale contribuisce a costruire narrazioni nazionali più inclusive e rappresentative della diversità culturale della regione. In secondo luogo, proietta un'immagine internazionale specifica e positiva: quella di nazioni custodi della propria cultura, impegnate nella giustizia storica e nel rispetto dei diritti umani. Questa immagine può tradursi in un maggiore "soft power", migliorando la percezione del paese all'estero e facilitando il raggiungimento di altri obiettivi di politica estera, come l'attrazione di investimenti, turismo culturale e sostegno in sedi multilaterali. La strategia di legare la restituzione a forme di cooperazione culturale a lungo termine, come centri di ricerca congiunti o programmi di scambio, è particolarmente astuta. Trasforma potenziali contenziosi in opportunità di partenariato, costruendo ponti invece che muri. Questo approccio strategico non solo assicura il ritorno fisico degli oggetti, ma crea anche le condizioni per la condivisione di conoscenze, lo sviluppo di competenze locali nella conservazione e nella museologia, e un impegno diplomatico continuativo. Il modello del "museo integrale", menzionato da Velicogna, è esso stesso una strategia per affrontare le limitazioni infrastrutturali e, contemporaneamente, per rendere il patrimonio culturale uno strumento attivo di sviluppo sociale e inclusione. Conseguenze Marittime L'articolo di Alice Velicogna non si sofferma esplicitamente sulle conseguenze marittime dirette della restituzione dei beni culturali. Tuttavia, è possibile tracciare connessioni indirette. Storicamente, gran parte del traffico illecito di beni culturali, specialmente su lunghe distanze transoceaniche, ha coinvolto rotte marittime. Le navi sono state il principale veicolo per il trasporto di oggetti saccheggiati dalle Americhe verso l'Europa e altre parti del mondo durante l'epoca coloniale e anche in tempi più recenti attraverso reti criminali transnazionali. Le campagne di restituzione, rafforzando le norme internazionali e la cooperazione tra Stati (come dimostrano i sequestri operati dalle autorità italiane, spesso in porti o tramite indagini che intercettano spedizioni), contribuiscono indirettamente a una maggiore vigilanza e a un più efficace contrasto del traffico illecito di beni culturali via mare. Sebbene la restituzione riguardi beni già trafugati, il successo di queste iniziative e la crescente pressione internazionale possono avere un effetto deterrente sul futuro traffico, spingendo verso un maggiore controllo delle merci in transito nei porti e un più stretto monitoraggio delle attività sospette. Inoltre, la sensibilizzazione generata da questi casi può portare a una maggiore cooperazione tra autorità doganali e forze dell'ordine marittime a livello internazionale per intercettare tali traffici. La "marittimità" in questo contesto è quindi più legata alla prevenzione del futuro saccheggio che alle conseguenze dirette della restituzione di oggetti già all'estero. Conseguenze per l'Italia L'articolo di Velicogna mette in luce il ruolo positivo e proattivo dell'Italia in materia di restituzione di beni culturali, citando specificamente i casi di restituzione all'Ecuador e a El Salvador, grazie all'operato del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC). Questa posizione ha conseguenze significative per l'Italia. Innanzitutto, rafforza le relazioni diplomatiche e culturali dell'Italia con i paesi latinoamericani. Agendo come partner affidabile e rispettoso nella lotta al traffico illecito e nella promozione della giustizia storica, l'Italia si guadagna stima e fiducia, aprendo canali privilegiati per la cooperazione in altri settori (economico, scientifico, accademico). In secondo luogo, consolida l'immagine dell'Italia come nazione leader a livello globale nella tutela del patrimonio culturale. Avendo essa stessa un immenso patrimonio e una lunga storia di lotte contro il saccheggio dei propri beni, l'Italia possiede una credibilità unica in questo campo. L'efficacia del TPC è riconosciuta a livello internazionale e funge da modello per molti altri paesi. Questa leadership può essere spesa in consessi internazionali per promuovere standard più elevati e meccanismi più efficaci per la protezione e la restituzione dei beni culturali. Inoltre, questa politica può stimolare una riflessione interna anche in Italia sulla provenienza di alcuni reperti conservati nei propri musei, qualora vi fossero richieste pendenti o casi controversi non ancora risolti. Tuttavia, l'orientamento attuale, come descritto nell'articolo, è quello di un paese che agisce principalmente come restitutore di beni illecitamente transitati o detenuti sul proprio territorio, piuttosto che come detentore di grandi collezioni coloniali latinoamericane contestate. Infine, la cooperazione in questo settore può portare a iniziative congiunte di ricerca, restauro e formazione, ulteriormente arricchendo il panorama culturale italiano e latinoamericano. Conclusioni e Raccomandazioni La diplomazia del patrimonio culturale, come brillantemente illustrato nell'analisi di Alice Velicogna, si sta affermando come uno strumento di soft power di eccezionale efficacia per le nazioni dell'America Latina. Il recupero dei tesori culturali non è solo un atto di giustizia riparativa per le spoliazioni del passato, ma una strategia lungimirante per ridefinire la propria identità nazionale, rafforzare la coesione sociale e riposizionarsi con autorevolezza sulla scena geopolitica globale. Questo processo consente ai paesi latinoamericani di dialogare con le ex potenze coloniali e con il Nord Globale su un piano di maggiore parità morale, trasformando antiche rimostranze in nuove opportunità di cooperazione e comprensione reciproca. Per consolidare questi successi e ampliare ulteriormente la propria influenza, è raccomandabile che gli Stati latinoamericani continuino a investire nel rafforzamento dei quadri giuridici nazionali e internazionali, potenziando la capacità tecnica e finanziaria delle istituzioni preposte alla catalogazione, conservazione ed esposizione del patrimonio. Cruciale sarà intensificare la cooperazione regionale per presentare un fronte unito e sviluppare strategie condivise. Fondamentale, come suggerisce Velicogna, è l'integrazione piena delle prospettive e della partecipazione delle comunità indigene nei processi di restituzione, assicurando che le politiche siano etiche e rispettose dei loro diritti. Infine, sfruttare attivamente consessi internazionali come il Forum UE-America Latina sulla Diplomazia Culturale sarà essenziale per mantenere alta l'attenzione su questi temi e promuovere un dialogo basato sulla giustizia, la memoria e il rispetto reciproco, assicurando che il patrimonio culturale diventi sempre più un ponte per un futuro di relazioni internazionali più eque. Riferimento: Velicogna, Alice, "Cultural heritage diplomacy: Latin American treasures as a tool of soft power", IARI, 27 Maggio 2025. https://iari.site/2025/05/27/cultural-heritage-diplomacy-latin-american-treasures-as-a-tool-of-soft-power/. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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