OHi Mag Report Geopolitico nr. 155 Introduzione La stabilità dell'Oceano Indiano Occidentale (OIO), un tempo considerata una questione relegata a dinamiche regionali, rappresenta oggi un elemento cruciale dello scacchiere geostrategico globale. Per l'Italia e per l'Europa, la sicurezza di questo vasto dominio marittimo, che si estende dal Corno d'Africa fino alle coste asiatiche, non è più un interesse secondario, ma una condizione indispensabile per la propria prosperità e sicurezza. Questa consapevolezza è al cuore della visione strategica italiana del "Mediterraneo Allargato", un paradigma che riconosce come la stabilità del bacino sia inscindibilmente legata a quella delle aree adiacenti. Il presente saggio, traendo spunto e rielaborando le analisi contenute in documenti strategici e rapporti operativi di esperti del settore, si propone di delineare un quadro completo delle sfide che caratterizzano questa regione. Partendo dalla narrazione dei fatti e delle minacce concrete, si analizzeranno le profonde conseguenze geopolitiche, strategiche e marittime di tale instabilità, con un focus specifico sulle implicazioni per l'Italia e sul ruolo proattivo svolto dalla sua Marina Militare. L'obiettivo è offrire una lettura chiara, sintetica ed esaustiva di una delle aree più complesse e vitali del nostro tempo. Analisi delle Dinamiche e delle Minacce Regionali L'Oceano Indiano Occidentale è una vera e propria "giugulare" del commercio mondiale, un corridoio marittimo attraverso cui transita circa l'80% del petrolio globale e una quota preponderante dei traffici commerciali tra Asia, Africa ed Europa. La sua importanza strategica è amplificata dalla presenza di choke point fondamentali come lo Stretto di Bab el-Mandeb e lo Stretto di Hormuz. Tuttavia, questa centralità economica è messa a repentaglio da un ecosistema criminale complesso e da un'intensificazione delle tensioni geopolitiche, alimentate da instabilità statale, vulnerabilità socioeconomiche e debolezza della governance costiera. Come evidenziato dai rapporti del Regional Maritime Information Fusion Centre (RMIFC), il numero di incidenti legati alla sicurezza marittima è in costante aumento, passando da 640 eventi nel 2017 a 1145 nel 2024, a testimonianza di un deterioramento progressivo del quadro securitario. Le minacce che affliggono la regione sono molteplici e spesso interconnesse, creando un circolo vizioso di instabilità. La minaccia più recente e dirompente è rappresentata dagli attacchi cinetici contro il naviglio mercantile nel Mar Rosso, perpetrati principalmente dai ribelli Houthi a partire dal novembre 2023. Inizialmente diretti contro navi legate a interessi israeliani, gli attacchi si sono estesi a imbarcazioni di bandiera statunitense e britannica e, infine, a naviglio senza affiliazioni chiare. Le modalità operative sono variegate e tecnologicamente avanzate: dall'uso di droni e missili balistici antinave all'impiego di barchini veloci armati. Sebbene l'efficacia tattica di questi attacchi sia stimata inferiore al 10%, il loro impatto strategico è stato enorme, causando vittime, gravi danni alle navi e una profonda destabilizzazione delle rotte commerciali. Nel solo 2024, questo tipo di violenza ha rappresentato 128 dei 175 atti registrati in mare, un aumento esponenziale rispetto ai 69 dell'anno precedente. In parallelo, e potenzialmente favorita dalla diversione di assetti navali internazionali verso il Mar Rosso, si è assistito a una preoccupante recrudescenza della pirateria, in particolare nel bacino somalo. Sebbene i livelli non siano paragonabili al picco del 2008-2013, nel 2024 sono stati registrati 18 incidenti, un forte aumento che ha riaperto una finestra di opportunità per le reti piratesche. Il loro modus operandi prevede il dirottamento di pescherecci (dhow) da utilizzare come "navi madre" per lanciare attacchi contro mercantili più grandi fino a 600 miglia nautiche dalla costa, spesso approfittando dell'assenza di team di sicurezza armati a bordo (PAST). Accanto a queste minacce cinetiche, persistono con vigore i