OHi Mag Report Geopolitico nr. 109 Introduzione Il disastro della corazzata USS Iowa, avvenuto il 19 aprile 1989, rappresenta una ferita profonda nella storia della US NAVY e un monito potente sulle dinamiche istituzionali in tempi di crisi. L'esplosione nella torretta numero 2, che costò la vita a quarantasette marinai durante un'esercitazione al largo di Porto Rico, non fu solo una tragedia umana di vaste proporzioni, ma innescò anche una catena di eventi che misero a nudo le pericolose derive della comunicazione istituzionale e la tendenza delle grandi burocrazie a proteggere se stesse a scapito della verità. Questo evento ebbe una risonanza anche in Italia, in particolare tra il personale specializzato, come gli artiglieri e i missilisti imbarcati, che ben comprendevano la complessità e i rischi intrinseci del loro operato. L'analisi che segue, ispirata dal lavoro di James Holmes pubblicato su The National Interest, intende ripercorrere quella drammatica vicenda, esaminare le fallaci conclusioni della prima inchiesta della Marina e le successive rivelazioni che ne smascherarono l'inconsistenza, traendo infine lezioni cruciali sull'importanza della trasparenza, dell'onestà e della comunicazione responsabile, soprattutto in contesti ad alto rischio come quello militare navale. I Fatti La vicenda della USS Iowa affonda le sue radici non solo nel tragico incidente del 1989, ma anche nella natura stessa della burocrazia. Come sottolinea James Holmes nel suo articolo, le istituzioni sono spesso paragonate a macchine efficienti nel replicare procedure standardizzate. Tuttavia, questa metafora è incompleta. Le istituzioni sono anche organismi viventi, composti da persone animate da istinti, passioni e, soprattutto, da un forte impulso all'autoconservazione. Quando qualcosa va storto, la reazione istintiva, specialmente ai vertici e negli uffici di pubbliche relazioni, è quella di deviare colpe e imbarazzi lontano dall'istituzione stessa. Questo meccanismo si manifesta spesso nella ricerca di un "capro espiatorio", una figura su cui concentrare le responsabilità per evitare un'analisi critica dei problemi sistemici. Nella Marina USA, questo fenomeno è talvolta identificato con la figura del "comandante capro-espiatorio", rimosso rapidamente dopo un incidente per chiudere il caso e proteggere l'immagine del servizio. Questo istinto difensivo entrò prepotentemente in gioco dopo l'esplosione sulla Iowa. La nave, una unità della Seconda Guerra Mondiale riammodernata, era dotata di potenti cannoni da 16 pollici (406 mm). Quel giorno, durante un'esercitazione che prevedeva l'uso sperimentale e altamente sospetto di una combinazione non autorizzata di polvere da sparo e proiettili, la bocca da fuoco centrale della torretta numero 2 detonò catastroficamente. L'inchiesta iniziale della Marina, pur riconoscendo che l'equipaggio stava conducendo esperimenti potenzialmente pericolosi – specificamente, l'uso di cinque sacchi di polvere (invece dei sei standard) con proiettili perforanti pesanti da 2700 libbre, una combinazione nota per poter generare sovrapressioni e temperature eccessive – si rifiutò di ammettere difetti nelle procedure, negli armamenti o nelle munizioni. Invece di affrontare la possibilità di un errore sistemico o di un incidente dovuto a procedure rischiose avallate o tollerate dalla catena di comando, gli investigatori della Marina percorsero una strada diversa. Dopo aver dichiarato di non essere riusciti a replicare l'esplosione in condizioni controllate simili a quelle della torretta, esclusero il guasto meccanico come causa e giudicarono sicuri i cannoni e le munizioni delle corazzate. La svolta arrivò con l'affermazione di aver trovato "materiali estranei" tra i detriti della torretta. Da questo singolo elemento, costruirono una narrazione accusatoria: il "C° torre" (il Sottufficiale responsabile della torre centrale), Clayton Hartwig, avrebbe deliberatamente inserito un ordigno esplosivo artigianale tra i sacchi di polvere durante il caricamento. I presunti materiali