OHi Mag Report Geopolitico nr. 140 INTRODUZIONE L'articolo "The US Navy's five roads to ruin" di Michael Vlahos, pubblicato su Responsible Statecraft, offre un'analisi critica e allarmante dello stato attuale della Marina degli Stati Uniti. Lungi dall'essere un semplice problema di numero di navi, come spesso sostenuto dalla leadership militare e politica, Vlahos argomenta che la crisi della US Navy affonda le radici in un profondo deterioramento del suo "Ethos", ovvero l'essenza stessa della sua identità, cultura e senso di appartenenza. L'autore non si limita a una diagnosi interna, ma utilizza un approccio comparativo storico, mettendo in luce cinque problematiche esistenziali attraverso il parallelo con altrettante marine militari che, nel corso della storia, hanno affrontato crisi culturali decisive. Questa prospettiva storica serve a illuminare le dinamiche autodistruttive che, secondo Vlahos, stanno minando la potenza navale americana, un tempo considerata lo "Scudo della Repubblica" e una forza "seconda a nessuno". I Fatti L'analisi di Vlahos si articola attorno a cinque "strade verso la rovina", ciascuna illustrata da un parallelo storico, che descrivono le attuali difficoltà della US Navy. La prima è "La guerra sbagliata" (The wrong war). Così come la Marina Imperiale Giapponese e la stessa US Navy prima di Pearl Harbor si fissarono sull'idea di una battaglia decisiva tra corazzate, ignorando il potenziale delle portaerei, oggi la US Navy si ostinerebbe a prepararsi per un confronto titanico con la Cina, focalizzato sulle sue "capital ship" (le portaerei), nonostante una flotta numericamente inadeguata, obsoleta e in cattive condizioni. Questa ossessione per la "battaglia decisiva" ricorda l'errore strategico che portò alla distruzione di gran parte della flotta americana prebellica. Il secondo punto è "Il materiale sbagliato" (The wrong stuff). Durante la Seconda Guerra Mondiale, la US Navy fu salvata dalla sua immensa capacità industriale, capace di produrre migliaia di navi ex novo. Al contrario, la Marina Imperiale Giapponese, pur potente, non aveva una base industriale di riserva e fu logorata. Vlahos paragona la US Navy odierna a quest'ultima: incapace di costruire, riparare e mantenere adeguatamente la sua flotta, soprattutto a fronte di una Cina che possiede una capacità cantieristica enormemente superiore. Senza "Capitani d'Industria" pronti a salvarla, l'America rischia di non essere più una "nazione marittima". La terza strada è "La regola sbagliata" (The wrong rule), esemplificata dalla Royal Navy britannica tra il 1815 e il 1914. Raggiunto l'apice del potere, la Royal Navy cadde in una sorta di sclerosi, un'atrofia del pensiero strategico dovuta all'eccessiva autocelebrazione delle proprie ortodossie. Un Ethos che punisce il pensiero innovativo e critica, pur proclamando di valorizzarli, è destinato al declino. La US Navy, secondo Vlahos, mostrerebbe sintomi simili, con una cultura che favorisce il conformismo e ostacola l'originalità, rendendola vulnerabile a una resa dei conti strategica ben più grave di quella subita dalla sua "cugina" britannica nella Prima Guerra Mondiale. Segue "La squadra sbagliata" (The wrong team). Qui il parallelo è con le "dinastie di schiavi" (Mamelucchi, Giannizzeri) negli imperi musulmani medievali e della prima età moderna, corpi militari che finirono per dominare i loro stessi padroni. Oggi, sostiene Vlahos, il business della US Navy è diventato il business dei suoi principali appaltatori della difesa (i "Cinque Grandi" come Lockheed Martin, Northrop Grumman, General Dynamics, RTX, Boeing). Questi colossi industriali, pur fornendo servizi importanti, avrebbero di fatto preso il controllo, definendo la rotta della Marina e influenzando le carriere degli ufficiali, per i quali un lucroso impiego post-pensionamento in queste aziende è diventato un obiettivo primario, più ambito del comando operativo. Infine, "Il destino sbagliato" (The wrong fate). La Marine Royale francese del 1781, pur essendo al suo apice e contribuendo in modo decisivo alla vittoria nella Guerra d'Indipendenza Americana, vide la sua nazione