OHi Mag Report Geopolitico nr. 110 Introduzione L'attuale panorama strategico occidentale è dominato da una crescente fiducia nella capacità della tecnologia, in particolare dei sistemi senza pilota (unmanned systems), di compensare la riduzione del personale militare e garantire il successo nei conflitti futuri. Questa tendenza, particolarmente evidente negli Stati Uniti e in alcuni dei suoi principali alleati, suggerisce una visione della guerra futura come un'impresa più efficiente, precisa e meno costosa in termini di vite umane. Tuttavia, come argomenta Michael P. Ferguson nel suo saggio "Ghost in the Machine: Coming to Terms with the Human Core of Unmanned War", pubblicato su Parameters (Vol 8, Iss 2, Spring 2025), questa visione rischia di essere un'illusione pericolosa. Basandosi su un'analisi storica informata dalla triade tucididea di paura, onore e interesse, Ferguson sostiene che la centralità dell'elemento umano nella guerra rimane immutata e che l'eccessiva dipendenza dalla tecnologia, ignorando la necessità di una massa umana significativa, può portare a strategie irrealistiche e a conseguenze impreviste e potenzialmente disastrose. Questo saggio intende sintetizzare le argomentazioni di Ferguson, esplorando i fatti descritti, le conseguenze geopolitiche, strategiche, marittime e le implicazioni specifiche per l'Italia, per concludere con raccomandazioni basate sull'analisi dell'autore. I Fatti L'analisi di Ferguson prende le mosse da una constatazione fattuale preoccupante: mentre le forze armate occidentali, in primis quelle statunitensi e britanniche, investono massicciamente in droni e sistemi d'arma basati sull'intelligenza artificiale, i loro effettivi umani stanno diminuendo a livelli storicamente bassi. L'esercito americano, ad esempio, affronta sfide di reclutamento senza precedenti, raggiungendo nel 2024 la sua dimensione più ridotta dal 1940, nonostante un budget della difesa quasi raddoppiato rispetto a pochi decenni fa, con una quota preponderante destinata proprio all'acquisizione e allo sviluppo di nuove tecnologie. Iniziative come "Replicator" del Pentagono, che mira a schierare decine di migliaia di droni per ottenere "massa" tecnologica, riflettono questa logica di "offset", reminiscenza della strategia nucleare di Eisenhower per compensare lo svantaggio numerico convenzionale rispetto al Patto di Varsavia. Allo stesso modo, il Regno Unito ha visto riduzioni drastiche nel personale dell'esercito e dell'aeronautica, alimentando la dipendenza dalle macchine per compensare la perdita di capacità umane ed esperienza. Ferguson evidenzia come questa tendenza non sia esclusiva dell'Occidente. La Russia, pur lottando con la coscrizione, investe in droni autonomi e stringe accordi con l'Iran, mentre l'Ucraina, di fronte all'invasione, ha puntato sulla produzione massiccia di droni, subendone perdite ingenti ma dimostrandone l'importanza tattica sul campo. Tuttavia, l'autore mette in guardia dal confondere l'utilità tattica con una soluzione strategica onnicomprensiva. Questa corsa agli armamenti senza pilota, sostiene, è spesso guidata più da un pregiudizio culturale occidentale verso la tecnologia e da un desiderio di evitare le dure realtà della guerra terrestre che da una valutazione oggettiva delle esigenze belliche del XXI secolo. La storia, ricorda Ferguson citando figure come il Generale Ridgway negli anni '50, è ricca di avvertimenti contro la tentazione di credere in soluzioni "facili e a basso costo" che promettono vittorie rapide e decisive attraverso la sola superiorità aerea, navale o, oggi, tecnologica. Questi approcci spesso ignorano la natura intrinsecamente umana e caotica della guerra, che non può essere ridotta a un mero calcolo matematico o ingegneristico. Conseguenze Geopolitiche Le implicazioni geopolitiche di questa deriva verso la guerra "post-umana" sono profonde. In primo luogo, la proliferazione di sistemi d'arma avanzati e senza pilota, come notato da studiosi come Michael C. Horowitz, può alterare gli equilibri di potere, potenzialmente favorendo attori più piccoli o instabili e aumentando così il rischio complessivo di conflitti. La percezione che la guerra possa essere condotta a distanza, con minori rischi umani per chi attacca, può abbassare la soglia per l'uso della forza, rendendo i conflitti più facili da iniziare. Ferguson utilizza la struttura tucididea (paura, onore, interesse) per analizzare come questi fattori umani