I contributi sono diretta responsabilità della redazione di OHiMAG e ne rispecchiano le idee. La riproduzione, totale o parziale, è autorizzata a condizione di citare la fonte. Le informazioni qui riportate sono frutto di lettura e analisi delle seguenti fonti: Cesmar "Sintesi di Geopolitica e Geoeconomia (del giorno)"; Notizie riportate dai principali siti che si occupano di politica internazionale, geopolitica e strategia marittima (ISPI, Foreign Affairs, Inside Over, Analisi Difesa, Limes, Le Grand Continent, Atlantic Council, Chatham House, IISS, CSIS, The National Interest, War o the rocks, Responsible Statecraft, IAI, IARI, CIMSEC, Formiche.net, GCaptain, The global eye, Center for maritime strategy, Naval News, Shipmag, Navylookout, Navytimes, Rand, il Sussidiario, GeopoliticaInfo, Starmag) e dalle principali agenzie di stampa internazionali (Associated Press, Reuters, AFP, ANSA, DPA, TASS, Xinhua, etc.) relative al giorno precedente quello indicato nel titolo Tensioni, Risorse e Crisi del Multilateralismo Questa analisi è stata preparata in collaborazione con cesmar.it La sintesi non rappresenta un'analisi originale, ma una riorganizzazione strutturata delle informazioni raccolte basata sulla expertise dei nostri studiosi che ne hanno poi estrapolato le conseguenze nei campi geopolitico, strategico, marittimo e legato all’Italia. Introduzione
Il panorama internazionale di giugno 2025 è definito da una pervasiva instabilità sistemica, un punto di svolta critico per l’ordine globale. Le dinamiche in atto sono riconducibili a una triplice crisi interconnessa: una rinnovata e intensa competizione tra grandi potenze, una corsa febbrile per il controllo di risorse strategiche come il litio e una profonda crisi di efficacia della governance multilaterale. In questo contesto, la logica della deterrenza militare e della competizione geoeconomica prevale nettamente su quella della cooperazione, generando tensioni che riverberano dai conflitti regionali in Europa orientale e Medio Oriente fino al dominio tecnologico e marittimo. Un evento emblematico di questa tendenza è la messa in servizio, il 28 giugno, della HMAS Arafura da parte della Royal Australian Navy. Sebbene non sia un atto bellico, questo evento rappresenta un tassello tangibile nella corsa al riarmo nell'Indo-Pacifico. La nuova unità incarna la risposta strategica dell'Australia a un ambiente regionale instabile, sottolineando la necessità di una "presenza persistente" per la sorveglianza marittima in quella che è diventata l'arena principale della rivalità globale. L'intersezione di questi fenomeni delinea i contorni di un ordine mondiale multipolare, frammentato e pericolosamente instabile, le cui dinamiche e implicazioni costituiscono l'oggetto della presente analisi. I fatti Il quadro degli eventi globali di giugno 2025, come emerge dalle analisi della stampa di settore, delinea un mondo in cui le tensioni a lungo latenti sono esplose in crisi manifeste su più fronti. Nel teatro Indo-Pacifico, epicentro della competizione strategica, il Regno Unito ha proiettato la sua influenza con il dispiegamento del Carrier Strike Group CSG25, guidato dalla portaerei HMS Prince of Wales. Questa operazione, inserita nella strategia della "Global Britain", non è solo una dimostrazione di forza militare ma anche un tentativo di proteggere le vitali rotte commerciali e di rafforzare l'interoperabilità con alleati chiave come Australia, Canada e Nuova Zelanda. Parallelamente, la Royal Australian Navy ha messo in servizio la HMAS Arafura, prima unità di una nuova classe di pattugliatori d'altura, segnando un passo cruciale nel suo ambizioso programma di modernizzazione navale volto a garantire una presenza persistente e a sorvegliare le sue vaste zone economiche esclusive. Nel frattempo, in Medio Oriente, la situazione sta vivendo ancora gli effetti dell’attacco militare diretto degli Stati Uniti contro gli impianti nucleari iraniani. L'operazione, pur infliggendo danni significativi al programma atomico di Teheran, ha innescato una pericolosa escalation e rivelato profonde crepe sia nel fronte anti-iraniano che tra gli alleati occidentali. Sul fronte europeo, il conflitto in Ucraina è proseguito con una violenza immutata, culminando nella conquista russa di Shevchenko, un'area strategica che ospita uno dei più grandi giacimenti di litio d'Europa. Questo evento ha sottolineato come la guerra non sia solo territoriale, ma anche una lotta per il controllo di risorse critiche. In risposta alla persistente minaccia russa, il vertice NATO dell'Aia del 25 giugno ha sancito una decisione storica: l'adozione di un obiettivo vincolante di spesa militare pari al 5% del PIL entro il 2035, un raddoppio che segnala un riarmo su vasta scala dell'Alleanza Atlantica. Infine, il panorama asiatico è stato scosso da profonde trasformazioni interne, tra cui la sistematica purga dei vertici militari in Cina da parte di Xi Jinping per consolidare il proprio potere e la ricalibrazione strategica della Corea del Sud sotto il nuovo presidente Lee, che valuta un parziale distanziamento da Washington per perseguire una maggiore autonomia. Analisi per Teatri Operativi
Conseguenze geopolitiche Le conseguenze geopolitiche di questi eventi sono state immediate e profonde, accelerando la transizione verso un ordine mondiale più frammentato e multipolare. L'attacco statunitense all'Iran, condotto con un limitato appoggio esplicito degli alleati, ha messo a nudo la crisi del multilateralismo e l'inefficacia delle istituzioni di governance globale, come evidenziato dal rapporto dello Stimson Center. La riluttanza della Russia a fornire un sostegno concreto a Teheran, a causa del suo impegno in Ucraina e del timore di ulteriori sanzioni, ha dimostrato la natura spesso opportunistica e fragile delle alleanze "anti-occidentali". Allo stesso tempo, sono emersi nuovi assi strategici, come il partenariato rafforzato tra Russia e Indonesia, che segnala la volontà delle potenze medie di diversificare le proprie relazioni e di sottrarsi alla logica dei blocchi contrapposti. In Europa, la decisione della NATO sul 5% del PIL alla difesa, pur mostrando un fronte apparentemente compatto contro la Russia, ha rivelato tensioni interne significative, con la Spagna che ha espresso riserve, evidenziando le difficoltà politiche ed economiche che molti governi dovranno affrontare per conciliare gli oneri della difesa con le esigenze sociali. La