traffici illeciti. Il narcotraffico, pur registrando un calo nelle quantità sequestrate nel 2024 (42 tonnellate contro le oltre 100 degli anni precedenti), rimane un fenomeno endemico con 127 incidenti. Questo paradosso si spiega con il ridotto pattugliamento delle rotte della droga, come la "Smack Track", a causa della crisi nel Mar Rosso. L'Oceano Indiano rimane un corridoio cruciale per il contrabbando di armi, esseri umani e fauna selvatica, attività che finanziano reti criminali e gruppi terroristici, minando la stabilità degli stati costieri e alimentando la corruzione. La pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (IUU) costituisce una piaga persistente e devastante. Con perdite stimate in miliardi di dollari annui per nazioni come Kenya, Somalia e Mozambico, la pesca IUU non solo depreda le risorse ittiche e danneggia l'ecosistema marino, ma compromette la sicurezza alimentare, alimenta i conflitti sociali e crea le condizioni socioeconomiche che spingono le popolazioni verso la pirateria e altre attività criminali. Infine, il terrorismo marittimo e i rischi ambientali completano il quadro. Gruppi terroristici, specialmente in Mozambico e lungo le coste del Kenya, utilizzano il dominio marittimo per supporto logistico e reclutamento. Allo stesso tempo, l'aumento del traffico navale, dovuto al re-instradamento delle navi attorno al Capo di Buona Speranza, ha causato un incremento del 20% degli incidenti marittimi, come collisioni e sversamenti, mettendo a dura prova le capacità di risposta e aumentando il rischio di disastri ecologici su larga scala. Per fronteggiare questa complessa matrice di minacce, la comunità internazionale e gli attori regionali hanno sviluppato un'architettura di sicurezza basata sulla cooperazione. Meccanismi come il RMIFC di Madagascar e il Regional Centre for Operational Co-ordination (RCOC) alle Seychelles, supportati da programmi europei come MASE e Safe Seas Africa (SSA), sono fondamentali per la raccolta e la condivisione di informazioni. A essi si affiancano le forze navali multinazionali, come la Combined Maritime Forces (CMF) e le missioni europee Atalanta e Aspides, che conducono operazioni di pattugliamento, deterrenza e contrasto diretto. Conseguenze Geopolitiche L'instabilità dell'Oceano Indiano Occidentale non è solo una questione di sicurezza, ma il riflesso di una profonda competizione geopolitica globale. La regione è diventata una "nuova scacchiera" dove le grandi potenze si contendono influenza, accesso alle risorse e controllo delle rotte strategiche. La Cina, attraverso la sua strategia della "collana di perle", ha stabilito una presenza strategica in porti chiave come Gibuti e Gwadar (Pakistan), per proteggere le proprie linee di approvvigionamento energetico e proiettare la propria potenza navale. In risposta, l'India ha promosso la sua dottrina "SAGAR" (Security and Growth for All in the Region), posizionandosi come principale garante della sicurezza regionale e stringendo alleanze con le nazioni insulari e dell'Africa orientale. A questa rivalità sino-indiana si sovrappone la competizione tra le monarchie del Golfo, con l'asse Emirati Arabi Uniti-Arabia Saudita che contende l'influenza a Qatar e Iran nel Mar Rosso e nel Corno d'Africa. L'elemento più innovativo di questa competizione è la battaglia per i corridoi geostrategici terrestri, che convergono tutti sull'Oceano Indiano. L'India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sostenuto dagli Stati Uniti, è un progetto multimodale che mira a creare un'alternativa alla Belt and Road Initiative (BRI) cinese, collegando l'India all'Europa attraverso il Golfo e Israele. Il successo di IMEC dipende interamente dalla sicurezza e dall'efficienza dei porti dell'OIO. A esso si contrappone l'International North-South Transport Corridor (INSTC), che collega la Russia all'India attraverso l'Iran, offrendo a Mosca una via d'uscita dalle sanzioni e a Teheran uno strumento per rompere l'isolamento. Infine, le vie transafricane della BRI cinese collegano le risorse minerarie dell'interno del