precipitare nella bancarotta e nella rivoluzione, con conseguenze disastrose per la flotta stessa. Sebbene la US Navy odierna non rappresenti un "apice" comparabile, Vlahos avverte che una crisi dell'ordine costituzionale americano, unita al fardello del debito nazionale, colpirebbe duramente la Marina, portando a una sua ulteriore e significativa diminuzione, riflesso di una nazione in declino. Conseguenze Geopolitiche Le problematiche evidenziate da Vlahos, se non affrontate, avrebbero profonde e ramificate conseguenze geopolitiche. Una US Navy in declino strutturale, incapace di proiettare potenza in modo credibile, minerebbe la posizione degli Stati Uniti come garante della sicurezza globale e dell'ordine liberale internazionale. La capacità americana di intervenire in crisi regionali, di rassicurare gli alleati e di dissuadere potenziali avversari verrebbe significativamente ridotta. Nel contesto del Pacifico, un'eventuale incapacità di confrontarsi efficacemente con la crescente potenza navale cinese potrebbe accelerare un ribilanciamento del potere regionale, con Pechino che guadagnerebbe maggiore libertà d'azione nel Mar Cinese Meridionale, verso Taiwan e oltre. Alleanze storiche come la NATO e i patti di sicurezza nell'Indo-Pacifico (con Giappone, Corea del Sud, Australia) verrebbero messe sotto pressione, poiché gli alleati potrebbero dubitare dell'affidabilità dell'ombrello di sicurezza statunitense. Questo potrebbe spingere alcuni Paesi a cercare accordi alternativi o a sviluppare capacità di difesa autonome più robuste, potenzialmente frammentando l'attuale sistema di alleanze. L'erosione della supremazia navale USA potrebbe anche incoraggiare attori regionali a perseguire agende più assertive, aumentando il rischio di instabilità e conflitti in aree marittime cruciali, dai choke point strategici alle zone contese. Conseguenze Strategiche Dal punto di vista strategico, il declino dell'Ethos e delle capacità della US Navy comporterebbe la necessità di una radicale revisione della dottrina militare statunitense. L'ossessione per la "battaglia decisiva" con grandi unità di superficie, già criticata da Vlahos, diventerebbe palesemente insostenibile. Gli Stati Uniti potrebbero essere costretti a passare da una strategia di primato e proiezione di potenza globale a una più selettiva, focalizzata sulla difesa degli interessi vitali o su strategie di "negazione" (anti-access/area denial – A2/AD) piuttosto che di controllo dei mari. Questo implicherebbe una ricalibrazione degli obiettivi strategici, accettando limiti alla propria influenza e capacità d'intervento. La "strategia delirante" menzionata da Vlahos, ovvero perseguire grandi ambizioni con mezzi inadeguati, porterebbe inevitabilmente a fallimenti e a una perdita di credibilità. Potrebbe emergere un dibattito interno più acceso sulla distribuzione delle risorse tra i diversi rami delle forze armate, con una potenziale maggiore enfasi su domini come quello cibernetico, spaziale o aereo, qualora le opzioni navali fossero percepite come troppo rischiose o inefficaci. Inoltre, la sclerosi innovativa denunciata renderebbe difficile per la US Navy adattarsi a nuove minacce e tecnologie, come i missili ipersonici, i droni sottomarini o le tattiche di guerra asimmetrica, lasciandola strategicamente vulnerabile. Conseguenze Marittime Le dirette conseguenze marittime di un tale declino sarebbero pervasive. La capacità della US Navy di garantire la libertà di navigazione (FONOPs), un pilastro della sua politica estera e della stabilità del commercio globale, verrebbe compromessa. Le Sea Lines of Communication (SLOCs), vitali per l'economia mondiale, potrebbero diventare meno sicure, con un aumento potenziale della pirateria, del terrorismo marittimo o di interferenze da parte di stati ostili. Il ruolo tradizionale della US Navy nel fornire sicurezza marittima globale, inclusa la protezione delle rotte commerciali e la risposta a disastri umanitari, si ridurrebbe. Questo vuoto di potere potrebbe essere colmato da altre marine, principalmente quella cinese, ma potenzialmente anche da marine regionali emergenti, portando a un