conquista russa delle riserve di litio ucraine ha trasformato una risorsa economica in un'arma geopolitica, garantendo a Mosca una leva strategica sulla transizione energetica europea e privando Kiev di un asset fondamentale per la sua futura ricostruzione e sovranità economica. Questo episodio ha consacrato la "geopolitica delle risorse" come un elemento centrale delle relazioni internazionali, in cui il controllo delle materie prime critiche è tanto importante quanto il controllo del territorio. Infine, il riassetto strategico della Corea del Sud e le purghe in Cina indicano un ricalcolo degli equilibri di potere in Asia, con il QUAD (USA, Giappone, India, Australia) che intensifica la sua cooperazione per fungere da contrappeso democratico a un'assertività cinese sempre più marcata. Conseguenze strategiche Sul piano strategico, gli avvenimenti del 28 e 29 giugno 2025 hanno offerto lezioni cruciali sulla natura della guerra e della deterrenza nel XXI secolo. La crisi iraniana ha svelato una vulnerabilità inaspettata anche per la più grande superpotenza mondiale. L'impiego massiccio di intercettori missilistici Standard Missile-3 (SM-3) per proteggere Israele e le basi americane ha portato a un esaurimento "allarmante" delle scorte, dimostrando che la superiorità tecnologica, se non supportata da una base industriale e logistica robusta e capace di sostenere un consumo elevato, può rivelarsi effimera. Questa "crisi logistica" ha costretto Washington a una revisione tardiva delle politiche di approvvigionamento, evidenziando un divario critico tra capacità tecnologica e sostenibilità operativa in un conflitto ad alta intensità. Simmetricamente, la scelta russa di non impiegare in modo massiccio il suo carro armato di ultima generazione, il T-14 Armata, per timore di perdite che ne avrebbero minato il prestigio, illustra il divario tra la propaganda militare e la realtà del campo di battaglia. La tecnologia, per essere strategicamente rilevante, deve essere affidabile, manutenibile e dispiegabile in quantità sufficienti. La guerra in Ucraina ha anche messo in luce la crescente importanza delle "proxy wars" e della regionalizzazione dei conflitti, come teorizzato per il teatro africano, in particolare la Somalia, definita un "laboratorio delle guerre del futuro". Qui, attori esterni come Turchia ed Emirati Arabi Uniti sostengono fazioni locali, combattendo guerre per procura che frammentano la sovranità statale e rendono le soluzioni politiche quasi impossibili. La decisione della NATO di destinare l'1,5% del PIL alla difesa cibernetica, alla protezione delle infrastrutture critiche e all'innovazione tecnologica rappresenta una svolta strategica fondamentale, riconoscendo che la sicurezza nazionale si gioca ormai su più domini interconnessi e che la resilienza di una nazione dipende tanto dalla sua forza militare convenzionale quanto dalla sua capacità di difendersi da attacchi ibridi e informatici. Conseguenze marittime Le conseguenze nel dominio marittimo sono state altrettanto significative, confermando l'Indo-Pacifico come l'epicentro della nuova competizione navale globale. Il dispiegamento del Carrier Strike Group britannico CSG25 non è stato un semplice esercizio militare, ma un'azione strategica polivalente. In primo luogo, ha riaffermato il ruolo del Regno Unito come attore di sicurezza globale con interessi diretti nel mantenimento della libertà di navigazione lungo le rotte commerciali vitali che attraversano lo Stretto di Malacca e il Mar Cinese Meridionale. In secondo luogo, ha rafforzato la rete di alleanze e l'interoperabilità operativa con le marine di nazioni affini, costruendo una massa critica di deterrenza contro l'espansionismo cinese. La presenza simultanea di portaerei cinesi, britanniche e di altre nazioni ha trasformato la regione in una scacchiera navale ad alta tensione, dove il rischio di incidenti e di escalation involontaria è tangibile, nonostante i canali di comunicazione "professionali" mantenuti tra le flotte. Parallelamente, il programma di modernizzazione della Royal Australian Navy, esemplificato dalla nuova classe di pattugliatori Arafura, dimostra la strategia delle medie potenze di investire in capacità di sorveglianza persistente. Queste unità non sono navi da combattimento di prima linea, ma sono essenziali per affermare la sovranità nelle vaste zone economiche esclusive e per monitorare le attività illegali, una componente cruciale della sicurezza marittima moderna. La crisi in Medio Oriente ha inoltre evidenziato la centralità delle forze navali nella difesa missilistica balistica. I cacciatorpediniere della U.S. Navy, dotati del sistema Aegis e di missili SM-3, si sono rivelati l'unica piattaforma in grado di fornire uno scudo difensivo credibile, ma il loro impiego intensivo ha sottolineato la vulnerabilità logistica e l'enorme costo di tale difesa, ponendo seri interrogativi sulla sua sostenibilità nel lungo periodo. Conseguenze per l’Italia Per l'Italia, le ripercussioni di questo scenario globale sono dirette e impegnative. La decisione della NATO di elevare la spesa militare al 5% del PIL rappresenta la sfida più immediata e dirompente. Se attuato, questo impegno si tradurrebbe in una spesa per la sicurezza superiore ai 100 miliardi di euro annui, una cifra che solleverebbe enormi interrogativi sulla sostenibilità dei conti pubblici e imporrebbe scelte politiche dolorose. Il governo italiano si troverebbe a dover bilanciare un onere militare senza precedenti con le pressanti esigenze del sistema di welfare, della sanità, dell'istruzione e della riduzione del debito pubblico, generando inevitabilmente un acceso dibattito politico e sociale. Sul piano economico, il caso della cessione di una quota di Monte dei Paschi di Siena a fondi statunitensi, percepito da alcuni come un "saccheggio" del risparmio nazionale, ha messo in luce la vulnerabilità del sistema finanziario italiano e ha alimentato il dibattito sulla necessità di una maggiore difesa della sovranità economica. In un contesto di competizione globale, la protezione degli asset strategici, non solo industriali ma anche finanziari, diventa un imperativo per la stabilità nazionale. Strategicamente, l'Italia, in quanto pilastro meridionale della NATO e potenza mediterranea, si troverà in prima linea nella gestione delle crisi provenienti dal Medio Oriente e dall'Africa. L'instabilità regionale, le pressioni migratorie e la