OHi Mag Report Geopolitico nr. 146 Introduzione In un'analisi incisiva del 5 giugno 2025, intitolata "Notes from History for Surviving the Trade War", la storica Francine McKenzie sostiene che la guerra commerciale contemporanea non è un semplice déjà-vu delle dispute passate, ma un fenomeno qualitativamente diverso e più pericoloso. Sebbene i conflitti tariffari abbiano sempre costellato la storia delle relazioni internazionali, l'attuale approccio statunitense sotto l'amministrazione Trump, secondo l'autrice, segna una rottura epocale. Esso ha abbandonato i principi di equilibrio, moderazione e cooperazione che, per ottant'anni, hanno costituito le fondamenta, seppur imperfette, dell'ordine commerciale globale. Questo saggio si propone di esplorare in profondità le tesi di McKenzie, partendo dalla cronaca dei suoi argomenti per poi analizzarne le vaste conseguenze geopolitiche, strategiche e marittime. Infine, si esamineranno le specifiche e preoccupanti ripercussioni di questo nuovo paradigma per una nazione manifatturiera e proiettata sul mare come l'Italia, concludendo con una riflessione sulle possibili vie da percorrere. La Tesi di McKenzie: Una Rottura con la Storia L'argomentazione di Francine McKenzie si snoda attraverso una precisa decostruzione storica per evidenziare l'anomalia del presente. L'autrice ci ricorda che il commercio è, per sua natura, intrinsecamente politico: genera vincitori e vinti sul piano interno e influenza il potere delle nazioni sulla scena globale. Per questo, la gestione delle politiche commerciali è sempre stata una questione di delicato equilibrio. McKenzie sfata il mito del "libero scambio" assoluto, sottolineando come le tariffe e le barriere non tariffarie siano sempre state strumenti utilizzati da ogni nazione, inclusi gli Stati Uniti, per proteggere industrie nascenti o strategiche. Il sistema postbellico, incarnato dall'Accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio (GATT), non nacque per eliminare i conflitti, ma per incanalarli. Le negoziazioni commerciali sono sempre state "combattive ed egoistiche", un "mercanteggiamento a somma zero" condotto dietro le quinte. Tuttavia, il punto cruciale, secondo McKenzie, era che questa competizione avveniva all'interno di un quadro di regole condivise e con l'obiettivo implicito di evitare che le dispute economiche degenerassero in conflitti militari, come si credeva fosse accaduto negli anni '30. Anche il ruolo degli Stati Uniti come "campioni" del libero scambio viene ridimensionato: l'autrice ricorda i momenti di forte protezionismo americano, dalla "Guerra del Pollo" con la Comunità Economica Europea negli anni '60 alle dispute sul legname con il Canada. La differenza fondamentale, e allarmante, di oggi risiede nel fatto che la politica di Trump non è un semplice atto di protezionismo all'interno del sistema, ma un rigetto del sistema stesso. I principi di equilibrio tra benessere interno ed esterno, la moderazione e la cooperazione sono stati sostituiti da una "logica nazionalista a somma zero" e da una politica "brutale, prepotente e distruttiva". Gli Stati Uniti, conclude McKenzie, hanno perso la credibilità e l'affidabilità che li rendevano un pilastro vitale dell'ordine commerciale internazionale. Le Conseguenze Geopolitiche La perdita di credibilità degli Stati Uniti come pilastro dell'ordine commerciale, evidenziata da McKenzie, innesca conseguenze geopolitiche a cascata. La prevedibilità, anche in un sistema competitivo, era il lubrificante che permetteva alle alleanze di funzionare e al commercio di fluire. L'abbandono delle regole condivise crea un vuoto di leadership che le potenze revisioniste, come la Cina e la Russia, si affrettano a colmare. Esse possono presentarsi come partner più stabili e prevedibili, offrendo accordi bilaterali o regionali che bypassano le istituzioni multilaterali in crisi, come l'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Questo accelera la frammentazione del mondo in blocchi economici e