ambiente marittimo più multipolare e potenzialmente più instabile. La stessa definizione di "nazione marittima" per gli Stati Uniti, come sottolinea Vlahos, sarebbe in pericolo se il paese perdesse la capacità di costruire, mantenere e riparare una flotta adeguata, non solo militare ma anche mercantile. La ridotta presenza e capacità operativa potrebbero significare una minore deterrenza contro aggressioni in ambito marittimo e una ridotta capacità di far rispettare il diritto internazionale. Conseguenze per l'Italia di Quanto Raccontato nei Fatti Per l'Italia, nazione profondamente inserita nel contesto euro-atlantico e mediterraneo, le implicazioni di un indebolimento della US Navy sarebbero significative e complesse. In primo luogo, la sicurezza del Mediterraneo, un'area di primario interesse strategico per l'Italia, dipende in parte dalla presenza e dalla capacità di deterrenza della Sesta Flotta statunitense. Una sua riduzione o minore efficacia potrebbe lasciare spazi a potenze regionali più assertive o a dinamiche destabilizzanti (come in Libia o nel Mediterraneo Orientale), aumentando la pressione sulla Marina Militare Italiana e sulle altre marine europee per colmare il divario. All'interno della NATO, un contributo navale statunitense meno robusto all'Alleanza Atlantica potrebbe richiedere un maggiore impegno da parte degli alleati europei, Italia inclusa, sia in termini di risorse che di assunzione di responsabilità operative, specialmente nel fianco sud dell'Alleanza. Economicamente, l'Italia, come nazione esportatrice e dipendente dal commercio marittimo, soffrirebbe le conseguenze di un'eventuale maggiore insicurezza delle rotte commerciali globali. La stabilità delle SLOCs è cruciale per l'economia italiana. Potrebbe anche emergere la necessità di una maggiore cooperazione navale europea e di un rafforzamento delle capacità autonome di difesa marittima dell'UE, un dibattito in cui l'Italia avrebbe un ruolo chiave da giocare. Infine, un ridimensionamento del ruolo globale USA potrebbe alterare gli equilibri politici e strategici anche nel "Mediterraneo allargato", influenzando le dinamiche con Nord Africa e Medio Oriente, aree cruciali per la sicurezza energetica e la gestione dei flussi migratori italiani. CONCLUSIONI In conclusione, il saggio di Michael Vlahos dipinge un quadro fosco ma necessario della US Navy, evidenziando come le sue sfide attuali trascendano la mera contabilità delle unità navali per toccare il cuore stesso della sua cultura e del suo Ethos. Le cinque "strade verso la rovina", illustrate attraverso paralleli storici, suggeriscono che la Marina statunitense si trovi ad affrontare una crisi multidimensionale che, se non gestita con urgenza e profondità, potrebbe comprometterne irrimediabilmente l'efficacia e, di conseguenza, la posizione globale degli Stati Uniti. Le implicazioni geopolitiche, strategiche, marittime e, per estensione, quelle che riguardano alleati chiave come l'Italia, sono vaste e preoccupanti. Vlahos, tuttavia, non si limita alla diagnosi ma propone alcune linee guida, seppur generali, per tentare di arginare questo declino: 1) Evitare conflitti su larga scala per almeno una generazione, per dare tempo alla riflessione e alla ricostruzione. 2) Sfruttare le leve statali per ricreare una vera marina mercantile e una solida base industriale cantieristica. 3) Abbandonare le vecchie dottrine ("la Vecchia Religione") e osservare il mondo per come è realmente, liberandosi da preconcetti. 4) Consultare immediatamente un "medico" esterno capace di diagnosticare la sclerosi interna e comunicare verità scomode. Queste raccomandazioni sottolineano l'urgenza di un cambiamento culturale e strutturale profondo, un percorso difficile ma indispensabile se la US Navy intende evitare le insidie che hanno segnato il destino di altre grandi potenze navali del passato. RIFERIMENTO Vlahos, Michael, "The US Navy's five roads to ruin", Responsiblestatecraft.org, 03 giugno 2025, https://responsiblestatecraft.org/europe-iran-2672231258/. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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