continueranno a guidare le decisioni statali, anche in un'era di macchine intelligenti. La paura, sia quella di una potenza status quo di essere sfidata (come Sparta/USA), sia quella di una potenza emergente di perdere i propri guadagni (come Atene/Cina), può spingere all'escalation, resa apparentemente meno rischiosa dai sistemi unmanned. L'onore, inteso come reputazione nazionale e rifiuto dell'umiliazione (si pensi alla Germania post-Versailles o alla Russia di Putin), rimane un potente motore di conflitto, che la guerra a distanza non elimina ma anzi, potrebbe esacerbare se vista come un modo "disonorevole" o "codardo" di combattere da parte dell'avversario. L'interesse nazionale, infine, continuerà a prevalere sulle norme internazionali quando percepito come esistenziale, come dimostra la storia (dalla Guerra Civile americana alle violazioni del Memorandum di Budapest). La guerra condotta principalmente da macchine rischia di erodere ulteriormente la fiducia negli accordi internazionali e nelle istituzioni volte a regolare l'uso della forza, poiché la necessità percepita può facilmente scavalcare gli scrupoli legali o morali, soprattutto se il costo umano diretto sembra ridotto. Conseguenze Strategiche Sul piano strategico, l'eccessiva fiducia nella tecnologia genera vulnerabilità significative. Le strategie basate sull'assunto che la superiorità tecnologica possa compensare la mancanza di massa umana rischiano di rivelarsi fallaci di fronte ad avversari capaci di sviluppare contromisure efficaci (guerra elettronica, difese aeree, tattiche asimmetriche) o semplicemente disposti ad assorbire perdite maggiori. La storia recente, dall'Afghanistan all'Ucraina, dimostra che la tecnologia da sola non garantisce il controllo del territorio né la capacità di piegare la volontà politica dell'avversario. Ferguson avverte che la riduzione del personale non solo limita le opzioni sul campo, ma causa anche una perdita critica di esperienza e competenza umana ("brain drain"), difficile da recuperare rapidamente. Inoltre, la dipendenza da sistemi complessi e interconnessi aumenta le sfide logistiche e la vulnerabilità delle catene di approvvigionamento, specialmente in conflitti prolungati o su vasta scala. La promessa di una guerra più "precisa" e "controllabile" si scontra con la realtà: gli errori umani, anche se commessi a distanza da operatori di droni o programmatori di IA, possono avere conseguenze amplificate e difficili da gestire, aumentando il rischio di escalation involontaria o di danni collaterali che minano gli obiettivi politici. L'illusione di poter gestire finemente l'escalation, come dimostrato storicamente in Vietnam, può portare a coinvolgimenti prolungati e costosi. Infine, concentrarsi sulla distruzione di equipaggiamenti tramite tecnologia ignora il fatto che l'obiettivo ultimo della guerra rimane influenzare la volontà umana, spesso attraverso l'imposizione di sofferenza, un compito che le macchine, per quanto sofisticate, non possono assolvere pienamente e che storicamente ha richiesto la presenza e il sacrificio di esseri umani sul terreno. Conseguenze Marittime Sebbene l'articolo di Ferguson si concentri più ampiamente sulle dinamiche terrestri e aeree, le sue argomentazioni sono pienamente applicabili al dominio marittimo. La Marina degli Stati Uniti, come le altre forze armate, sta investendo in piattaforme navali senza pilota (di superficie e sottomarine) come parte della sua visione futura. L'avvertimento di Ridgway contro l'eccessiva dipendenza dalla potenza aerea e navale per evitare l'impegno terrestre negli anni '50 trova un'eco moderna nella speranza che flotte di droni marittimi possano garantire il controllo dei mari o proiettare potenza senza mettere a rischio costose navi con equipaggio e le vite dei marinai. Tuttavia, valgono le stesse criticità: la vulnerabilità di questi sistemi a contromisure avversarie (guerra elettronica, mine, attacchi cinetici), la capacità industriale di produrli e sostenerli in numero sufficiente, e la questione fondamentale se possano effettivamente sostituire le capacità uniche fornite dalle piattaforme con equipaggio in termini di presenza, deterrenza, controllo del mare e complesse operazioni multidominio. La strategia marittima, come quella terrestre, non può sfuggire alla realtà che la tecnologia è uno strumento, non una panacea, e che la sua efficacia dipende dal contesto operativo, dalle capacità avversarie e, in