estranei sarebbero stati i residui chimici di questo ordigno. Per sostenere questa tesi, gli investigatori dipinsero un quadro basato su insinuazioni sul carattere e sulle motivazioni di Hartwig. Sostennero che fosse omosessuale e che avesse agito per vendetta dopo essere stato respinto da un altro marinaio, trasformando così la tragedia in un omicidio-suicidio su scala titanica. L'unica "prova concreta" addotta fu che Hartwig aveva nominato il presunto ex amante come beneficiario della sua polizza vita. Una base fattuale estremamente esigua per una conclusione così grave e definitiva, che apparve fin da subito come un tentativo di retro-adattare le prove a una conclusione predeterminata: quella che salvaguardava la reputazione della Marina e del programma delle corazzate. Il marinaio defunto divenne così il capro espiatorio perfetto, incapace di difendersi. Fortunatamente, lo scetticismo del Congresso portò all'avvio di una seconda indagine indipendente, affidata al Government Accountability Office (GAO) in collaborazione con i Sandia National Laboratories, un'istituzione di eccellenza nel campo della ricerca nucleare e dei materiali. Guidata dal fisico Richard L. Schwoebel, questa nuova inchiesta adottò un approccio rigorosamente scientifico e obiettivo, in netto contrasto con quello della US Navy. Gli scienziati di Sandia riuscirono a smontare pezzo per pezzo la teoria dell'ordigno artigianale. Dimostrarono che i cosiddetti "materiali estranei" erano in realtà sostanze chimiche comunemente presenti negli spazi di artiglieria delle navi da guerra, ritrovate anche in altri cannoni della Iowa e sulle sue navi gemelle. La teoria dell'omicidio-suicidio crollò. Ma l'indagine di Sandia andò oltre. Riuscì a identificare una causa plausibile per un'esplosione accidentale. Esperimenti dimostrarono che il "calcatoio" – il dispositivo idraulico che spinge proiettili e sacchi di polvere nella culatta del cannone – se operato alla massima velocità, poteva innescare la polvere, specialmente se i sacchi contenevano certi tipi di granuli di polvere orientati in una specifica maniera. Sacchi con queste caratteristiche erano presenti nei depositi della Iowa al momento del disastro. Simulazioni e test sul campo, utilizzando sacchi di polvere prelevati dall'inventario della nave, portarono Sandia a stimare la probabilità di un'esplosione accidentale durante un singolo sparo tra 1 su 70 e 1 su 16. Sebbene la probabilità per un singolo colpo non fosse altissima, diventava significativa considerando le centinaia, a volte migliaia, di colpi sparati dalle corazzate durante il loro servizio. Il rischio cumulativo era tutt'altro che trascurabile. Le conclusioni di Sandia ebbero conseguenze immediate: la Marina aveva già sospeso i tiri con i cannoni da 16 pollici dopo l'incidente, ma a seguito della seconda indagine, fu ordinata un'ispezione completa di tutte le munizioni e lo scarto dei lotti di polvere considerati a rischio. Sebbene nessuno possa affermare con certezza assoluta cosa accadde quel giorno, il principio del Rasoio di Occam (la spiegazione più semplice è solitamente la migliore) pendeva decisamente a favore della tesi dell'incidente accidentale sostenuta da Sandia e GAO. L'intera vicenda si trasformò in un disastro di pubbliche relazioni per la US Navy. L'analisi di Holmes applica un modello di comunicazione strategica (messaggero, messaggio, mezzo, contesto) per spiegare il fallimento. La Marina, come messaggero, perse credibilità diffondendo un messaggio (la teoria dell'omicidio-suicidio) palesemente implausibile e basato su prove inconsistenti. L'opinione pubblica, il Congresso e persino molti all'interno della stessa Marina finirono per considerare i vertici navali come inaffidabili. Nessun avversario esterno avrebbe potuto danneggiare la reputazione della Marina quanto fece essa stessa con il suo tentativo di insabbiamento. Holmes prosegue ipotizzando come un evento simile si svolgerebbe nell'ambiente mediatico e politico odierno. La velocità delle notizie sarebbe esponenzialmente