politici contrapposti. Gli alleati storici degli Stati Uniti, come l'Unione Europea, il Canada o il Giappone, colpiti da tariffe punitive, sono costretti a perseguire una maggiore "autonomia strategica". Questo non significa una rottura immediata, ma un graduale sganciamento e la ricerca di nuove partnership per diversificare i rischi, erodendo la coesione del blocco occidentale. La logica nazionalista a somma zero si rivela contagiosa. Quando la nazione più potente del mondo adotta una politica "brutale e prepotente", legittima altri attori a fare lo stesso, innescando spirali di ritorsioni (tit-for-tat) che avvelenano le relazioni internazionali e rendono impossibile affrontare sfide globali come il cambiamento climatico o le pandemie. Il mondo descritto da McKenzie è un mondo meno sicuro, più instabile e dominato da transazioni di potere grezzo piuttosto che da norme condivise, un ambiente in cui, come ammoniva Harry Hawkins, "le nazioni che sono nemiche economiche difficilmente rimarranno amiche politiche a lungo". Le Conseguenze Strategiche Sul piano strategico, l'analisi di McKenzie implica che la linea di demarcazione tra competizione economica e conflitto militare si sta assottigliando pericolosamente. Se il commercio non è più visto come il doux commerce che pacifica le nazioni, ma come un'arena di scontro a somma zero, allora gli strumenti della politica commerciale diventano armi a tutti gli effetti. La "guerra commerciale" cessa di essere una metafora per diventare una componente integrante della strategia di sicurezza nazionale. La conseguenza più diretta è la "weaponization" delle catene di approvvigionamento. La dipendenza da un'altra nazione per beni critici (semiconduttori, terre rare, prodotti farmaceutici) non è più una questione di efficienza economica, ma una vulnerabilità strategica che un avversario può sfruttare in qualsiasi momento. Questo costringe le nazioni a un doloroso e costoso processo di reshoring (rimpatrio della produzione) o friend-shoring (delocalizzazione solo in paesi alleati), ridisegnando la mappa industriale globale su linee geostrategiche anziché economiche. La deterrenza stessa cambia natura: accanto alla forza militare, una nazione deve ora considerare la propria resilienza economica e il controllo su nodi tecnologici e produttivi chiave. L'abbandono della "moderazione" descritto da McKenzie è particolarmente allarmante in questo contesto. Senza regole e meccanismi di de-escalation, una disputa tariffaria può rapidamente trasformarsi in un blocco tecnologico, in sanzioni finanziarie o in altre forme di coercizione economica, aumentando esponenzialmente il rischio di un errore di calcolo che potrebbe sfociare in un confronto militare diretto. Le Conseguenze Marittime Sebbene l'articolo di McKenzie non tratti esplicitamente il dominio marittimo, la sua logica si estende inevitabilmente ad esso. Poiché oltre l'80% del commercio globale viaggia via mare, una guerra commerciale è, per definizione, una guerra che si combatte sulle rotte marittime. La rottura delle regole commerciali si traduce inevitabilmente in una maggiore contesa e insicurezza sulle arterie vitali dell'economia mondiale. L'approccio "brutale e prepotente" può manifestarsi con ispezioni più aggressive, ritardi burocratici nei porti, o persino con l'interdizione mascherata del traffico commerciale diretto a una nazione rivale. I costi assicurativi per la navigazione (war risk premiums) aumenterebbero drasticamente, rendendo il commercio più oneroso e incerto. I choke points marittimi – punti di passaggio obbligati come gli Stretti di Hormuz e Malacca o il Canale di Suez – diventerebbero ancora più critici e militarizzati. Le marine militari sarebbero sempre più chiamate a svolgere missioni di scorta e protezione del naviglio mercantile, non solo contro minacce asimmetriche come la pirateria, ma contro le azioni ostili di attori statali. La crisi della fiducia e delle regole a terra eroderebbe anche l'ordine giuridico del mare, incarnato dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS). Principi cardine come la libertà di navigazione, già messi in discussione in aree come il Mar Cinese Meridionale, verrebbero ulteriormente indeboliti, trasformando gli oceani da bene comune a spazio di competizione selvaggia. Le Conseguenze per l'Italia Per una nazione come l'Italia, le cui fondamenta economiche poggiano sull'industria manifatturiera e sul commercio internazionale, le conseguenze dello scenario descritto da McKenzie sono dirette e gravi. L'Italia è una "potenza commerciale trasformatrice": importa materie prime ed energia e le esporta come prodotti finiti ad alto valore aggiunto. Un mondo di dazi e guerre commerciali colpisce questo modello al cuore, rendendo più costosi gli input e più difficile l'accesso ai mercati di sbocco. Settori chiave come l'automotive, la meccanica, la moda e l'agroalimentare sono estremamente vulnerabili a tariffe punitive e a ritorsioni incrociate tra Stati Uniti, Cina ed Europa. Geopoliticamente, l'Italia si trova in una posizione scomoda. Membro fondatore dell'UE e pilastro della NATO, è stretta tra la lealtà all'alleato americano e la necessità vitale di mantenere relazioni economiche con la Cina e altri mercati globali. La perdita di leadership e affidabilità da parte di Washington costringe l'Italia e l'UE a maturare più rapidamente una propria visione strategica e capacità di azione autonoma, un processo complesso e non privo di divisioni interne. La sua posizione geografica, al centro di un Mediterraneo sempre più instabile, la espone direttamente alle ricadute dei conflitti regionali, che in un mondo senza regole possono sfuggire più facilmente di mano. Dal punto di vista marittimo, i porti italiani, da Genova a Trieste a Gioia Tauro, che ambiscono a essere hub logistici per l'Europa, vedrebbero il loro ruolo minacciato dalla frammentazione delle rotte e dall'aumento dell'insicurezza. Conclusioni In definitiva, l'analisi di Francine McKenzie ci consegna un monito severo: non stiamo assistendo a una normale fase di turbolenza commerciale, ma a un cambiamento di paradigma che smantella l'architettura di stabilità, seppur precaria, costruita negli ultimi ottant'anni. L'abbandono deliberato dei principi di equilibrio, moderazione e cooperazione da parte degli Stati Uniti ha scatenato una reazione a catena che sta frammentando l'ordine geopolitico, trasformando l'economia in un'arma strategica e rendendo gli oceani, linfa vitale del mondo, più insicuri. Per una nazione come l'Italia, la cui prosperità è indissolubilmente legata a un ordine internazionale aperto e basato su regole, questa è una minaccia esistenziale. Di fronte a questo scenario, l'inazione non è un'opzione. La raccomandazione principale che emerge è la necessità di perseguire la resilienza strategica a tutti i livelli. A livello europeo, ciò significa accelerare la costruzione di una vera autonomia strategica, non in contrapposizione all'alleanza atlantica, ma come suo complemento indispensabile per agire in un mondo più complesso. A livello nazionale, per l'Italia, significa diversificare ossessivamente i mercati e le fonti di approvvigionamento, investire in tecnologie critiche per ridurre le dipendenze, e rafforzare la propria capacità di proiezione e sicurezza marittima per proteggere i propri interessi nazionali nel Mediterraneo Allargato. Reinventare la cooperazione con partner che condividono l'interesse per un sistema basato su regole, dentro e fuori l'Europa, diventa un imperativo. La storia, come ci insegna McKenzie, non si ripete mai esattamente, ma offre lezioni preziose: ignorare i segnali di rottura di un ordine e non prepararsi alle sue conseguenze è la via più sicura verso il disastro. Riferimento: Francine McKenzie, Notes from History for Surviving the Trade War, War on the Rocks, 5 Giugno 2025, https://warontherocks.com/2025/06/notes-from-history-for-surviving-the-trade-war/ © RIPRODUZIONE RISERVATA
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