competizione per le risorse energetiche nel Mediterraneo richiederanno un impegno diplomatico e militare crescente. Infine, il rafforzamento della base industriale della difesa europea, implicito nell'aumento della spesa NATO, offre un'opportunità significativa per l'industria della difesa italiana (come Leonardo e Fincantieri) di giocare un ruolo da protagonista, a patto di investire in innovazione e di integrarsi efficacemente nelle catene del valore europee. Conclusioni e Raccomandazioni In conclusione, il quadro globale di giugno 2025 cristallizza la transizione verso un ordine definito da una competizione strategica disinibita e un multipolarismo frammentato. I dati analizzati indicano che la sovranità economica è contesa con la stessa intensità di quella territoriale, e che la sicurezza nazionale è ormai indissolubilmente legata alla resilienza delle catene di approvvigionamento e al controllo di risorse critiche come il litio. Gli eventi hanno dimostrato che la superiorità tecnologica è fragile se non sostenuta da una solida base industriale e logistica, mentre l'erosione del multilateralismo lascia la comunità internazionale priva di strumenti efficaci per la mediazione dei conflitti. Questo sistema sotto stress, caratterizzato da conflitti ibridi e guerre per procura, sta entrando in una fase di elevata instabilità. In questo scenario, i possibili sviluppi a breve termine si concentrano su tre fronti critici. Il primo riguarda la potenziale reazione iraniana all'attacco subito, con un'elevata probabilità di escalation asimmetrica attraverso proxy regionali, in particolare nel sud del Libano, dove la tregua con Israele è già compromessa. Il secondo fronte è la reazione cinese alle iniziative diplomatiche occidentali su Taiwan, che potrebbe concretizzarsi in imponenti esercitazioni militari nello Stretto o in pressioni economiche mirate, volte a testare la coesione occidentale. Il terzo vettore è il consolidamento del partenariato strategico tra Indonesia e Russia, la cui formalizzazione attraverso accordi militari avanzati altererebbe significativamente gli equilibri di potere nell'Indo-Pacifico, costringendo il QUAD a una ricalibrazione strategica. Di fronte a queste dinamiche, emerge come sfida centrale l'inadeguatezza delle attuali architetture di governance globale. La raccomandazione più urgente è dunque un rinnovato e pragmatico impegno verso un multilateralismo efficace, che vada oltre il semplice finanziamento per promuovere una profonda riforma delle istituzioni esistenti. È imperativo sviluppare nuovi meccanismi di governance specificamente progettati per gestire rischi transnazionali complessi, quali le minacce cibernetiche, le pandemie e gli impatti del cambiamento climatico. Per gli attori statali, la raccomandazione strategica consiste nel bilanciare le legittime esigenze di sicurezza nazionale con l'imperativo della stabilità collettiva, riconoscendo che in un mondo interconnesso la sicurezza a lungo termine non può essere raggiunta isolatamente.
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I contributi sono diretta responsabilità della redazione di OHiMAG e ne rispecchiano le idee. La riproduzione, totale o parziale, è autorizzata a condizione di citare la fonte. Le informazioni qui riportate sono frutto di lettura e analisi delle seguenti fonti: Cesmar "Sintesi di Geopolitica e Geoeconomia (del giorno)"; Notizie riportate dai principali siti che si occupano di politica internazionale, geopolitica e strategia marittima (ISPI, Foreign Affairs, Inside Over, Analisi Difesa, Limes, Le Grand Continent, Atlantic Council, Chatham House, IISS, CSIS, The National Interest, War o the rocks, Responsible Statecraft, IAI, IARI, CIMSEC, Formiche.net, GCaptain, The global eye, Center for maritime strategy, Naval News, Shipmag, Navylookout, Navytimes, Rand, il Sussidiario, GeopoliticaInfo, Starmag) e dalle principali agenzie di stampa internazionali (Associated Press, Reuters, AFP, ANSA, DPA, TASS, Xinhua, etc.) relative al giorno precedente quello indicato nel titolo L'Occidente al bivio. Crisi strategica e nascita di un ordine multipolare Questa analisi è stata preparata in collaborazione con cesmar.it La sintesi non rappresenta un'analisi originale, ma una riorganizzazione strutturata delle informazioni raccolte. Introduzione
L'analisi del panorama internazionale a metà del 2025, come emerge da una serie di articoli di varie testate on line, restituisce l'immagine di un ordine mondiale in profonda e accelerata transizione. Le fondamenta del sistema liberale a guida occidentale appaiono erose da una crisi sistemica che ne mina la credibilità istituzionale, la coesione delle alleanze storiche e la lucidità strategica. Due eventi emblematici, verificatisi quasi in contemporanea, cristallizzano questa dinamica: un attacco militare statunitense contro l'Iran, seguito da una fragile tregua, e un vertice NATO all'Aja che, lungi dal sancire una rinnovata unità, ha esposto le fratture interne e la subordinazione europea a un'agenda americana transazionale e imprevedibile. Questi avvenimenti non sono incidenti isolati, ma sintomi di un riallineamento globale, dove la debolezza strategica dell'Occidente fa da contraltare all'ascesa pragmatica di un mondo multipolare. La presente sintesi, basandosi sull'elaborazione dei testi forniti, intende analizzare i fatti principali, esplorarne le conseguenze geopolitiche, strategiche e marittime, valutarne l'impatto specifico per l'Italia e, infine, formulare raccomandazioni per navigare la complessità di questo nuovo scenario. Evento clou della giornata L'evento catalizzatore è rappresentato dal vertice NATO dell'Aja del 25 giugno 2025 che dai media mondiali viene descritto come la fotografia di una profonda crisi esistenziale per l'Alleanza. Orchestrato principalmente per placare il presidente americano Donald Trump, l'incontro ha evidenziato la subordinazione strategica dell'Europa, culminata nell'impegno ad aumentare la spesa militare al 5% del PIL entro il 2035. Questa decisione è però considerata un "bluff" economicamente insostenibile per i partner europei, che richiederebbe drastici tagli al welfare. Anche la sua logica strategica, basata su una presunta minaccia russa, appare fallace. Il vertice ha inoltre sancito il fallimento della proiezione globale della NATO: i leader dei principali partner dell'Indo-Pacifico (Giappone, Corea del Sud, Australia) hanno disertato l'appuntamento, frustrati