maggiore, con informazioni e immagini diffuse quasi istantaneamente dai dispositivi personali dei marinai, rendendo quasi impossibile per la leadership controllare la narrativa. Il commento sarebbe estremamente democratizzato, con una cacofonia di voci esperte e non, rendendo arduo per l'istituzione far prevalere la propria versione. La pressione politica, amplificata dai social media e dalle famiglie delle vittime, sarebbe immediata e intensa. Inoltre, attori ostili (come Cina o Russia) potrebbero sfruttare l'incidente per campagne di disinformazione mirate a screditare la competenza della US Navy e a minare le sue alleanze strategiche. Potrebbero persino tentare di influenzare direttamente il morale del personale militare statunitense attraverso i social media. Conclusioni e Raccomandazioni Il disastro della USS Iowa e la gestione successiva da parte della Marina Militare statunitense costituiscono un caso emblematico di come l'istinto di autoprotezione burocratica possa portare a conseguenze devastanti, non solo per le vite umane ma anche per la credibilità e l'integrità di un'intera istituzione. L'analisi di James Holmes mette in luce un errore fondamentale: la tendenza a confondere ciò che si desidera sia vero con ciò che è vero, un "falso sillogismo" che porta a costruire narrazioni di comodo piuttosto che affrontare realtà scomode. La ricerca di un capro espiatorio, nella figura del marinaio Clayton Hartwig, fu un atto non solo ingiusto ma strategicamente controproducente, che finì per infliggere alla US Navy un danno d'immagine ben peggiore di quello che si cercava di evitare ammettendo possibili falle procedurali o materiali. La lezione fondamentale che emerge da questa tragica vicenda è l'imperativo della trasparenza e della sincerità ("candor"), specialmente per le organizzazioni militari che dipendono dalla fiducia pubblica e operano in ambienti ad alto rischio. Come sottolinea Holmes, le persone sono in grado di riconoscere i tentativi di dissimulazione e, sebbene possano perdonare l'errore umano, difficilmente tollerano l'inganno e l'insabbiamento. La sincerità, anche quando dolorosa, agisce come un "tonico", permettendo di affrontare i problemi apertamente, imparare dagli errori e, infine, ricostruire la fiducia. Il tentativo di nascondere la verità o di incolpare ingiustamente i defunti – che non possono più difendersi – è una macchia morale ed etica che lascia cicatrici profonde e durature. Per le forze armate, e in particolare per la Marina, la cui operatività comporta rischi intrinseci e richiede un elevatissimo grado di professionalità e fiducia reciproca, questa lezione è ancora più pregnante. Garantire la sicurezza del personale e l'efficacia operativa richiede non solo procedure rigorose e addestramento costante, ma anche una cultura organizzativa che incoraggi la segnalazione dei problemi, l'ammissione degli errori e indagini oneste e imparziali quando si verificano incidenti. La sicurezza e la vita dei marinai non possono essere subordinate alla salvaguardia dell'immagine istituzionale. L'apologia formale presentata nel 1991 dall'allora Capo delle Operazioni Navali, Ammiraglio Frank Kelso, fu un passo tardivo ma necessario per iniziare a sanare la ferita e riconoscere gli errori commessi nell'indagine iniziale. Tuttavia, il ricordo dell'incidente della Iowa rimane come un potente monito per tutte le grandi organizzazioni: l'integrità e la verità non devono mai essere sacrificate sull'altare della convenienza istituzionale. La trasparenza e l'onestà non sono solo principi etici, ma elementi fondamentali per l'efficacia, la resilienza e la legittimità di qualsiasi istituzione, specialmente quelle cui è affidata la difesa e la sicurezza di una nazione. Riferimento: Holmes, James. Lessons in Communication from the USS Iowa Battleship Disaster. The National Interest. 23 Aprile 2025. https://nationalinterest.org/feature/lessons-in-communication-from-the-uss-iowa-battleship-disaster © RIPRODUZIONE RISERVATA
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