continente ai porti dell'Oceano Indiano, garantendo a Pechino l'accesso alle materie prime e creando una forte dipendenza economica e logistica. In questo contesto, l'instabilità regionale e la criminalità marittima diventano fenomeni che possono essere strumentalizzati o che, in ogni caso, influenzano l'equilibrio di potere tra questi blocchi geopolitici concorrenti. Conseguenze Strategiche Le implicazioni strategiche dell'instabilità nell'OIO sono profonde. Per le potenze globali, la necessità di garantire la libertà di navigazione lungo queste arterie vitali si traduce in un imperativo strategico: mantenere una presenza navale costante e robusta. Non si tratta solo di missioni di polizia marittima, ma di una chiara proiezione di potenza volta a proteggere gli interessi economici e a mantenere l'influenza. La militarizzazione della regione, con la presenza permanente di flotte internazionali, è la conseguenza diretta di questa logica. Per gli stati rivieraschi, le minacce marittime rappresentano una sfida diretta alla loro sovranità e stabilità interna. Il traffico di droga e armi finanzia insurrezioni e terrorismo, mentre la pesca IUU erode la legittimità dello Stato, incapace di proteggere le proprie risorse e i propri cittadini. La debolezza istituzionale e la corruzione, a loro volta, creano un ambiente favorevole alla proliferazione della criminalità, in un ciclo vizioso che ostacola lo sviluppo. Un'ulteriore conseguenza strategica è il potenziale riassetto permanente delle rotte commerciali globali. Il re-instradamento delle navi attorno all'Africa, inizialmente una misura emergenziale, potrebbe consolidarsi in una nuova normalità, portando alla nascita di nuovi hub logistici e al declino di altri, come il Canale di Suez, con enormi ripercussioni economiche e strategiche per l'Egitto e per l'intero Mediterraneo. Questa riorganizzazione sta già spingendo le compagnie di navigazione a stringere nuove alleanze e a riconsiderare l'intera catena logistica globale. Conseguenze Marittime Le conseguenze dirette sul dominio marittimo sono state immediate e pesanti. La crisi nel Mar Rosso ha provocato un'impennata dei premi assicurativi per il trasporto navale e un allungamento dei tempi di transito di circa dieci giorni, con una conseguente riduzione della disponibilità di navi e container e un aumento generalizzato dei costi per i consumatori finali. Questa interruzione delle catene di approvvigionamento ha dimostrato la fragilità di un sistema logistico globale fortemente interconnesso. Dal punto di vista tattico, la diversificazione delle minacce impone alle marine militari di sviluppare capacità di risposta flessibili e tecnologicamente avanzate. Devono essere in grado di fronteggiare contemporaneamente attacchi sofisticati con droni e missili balistici nel Mar Rosso e operazioni di pirateria più tradizionali nel Golfo di Aden. Questa dualità mette a dura prova le risorse e richiede un costante aggiornamento delle dottrine operative e degli equipaggiamenti. Un altro effetto diretto è l'aumento dei rischi per la sicurezza della navigazione (safety) e per l'ambiente. L'incremento degli incidenti marittimi, legato all'uso di navi più vecchie su rotte più lunghe e pericolose, aumenta la probabilità di disastri ecologici. La minaccia di uno sversamento di petrolio su larga scala, come quella paventata in seguito all'attacco alla petroliera MV Sounion, rimane un rischio concreto con conseguenze potenzialmente catastrofiche per gli ecosistemi marini. Infine, la sostenibilità della "Blue Economy" africana è gravemente compromessa. La pesca IUU, come già sottolineato, distrugge gli stock ittici, danneggia habitat critici come le barriere coralline e priva le comunità costiere della loro principale fonte di sostentamento. La criminalità marittima, nel suo complesso, impedisce lo sviluppo di settori economici legati al mare, come il turismo e l'acquacoltura, condannando molte regioni a un sottosviluppo cronico e a una dipendenza dagli aiuti esterni. Conseguenze per l'Italia Per l'Italia, nazione a forte vocazione marittima