dalla politica transazionale di Washington. Questa assenza coordinata dimostra la perdita di credibilità e attrattiva di un'alleanza prigioniera delle sue contraddizioni, sempre più ripiegata su sé stessa e incapace di formulare una visione comune per un mondo multipolare. I fatti Il quadro fattuale descritto dalle fonti si articola attorno a due epicentri di crisi interconnessi: il Medio Oriente e l'Europa. Il primo evento catalizzatore è l'operazione militare "Midnight Hammer", un attacco aereo condotto dagli Stati Uniti contro i siti nucleari iraniani. Sebbene l'amministrazione americana ne abbia rivendicato il successo, le valutazioni dell'intelligence indicano un risultato modesto, con un ritardo inflitto al programma di Teheran di soli pochi mesi. A questa escalation è seguita una tregua inaspettata tra Israele e Iran, orchestrata dal presidente Donald Trump. Contemporaneamente, si è svolto all'Aja un vertice NATO deliberatamente accorciato a meno di 24 ore. L'esito principale è stato l'impegno formale degli alleati ad aumentare la spesa per la difesa al 5% del PIL entro il 2035. Le cronache del vertice riportano un clima di sottomissione europea, simboleggiato da un messaggio del Segretario Generale Mark Rutte a Trump, e una significativa assenza: i leader dei principali partner dell'Indo-Pacifico—Giappone, Corea del Sud e Australia—hanno disertato l'incontro, inviando delegati di rango inferiore. Mentre l'Occidente era impegnato in queste dinamiche, il Forum Economico di San Pietroburgo (SPIEF) ha visto il presidente russo Vladimir Putin articolare una visione per un ordine multipolare alternativo, presentandosi come leader di una rivolta del "Sud Globale". A questo si aggiunge la profonda polarizzazione interna agli Stati Uniti, esemplificata dalla vittoria di un candidato socialista alle primarie di New York e da una latente crisi costituzionale nei riguardi del Presidente. Sintesi per Teatro Operativo Mediterraneo Allargato. Questo teatro è l'epicentro della crisi globale. Vicino Oriente e Golfo Persico. La tregua tra Israele e Iran, imposta da Trump, è l'evento dominante. Pur avendo evitato una guerra, ha evidenziato il fallimento strategico dell'attacco USA all'Iran, creando le premesse per una futura proliferazione nucleare. Per il premier israeliano Netanyahu, l'attacco rappresenta un'opportunità per ridefinire la sua eredità, offuscata dalla gestione della guerra a Gaza. Europa Meridionale e Mar Nero. Il vertice NATO dell'Aja si è rivelato un "bluff monumentale". L'impegno per il 5% del PIL in difesa è visto come insostenibile, con la Spagna che ha già annunciato il suo dissenso. Le parole del ministro italiano Crosetto, che ha messo in dubbio la "ragione d'esistere" della NATO nella sua forma attuale, e l'adulazione del Segretario Generale Rutte verso Trump, dipingono il quadro di un'alleanza in crisi esistenziale e in condizione di vassallaggio. L'UE, fratturata al suo interno, non riesce a formulare una politica unitaria. Mar Rosso e Corno d’Africa La minaccia jihadista persiste, come dimostra il rapimento di 120 bambini da parte di gruppi legati all'ISIS in Mozambico, destabilizzando aree cruciali per le risorse energetiche. Pakistan. Dimostra notevole agilità diplomatica, mantenendo una partnership di sicurezza con gli USA mentre approfondisce i legami strategici con la Cina, incarnando la navigazione pragmatica delle potenze medie nel nuovo disordine mondiale. Heartland euro-asiatico. Questo teatro vede l'avanzata di un ordine alternativo. Russia. Mosca capitalizza sul caos globale. Mentre l'Occidente è distratto dal Medio Oriente, la Russia riattiva i suoi asset energetici sanzionati nell'Artico per sfruttare i prezzi elevati del GNL. Il Forum di San Pietroburgo (SPIEF) ha consolidato la narrativa di Putin di una Russia leader di una rivolta del Sud Globale contro un ordine "neocoloniale", promuovendo la de-dollarizzazione e i BRICS come alternativa istituzionale. Cina. Pechino agisce con pragmatismo, beneficiando della decisione di Trump di permetterle di acquistare petrolio iraniano. Questa mossa, probabilmente una pedina di scambio in vista di accordi commerciali, rafforza la posizione cinese senza un coinvolgimento diretto nel conflitto. Teatro operativo Boreale-Artico. L'Artico si conferma un'arena di competizione strategica ed economica. La mossa russa di inviare una metaniera sanzionata verso i suoi impianti di esportazione è la prova più evidente. Con lo scioglimento dei ghiacci e l'aumento delle tensioni geopolitiche, questa rotta diventa sempre più cruciale e contesa, sia per le risorse energetiche che per le rotte commerciali alternative. Stati Uniti. La crisi di leadership globale dell'Occidente è un riflesso della sua crisi interna. La vittoria del socialista Zohran Mamdani alle primarie di New York segnala una profonda frattura nel Partito Democratico e un'insoddisfazione crescente verso l'establishment. La società americana appare polarizzata e il suo sistema di pesi e contrappesi costituzionali è messo a dura prova dal potere bellico quasi monarchico rivendicato dal Presidente. Teatro operativo Australe-Antartico. Questo teatro, pur essendo periferico rispetto alle crisi principali, mostra segnali di cambiamento e instabilità. America Latina. La stabilità del Costa Rica, un'eccezione nella regione, è minacciata dalla crisi politica che coinvolge il presidente Chaves, accusato di finanziamento illecito. Africa Meridionale. Le violente proteste in Kenya contro le politiche fiscali e la minaccia terroristica in Mozambico evidenziano una persistente instabilità sociale e di sicurezza. Parallelamente, iniziative come il sistema di pagamenti panafricano PAPSS indicano una spinta concreta verso una maggiore sovranità economica e finanziaria. Australia. La decisione di snobbare il vertice NATO segnala un allontanamento dalla proiezione globale dell'Alleanza e un focus più regionale. Sul fronte economico, gli allevatori di ovini beneficiano di prezzi record, spinti dalla domanda globale. Indopacifico. L'Indopacifico è un teatro di ricalibrazione strategica e crescente scetticismo verso la leadership americana. Asia Orientale. La diserzione coordinata di Giappone e Corea del Sud dal vertice NATO è un segnale inequivocabile della loro frustrazione verso la politica transazionale e imprevedibile di Trump. Seul, in particolare, cerca di riaprire canali con Pechino. La memoria del 75° anniversario