ultima analisi, dalla capacità di integrare tecnologia ed elemento umano in modo equilibrato. La guerra navale del futuro, pur vedendo un aumento dei sistemi unmanned, richiederà probabilmente ancora una significativa presenza umana per compiti complessi e per gestire l'incertezza intrinseca del conflitto. Conseguenze per l’Italia Pur non menzionando specificamente l'Italia, le analisi e gli avvertimenti di Ferguson hanno implicazioni dirette per il nostro Paese in quanto membro della NATO e alleato stretto degli Stati Uniti. L'Italia, come altre nazioni europee, si trova ad affrontare pressioni simili per modernizzare le proprie forze armate attraverso la tecnologia, spesso a fronte di budget limitati e sfide demografiche che rendono difficile mantenere grandi effettivi. La tendenza verso forze più piccole e tecnologicamente avanzate è presente anche nel dibattito sulla difesa italiana. Il rischio, seguendo l'argomentazione di Ferguson, è che anche l'Italia possa cadere nella trappola dell'"offset tecnologico", investendo in sistemi costosi e forse non pienamente testati a scapito della robustezza numerica e dell'addestramento del personale. Ciò potrebbe limitare la capacità dell'Italia di contribuire efficacemente a operazioni alleate complesse e prolungate, specialmente quelle che richiedono una significativa presenza sul terreno. Inoltre, la dipendenza dalla tecnologia, specialmente se importata o sviluppata in collaborazione, solleva questioni di sovranità tecnologica e industriale. L'Italia dovrebbe quindi valutare criticamente questa tendenza globale, cercando un equilibrio sostenibile tra innovazione tecnologica e mantenimento di una componente umana adeguata, addestrata e motivata, capace di operare nell'intero spettro dei conflitti, riconoscendo che la sicurezza nazionale ed europea non può basarsi esclusivamente su promesse tecnologiche, ma richiede un investimento olistico e realistico nelle capacità difensive, inclusa la sua risorsa più preziosa: le persone. Conclusioni e Raccomandazioni In conclusione, il saggio di Michael P. Ferguson lancia un monito potente contro l'ottimismo tecnologico che pervade gran parte del pensiero strategico occidentale contemporaneo. L'idea che la guerra possa essere resa più pulita, controllabile e meno costosa in termini umani grazie ai sistemi senza pilota è, secondo l'autore, un'illusione pericolosa che ignora le lezioni fondamentali della storia e la natura intrinseca del conflitto come impresa profondamente umana, guidata da passioni come paura, onore e interesse. La riduzione degli effettivi militari in nome di un presunto "offset" tecnologico non solo rischia di creare vulnerabilità strategiche significative, ma può anche rendere i conflitti più probabili, più difficili da concludere e potenzialmente più brutali per le popolazioni civili, allontanando ulteriormente le società occidentali dalle conseguenze delle guerre combattute in loro nome. Ferguson raccomanda un radicale ripensamento. In primo luogo, i leader politici e militari devono affrontare onestamente il disallineamento tra le ambizioni strategiche e le risorse umane disponibili, riconoscendo che non esiste scorciatoia tecnologica per sostituire la necessità di forze terrestri numerose, ben addestrate e resilienti, specialmente in scenari di conflitto convenzionale su larga scala. È necessario un dibattito franco con l'opinione pubblica sui veri costi e rischi della guerra moderna, contrastando la narrazione fuorviante di conflitti combattuti "a distanza" o "come videogiochi". In secondo luogo, bisogna riconoscere i limiti intrinseci della tecnologia e investire in modo equilibrato, senza sacrificare il nucleo umano delle forze armate. La vittoria, come suggerisce Ferguson, non si compra nella Silicon Valley, ma si conquista ancora "nel fango", con la disciplina, il coraggio e il sacrificio di soldati in carne ed ossa. Accettare questa amara verità è il passo necessario per prepararsi realisticamente alle sfide del XXI secolo. Riferimento: Ferguson, Michael P. "Ghost in the Machine: Coming to Terms with the Human Core of Unmanned War". Texas National Security Review, Parameters, Vol 8, Iss 2, Spring 2025, pp. 27-46. Disponibile presso il sito della rivista Parameters (US Army War College Press). https://tnsr.org/2025/03/ghost-in-the-machine-coming-to-terms-with-the-human-core-of-unmanned-war/ © RIPRODUZIONE RISERVATA
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