la cui economia dipende per oltre il 90% dal commercio via mare, le dinamiche dell'Oceano Indiano Occidentale non sono eventi remoti, ma questioni di primario interesse nazionale. La visione strategica del "Mediterraneo Allargato" concettualizza questa interdipendenza: la sicurezza delle linee di comunicazione che attraversano il Canale di Suez e lo stretto di Bab el-Mandeb è vitale per l'esportazione dei prodotti del Made in Italy e per l'importazione di materie prime ed energia. Qualsiasi interruzione di questi flussi ha un impatto diretto sull'economia italiana. A ciò si aggiunge l'interesse crescente per le risorse energetiche dell'Africa orientale, come il gas naturale del Mozambico, che rappresentano una potenziale via di diversificazione degli approvvigionamenti. In questo quadro, la presenza della Marina Militare Italiana assume un duplice ruolo. Da un lato, svolge una funzione operativa imprescindibile come fornitore di sicurezza, partecipando in prima linea e spesso con ruoli di comando a missioni europee cruciali come Atalanta e Aspides. Questa presenza garantisce la protezione degli interessi nazionali e contribuisce alla stabilità globale. Dall'altro lato, la Marina agisce come un potente strumento di diplomazia e soft power. Sfruttando un consolidato legame storico con nazioni come Somalia, Etiopia ed Eritrea, l'Italia si propone come un partner collaborativo e non predatorio. Questa visione è oggi incarnata dal "Piano Mattei per l'Africa", che mira a un modello di cooperazione paritaria. La sicurezza marittima diventa così il presupposto indispensabile per il successo di queste iniziative. Il dispiegamento di assetti moderni, come i Pattugliatori Polivalenti d'Altura, e di simboli di prestigio, come la nave scuola Amerigo Vespucci, rafforza il dialogo, la fiducia e la cooperazione con le marine regionali, promuovendo il principio di "soluzioni africane per problemi africani". Conclusioni L'impegno italiano nell'Oceano Indiano Occidentale è, in definitiva, una necessità strategica radicata in una visione geopolitica lungimirante. La regione è un'arteria vitale per l'economia globale, ma anche un'area esposta a minacce complesse e interconnesse che richiedono risposte altrettanto articolate. L'Italia, forte della sua esperienza e della sua credibilità, si pone come un partner proattivo, pronto a offrire un modello di cooperazione olistico che vada oltre la mera dimensione militare. Le sfide future impongono un rafforzamento di questo approccio integrato. È fondamentale continuare a sostenere e potenziare l'architettura di sicurezza regionale, migliorando la condivisione delle informazioni e il coordinamento operativo tra attori locali e internazionali. Parallelamente, è necessario insistere su un modello di partenariato che combini la sicurezza con lo sviluppo. Iniziative come il supporto alla "Blue Economy" africana, attraverso il trasferimento di tecnologia e know-how industriale italiano, possono creare un circolo virtuoso dove la stabilità genera prosperità, e la prosperità finanzia una maggiore e più autonoma capacità di sicurezza. Infine, un'attenzione particolare va dedicata al rafforzamento dello stato di diritto in mare. Senza un solido quadro giuridico e capacità giudiziarie adeguate nei paesi della regione – il cosiddetto "legal finish" – gli sforzi operativi rischiano di essere vanificati. L'Italia può condividere la sua notevole expertise in questo campo, contribuendo a formare magistrati e forze di polizia e a sviluppare leggi efficaci. L'obiettivo ultimo deve essere quello di trasformare l'Oceano Indiano Occidentale da un'area di crisi a uno spazio di sicurezza, stabilità e prosperità condivisa. Questo richiederà un impegno costante e coordinato, fondato sul rispetto reciproco e su una cooperazione paritaria, in cui l'Italia, con la sua Marina Militare, è destinata a giocare un ruolo da protagonista. Riferimenti I contenuti e le analisi presenti in questo saggio sono una sintesi e rielaborazione tratta dai seguenti testi:
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