della Guerra di Corea funge da monito sulla perenne instabilità della penisola. Asia Sud-orientale. La marcia indietro della Thailandia sulla legalizzazione della cannabis dimostra la volatilità delle politiche interne e il loro impatto su settori economici emergenti. Tensioni evidenti con chiusura del confine tra Thailandia e Cambogia. Conseguenze geopolitiche Le conseguenze geopolitiche di questi eventi sono profonde e delineano una rapida erosione dell'influenza occidentale. La crisi della NATO è forse l'indicatore più evidente. L'impegno per il 5% di spesa militare è percepito più come un "bluff" per placare Washington che come una strategia sostenibile, mentre il plateale snobismo dei partner dell'Indo-Pacifico segna il fallimento della pretesa dell'Alleanza di proiettarsi come attore globale. La frustrazione di Tokyo per le pressioni americane, la volontà di Seul di dialogare con Pechino e i dubbi di Canberra su AUKUS dimostrano che l'abbraccio americano è visto sempre più come transazionale e inaffidabile. Questo vuoto di leadership occidentale viene pragmaticamente riempito da altri attori. La Russia, attraverso la sua narrazione "anti-coloniale" e la promozione di piattaforme alternative come i BRICS, consolida il suo ruolo di punto di riferimento per il Sud Globale. La sua strategia non è solo ideologica, ma si fonda su offerte concrete di cooperazione energetica e militare senza le condizionalità politiche occidentali. Altri Paesi, come il Pakistan, dimostrano un'eccezionale agilità nel bilanciare le relazioni con Stati Uniti e Cina, mentre l'Africa muove passi concreti verso la sovranità finanziaria con sistemi di pagamento come il PAPSS. L'intero sistema internazionale si sta riorganizzando attorno a poli di potere alternativi, meno dipendenti e meno controllabili da un Occidente percepito come diviso, auto-referenziale e in preda a crisi interne che ne minano la credibilità globale. Conseguenze strategiche Dal punto di vista strategico, le implicazioni sono ancora più allarmanti. L'attacco all'Iran, pur avendo evitato una guerra su larga scala nel breve termine, ha inferto un colpo potenzialmente letale al regime di non proliferazione nucleare. La lezione che il mondo sembra aver appreso è che la rinuncia ai programmi atomici (come fecero Iraq e Libia) espone a invasioni, mentre il possesso di armi nucleari (come nel caso della Corea del Nord) funge da garanzia di sopravvivenza. Di conseguenza, non solo l'Iran potrebbe accelerare verso la bomba, ma anche alleati storici degli Stati Uniti, come Polonia e Corea del Sud, stanno apertamente considerando di sviluppare i propri arsenali, non fidandosi più dell'ombrello protettivo americano. Si profila un mondo con più potenze nucleari e meno regole, intrinsecamente più instabile. La strategia della NATO appare altrettanto miope. L'obiettivo del 5% del PIL, oltre a essere economicamente insostenibile, si basa su un presupposto strategico fallace: quello di una minaccia russa da contenere con un riarmo convenzionale, quando la realtà sul campo in Ucraina dimostra la resilienza di Mosca. Come evidenziato dalle dichiarazioni del Ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, che ha messo in discussione la "ragione di esistere" dell'Alleanza, la NATO sembra un'organizzazione ancorata alla Guerra Fredda, incapace di comprendere un mondo multipolare e condannata a trasformarsi in un mero "cartello industriale" al servizio dei complessi militari. Conseguenze marittime Le ripercussioni sul dominio marittimo, vitale per l'economia globale, sono state immediate e tangibili. La crisi tra Stati Uniti e Iran ha provocato un crollo temporaneo del traffico marittimo attraverso lo Stretto di Hormuz, uno dei choke point più critici del pianeta. Questa paralisi, anche se breve, ha dimostrato l'estrema vulnerabilità delle catene di approvvigionamento globali a fronte di tensioni geopolitiche. L'aumento del rischio percepito si è tradotto in un'impennata dei premi assicurativi e dei costi di nolo, in particolare per il trasporto di Gas Naturale Liquefatto (GNL), con tariffe che hanno raggiunto i massimi degli ultimi otto mesi. Questo caos ha creato un'opportunità strategica per la Russia. Proprio mentre l'attenzione era concentrata sul Golfo Persico, Mosca ha riattivato la sua "flotta ombra" di metaniere sanzionate, inviandole verso gli impianti di esportazione nell'Artico per capitalizzare sui prezzi elevati e offrire un'alternativa energetica all'Europa, minando al contempo l'efficacia del regime sanzionatorio. La crisi in un teatro operativo ha così generato un vantaggio per un avversario strategico in un altro. Il naufragio della bisarca Morning Midas nel Pacifico, sebbene non collegato al conflitto, funge da crudo promemoria della fragilità intrinseca di un sistema logistico globale già sotto forte stress. Conseguenze per l’Italia Per l'Italia, le conseguenze di questo scenario sono dirette e preoccupanti. La decisione assunta al vertice NATO di puntare a una spesa militare del 5% del PIL rappresenta una sfida economica e sociale di proporzioni enormi. Le fonti citano una stima di circa 400 miliardi di euro da trovare in dieci anni, una cifra che per un'economia come quella italiana significherebbe un "salasso" insostenibile, capace di innescare una scelta drammatica tra difesa e stato sociale (welfare, sanità, istruzione). Questo impegno rischia di generare profonde tensioni politiche e sociali interne. La posizione critica espressa dal Ministro della Difesa Guido Crosetto, che ha messo in dubbio la stessa finalità della NATO nella sua forma attuale, non è una semplice boutade, ma il segnale di un profondo malessere e scetticismo all'interno delle più alte istituzioni italiane. L'Italia si trova in una posizione scomoda: pressata da un alleato americano a sostenere costi esorbitanti per una strategia percepita come fallace, mentre la sua sicurezza è minacciata più direttamente dall'instabilità nel suo vicinato, il Mediterraneo Allargato. Il declino di una leadership occidentale coerente e la frammentazione dell'Europa lasciano l'Italia più esposta alle crisi che si dipanano lungo il suo fianco sud, dal Nord Africa al Medio Oriente, rendendo la ricerca di un'autonoma bussola strategica non più un'opzione, ma una necessità. Conclusioni In conclusione, il quadro che emerge a metà 2025 è quello di un profondo disallineamento tra la percezione che l'Occidente ha di sé e la realtà di un mondo multipolare. Le azioni intraprese, dall'attacco all'Iran al vertice NATO, appaiono come reazioni tattiche e impulsive a problemi strategici, che finiscono per aggravare le crisi anziché risolverle. La subordinazione europea a un'agenda americana transazionale, la perdita di credibilità presso gli alleati chiave e l'incapacità di formulare una visione del futuro credibile stanno accelerando un declino che appare sempre più autoinflitto. Mentre l'Occidente è prigioniero delle sue divisioni interne e di narrazioni obsolete, attori come la Russia e una galassia di potenze del Sud Globale stanno costruendo, con pragmatismo, un ordine alternativo basato su interessi concreti. Di fronte a questo scenario, l'inazione non è un'opzione. Per l'Europa, e in particolare per l'Italia, è imperativo avviare una profonda riflessione strategica. In primo luogo, è necessario superare la logica del mero "placare" l'alleato americano e sviluppare una visione autonoma degli interessi europei. Ciò significa riconoscere la realtà di un mondo multipolare e impegnarsi con tutti gli attori in modo pragmatico, abbandonando le lenti della Guerra Fredda. In secondo luogo, l'Italia, in virtù della sua posizione geografica e della sua tradizione diplomatica, dovrebbe farsi promotrice di una nuova architettura di sicurezza per il Mediterraneo Allargato, un'area di interesse primario troppo spesso trascurata dalle priorità strategiche della NATO. Le parole del Ministro Crosetto dovrebbero essere il punto di partenza per un dibattito nazionale e poi europeo su quale debba essere il ruolo dell'Alleanza, spingendo per un approccio più equilibrato che non sacrifichi la stabilità del vicinato e la coesione sociale interna sull'altare di obiettivi di spesa irrealistici. La vera sfida per l'Occidente non è contenere l'ascesa degli altri, ma ritrovare una propria coerenza e visione, per evitare di scivolare verso un'irrilevanza che non è più un'ipotesi remota, ma una traiettoria manifesta. Temi da monitorare nei prossimi giorni:
I contributi sono diretta responsabilità della redazione di OHiMAG e ne rispecchiano le idee. La riproduzione, totale o parziale, è autorizzata a condizione di citare la fonte. Le informazioni qui riportate sono frutto di lettura e analisi delle seguenti fonti: Cesmar "Sintesi di Geopolitica e Geoeconomia (del giorno)"; Notizie riportate dai principali siti che si occupano di politica internazionale, geopolitica e strategia marittima (ISPI, Foreign Affairs, Inside Over, Analisi Difesa, Limes, Le Grand Continent, Atlantic Council, Chatham House, IISS, CSIS, The National Interest, War o the rocks, Responsible Statecraft, IAI, IARI, CIMSEC, Formiche.net, GCaptain, The global eye, Center for maritime strategy, Naval News, Shipmag, Navylookout, Navytimes, Rand, il Sussidiario, GeopoliticaInfo, Starmag) e dalle principali agenzie di stampa internazionali (Associated Press, Reuters, AFP, ANSA, DPA, TASS, Xinhua, etc.) relative al giorno precedente quello indicato nel titolo L'Occidente al bivio. Crisi strategica e nascita di un ordine multipolareQuesta analisi è stata preparata in collaborazione con cesmar.it La sintesi non rappresenta un'analisi originale, ma una riorganizzazione strutturata delle informazioni raccolte. Introduzione
L'analisi del panorama internazionale a metà del 2025, come emerge da una serie di articoli di varie testate on line, restituisce l'immagine di un ordine mondiale in profonda e accelerata transizione. Le fondamenta del sistema liberale a guida occidentale appaiono erose da una crisi sistemica che ne mina la credibilità istituzionale, la coesione delle alleanze storiche e la lucidità strategica. Due eventi emblematici, verificatisi quasi in contemporanea, cristallizzano questa dinamica: un attacco militare statunitense contro l'Iran, seguito da una fragile tregua, e un vertice NATO all'Aja che, lungi dal sancire una rinnovata unità, ha esposto le fratture interne e la subordinazione europea a un'agenda americana transazionale e imprevedibile. Questi avvenimenti non sono incidenti isolati, ma sintomi di un riallineamento globale, dove la debolezza strategica dell'Occidente fa da contraltare all'ascesa pragmatica di un mondo multipolare. La presente sintesi, basandosi sull'elaborazione dei testi forniti, intende analizzare i fatti principali, esplorarne le conseguenze geopolitiche, strategiche e marittime, valutarne l'impatto specifico per l'Italia e, infine, formulare raccomandazioni per navigare la complessità di questo nuovo scenario. Evento clou della giornata L'evento catalizzatore è rappresentato dal vertice NATO dell'Aja del 25 giugno 2025 che dai media mondiali viene descritto come la fotografia di una profonda crisi esistenziale per l'Alleanza. Orchestrato principalmente per placare il presidente americano Donald Trump, l'incontro ha evidenziato la subordinazione strategica dell'Europa, culminata nell'impegno ad aumentare la spesa militare al 5% del PIL entro il 2035. Questa decisione è però considerata un "bluff" economicamente insostenibile per i partner europei, che richiederebbe drastici tagli al welfare. Anche la sua logica strategica, basata su una presunta minaccia russa, appare fallace. Il vertice ha inoltre sancito il fallimento della proiezione globale della NATO: i leader dei principali partner dell'Indo-Pacifico (Giappone, Corea del Sud, Australia) hanno disertato l'appuntamento, frustrati dalla politica transazionale di Washington. Questa assenza coordinata dimostra la perdita di credibilità e attrattiva di un'alleanza prigioniera delle sue contraddizioni, sempre più ripiegata su sé stessa e incapace di formulare una visione comune per un mondo multipolare. I fatti Il quadro fattuale descritto dalle fonti si articola attorno a due epicentri di crisi interconnessi: il Medio Oriente e l'Europa. Il primo evento catalizzatore è l'operazione militare "Midnight Hammer", un attacco aereo condotto dagli Stati Uniti contro i siti nucleari iraniani. Sebbene l'amministrazione americana ne abbia rivendicato il successo, le valutazioni dell'intelligence indicano un risultato modesto, con un ritardo inflitto al programma di Teheran di soli pochi mesi. A questa escalation è seguita una tregua inaspettata tra Israele e Iran, orchestrata dal presidente Donald Trump. Contemporaneamente, si è svolto all'Aja un vertice NATO deliberatamente accorciato a meno di 24 ore. L'esito principale è stato l'impegno formale degli alleati ad aumentare la spesa per la difesa al 5% del PIL entro il 2035. Le cronache del vertice riportano un clima di sottomissione europea, simboleggiato da un messaggio del Segretario Generale Mark Rutte a Trump, e una significativa assenza: i leader dei principali partner dell'Indo-Pacifico—Giappone, Corea del Sud e Australia—hanno disertato l'incontro, inviando delegati di rango inferiore. Mentre l'Occidente era impegnato in queste dinamiche, il Forum Economico di San Pietroburgo (SPIEF) ha visto il presidente russo Vladimir Putin articolare una visione per un ordine multipolare alternativo, presentandosi come leader di una rivolta del "Sud Globale". A questo si aggiunge la profonda polarizzazione interna agli Stati Uniti, esemplificata dalla vittoria di un candidato socialista alle primarie di New York e da una latente crisi costituzionale nei riguardi del Presidente. Sintesi per Teatro Operativo Mediterraneo Allargato. Questo teatro è l'epicentro della crisi globale. Vicino Oriente e Golfo Persico. La tregua tra Israele e Iran, imposta da Trump, è l'evento dominante. Pur avendo evitato una guerra, ha evidenziato il fallimento strategico dell'attacco USA all'Iran, creando le premesse per una futura proliferazione nucleare. Per il premier israeliano Netanyahu, l'attacco rappresenta un'opportunità per ridefinire la sua eredità, offuscata dalla gestione della guerra a Gaza. Europa Meridionale e Mar Nero. Il vertice NATO dell'Aja si è rivelato un "bluff monumentale". L'impegno per il 5% del PIL in difesa è visto come insostenibile, con la Spagna che ha già annunciato il suo dissenso. Le parole del ministro italiano Crosetto, che ha messo in dubbio la "ragione d'esistere" della NATO nella sua forma attuale, e l'adulazione del Segretario Generale Rutte verso Trump, dipingono il quadro di un'alleanza in crisi esistenziale e in condizione di vassallaggio. L'UE, fratturata al suo interno, non riesce a formulare una politica unitaria. Mar Rosso e Corno d’Africa La minaccia jihadista persiste, come dimostra il rapimento di 120 bambini da parte di gruppi legati all'ISIS in Mozambico, destabilizzando aree cruciali per le risorse energetiche. Pakistan. Dimostra notevole agilità diplomatica, mantenendo una partnership di sicurezza con gli USA mentre approfondisce i legami strategici con la Cina, incarnando la navigazione pragmatica delle potenze medie nel nuovo disordine mondiale. Heartland euro-asiatico. Questo teatro vede l'avanzata di un ordine alternativo. Russia. Mosca capitalizza sul caos globale. Mentre l'Occidente è distratto dal Medio Oriente, la Russia riattiva i suoi asset energetici sanzionati nell'Artico per sfruttare i prezzi elevati del GNL. Il Forum di San Pietroburgo (SPIEF) ha consolidato la narrativa di Putin di una Russia leader di una rivolta del Sud Globale contro un ordine "neocoloniale", promuovendo la de-dollarizzazione e i BRICS come alternativa istituzionale. Cina. Pechino agisce con pragmatismo, beneficiando della decisione di Trump di permetterle di acquistare petrolio iraniano. Questa mossa, probabilmente una pedina di scambio in vista di accordi commerciali, rafforza la posizione cinese senza un coinvolgimento diretto nel conflitto. Teatro operativo Boreale-Artico. L'Artico si conferma un'arena di competizione strategica ed economica. La mossa russa di inviare una metaniera sanzionata verso i suoi impianti di esportazione è la prova più evidente. Con lo scioglimento dei ghiacci e l'aumento delle tensioni geopolitiche, questa rotta diventa sempre più cruciale e contesa, sia per le risorse energetiche che per le rotte commerciali alternative. Stati Uniti. La crisi di leadership globale dell'Occidente è un riflesso della sua crisi interna. La vittoria del socialista Zohran Mamdani alle primarie di New York segnala una profonda frattura nel Partito Democratico e un'insoddisfazione crescente verso l'establishment. La società americana appare polarizzata e il suo sistema di pesi e contrappesi costituzionali è messo a dura prova dal potere bellico quasi monarchico rivendicato dal Presidente. Teatro operativo Australe-Antartico. Questo teatro, pur essendo periferico rispetto alle crisi principali, mostra segnali di cambiamento e instabilità. America Latina. La stabilità del Costa Rica, un'eccezione nella regione, è minacciata dalla crisi politica che coinvolge il presidente Chaves, accusato di finanziamento illecito. Africa Meridionale. Le violente proteste in Kenya contro le politiche fiscali e la minaccia terroristica in Mozambico evidenziano una persistente instabilità sociale e di sicurezza. Parallelamente, iniziative come il sistema di pagamenti panafricano PAPSS indicano una spinta concreta verso una maggiore sovranità economica e finanziaria. Australia. La decisione di snobbare il vertice NATO segnala un allontanamento dalla proiezione globale dell'Alleanza e un focus più regionale. Sul fronte economico, gli allevatori di ovini beneficiano di prezzi record, spinti dalla domanda globale. Indopacifico. L'Indopacifico è un teatro di ricalibrazione strategica e crescente scetticismo verso la leadership americana. Asia Orientale. La diserzione coordinata di Giappone e Corea del Sud dal vertice NATO è un segnale inequivocabile della loro frustrazione verso la politica transazionale e imprevedibile di Trump. Seul, in particolare, cerca di riaprire canali con Pechino. La memoria del 75° anniversario della Guerra di Corea funge da monito sulla perenne instabilità della penisola. Asia Sud-orientale. La marcia indietro della Thailandia sulla legalizzazione della cannabis dimostra la volatilità delle politiche interne e il loro impatto su settori economici emergenti. Tensioni evidenti con chiusura del confine tra Thailandia e Cambogia. Conseguenze geopolitiche Le conseguenze geopolitiche di questi eventi sono profonde e delineano una rapida erosione dell'influenza occidentale. La crisi della NATO è forse l'indicatore più evidente. L'impegno per il 5% di spesa militare è percepito più come un "bluff" per placare Washington che come una strategia sostenibile, mentre il plateale snobismo dei partner dell'Indo-Pacifico segna il fallimento della pretesa dell'Alleanza di proiettarsi come attore globale. La frustrazione di Tokyo per le pressioni americane, la volontà di Seul di dialogare con Pechino e i dubbi di Canberra su AUKUS dimostrano che l'abbraccio americano è visto sempre più come transazionale e inaffidabile. Questo vuoto di leadership occidentale viene pragmaticamente riempito da altri attori. La Russia, attraverso la sua narrazione "anti-coloniale" e la promozione di piattaforme alternative come i BRICS, consolida il suo ruolo di punto di riferimento per il Sud Globale. La sua strategia non è solo ideologica, ma si fonda su offerte concrete di cooperazione energetica e militare senza le condizionalità politiche occidentali. Altri Paesi, come il Pakistan, dimostrano un'eccezionale agilità nel bilanciare le relazioni con Stati Uniti e Cina, mentre l'Africa muove passi concreti verso la sovranità finanziaria con sistemi di pagamento come il PAPSS. L'intero sistema internazionale si sta riorganizzando attorno a poli di potere alternativi, meno dipendenti e meno controllabili da un Occidente percepito come diviso, auto-referenziale e in preda a crisi interne che ne minano la credibilità globale. Conseguenze strategiche Dal punto di vista strategico, le implicazioni sono ancora più allarmanti. L'attacco all'Iran, pur avendo evitato una guerra su larga scala nel breve termine, ha inferto un colpo potenzialmente letale al regime di non proliferazione nucleare. La lezione che il mondo sembra aver appreso è che la rinuncia ai programmi atomici (come fecero Iraq e Libia) espone a invasioni, mentre il possesso di armi nucleari (come nel caso della Corea del Nord) funge da garanzia di sopravvivenza. Di conseguenza, non solo l'Iran potrebbe accelerare verso la bomba, ma anche alleati storici degli Stati Uniti, come Polonia e Corea del Sud, stanno apertamente considerando di sviluppare i propri arsenali, non fidandosi più dell'ombrello protettivo americano. Si profila un mondo con più potenze nucleari e meno regole, intrinsecamente più instabile. La strategia della NATO appare altrettanto miope. L'obiettivo del 5% del PIL, oltre a essere economicamente insostenibile, si basa su un presupposto strategico fallace: quello di una minaccia russa da contenere con un riarmo convenzionale, quando la realtà sul campo in Ucraina dimostra la resilienza di Mosca. Come evidenziato dalle dichiarazioni del Ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, che ha messo in discussione la "ragione di esistere" dell'Alleanza, la NATO sembra un'organizzazione ancorata alla Guerra Fredda, incapace di comprendere un mondo multipolare e condannata a trasformarsi in un mero "cartello industriale" al servizio dei complessi militari. Conseguenze marittime Le ripercussioni sul dominio marittimo, vitale per l'economia globale, sono state immediate e tangibili. La crisi tra Stati Uniti e Iran ha provocato un crollo temporaneo del traffico marittimo attraverso lo Stretto di Hormuz, uno dei choke point più critici del pianeta. Questa paralisi, anche se breve, ha dimostrato l'estrema vulnerabilità delle catene di approvvigionamento globali a fronte di tensioni geopolitiche. L'aumento del rischio percepito si è tradotto in un'impennata dei premi assicurativi e dei costi di nolo, in particolare per il trasporto di Gas Naturale Liquefatto (GNL), con tariffe che hanno raggiunto i massimi degli ultimi otto mesi. Questo caos ha creato un'opportunità strategica per la Russia. Proprio mentre l'attenzione era concentrata sul Golfo Persico, Mosca ha riattivato la sua "flotta ombra" di metaniere sanzionate, inviandole verso gli impianti di esportazione nell'Artico per capitalizzare sui prezzi elevati e offrire un'alternativa energetica all'Europa, minando al contempo l'efficacia del regime sanzionatorio. La crisi in un teatro operativo ha così generato un vantaggio per un avversario strategico in un altro. Il naufragio della bisarca Morning Midas nel Pacifico, sebbene non collegato al conflitto, funge da crudo promemoria della fragilità intrinseca di un sistema logistico globale già sotto forte stress. Conseguenze per l’Italia Per l'Italia, le conseguenze di questo scenario sono dirette e preoccupanti. La decisione assunta al vertice NATO di puntare a una spesa militare del 5% del PIL rappresenta una sfida economica e sociale di proporzioni enormi. Le fonti citano una stima di circa 400 miliardi di euro da trovare in dieci anni, una cifra che per un'economia come quella italiana significherebbe un "salasso" insostenibile, capace di innescare una scelta drammatica tra difesa e stato sociale (welfare, sanità, istruzione). Questo impegno rischia di generare profonde tensioni politiche e sociali interne. La posizione critica espressa dal Ministro della Difesa Guido Crosetto, che ha messo in dubbio la stessa finalità della NATO nella sua forma attuale, non è una semplice boutade, ma il segnale di un profondo malessere e scetticismo all'interno delle più alte istituzioni italiane. L'Italia si trova in una posizione scomoda: pressata da un alleato americano a sostenere costi esorbitanti per una strategia percepita come fallace, mentre la sua sicurezza è minacciata più direttamente dall'instabilità nel suo vicinato, il Mediterraneo Allargato. Il declino di una leadership occidentale coerente e la frammentazione dell'Europa lasciano l'Italia più esposta alle crisi che si dipanano lungo il suo fianco sud, dal Nord Africa al Medio Oriente, rendendo la ricerca di un'autonoma bussola strategica non più un'opzione, ma una necessità. Conclusioni In conclusione, il quadro che emerge a metà 2025 è quello di un profondo disallineamento tra la percezione che l'Occidente ha di sé e la realtà di un mondo multipolare. Le azioni intraprese, dall'attacco all'Iran al vertice NATO, appaiono come reazioni tattiche e impulsive a problemi strategici, che finiscono per aggravare le crisi anziché risolverle. La subordinazione europea a un'agenda americana transazionale, la perdita di credibilità presso gli alleati chiave e l'incapacità di formulare una visione del futuro credibile stanno accelerando un declino che appare sempre più autoinflitto. Mentre l'Occidente è prigioniero delle sue divisioni interne e di narrazioni obsolete, attori come la Russia e una galassia di potenze del Sud Globale stanno costruendo, con pragmatismo, un ordine alternativo basato su interessi concreti. Di fronte a questo scenario, l'inazione non è un'opzione. Per l'Europa, e in particolare per l'Italia, è imperativo avviare una profonda riflessione strategica. In primo luogo, è necessario superare la logica del mero "placare" l'alleato americano e sviluppare una visione autonoma degli interessi europei. Ciò significa riconoscere la realtà di un mondo multipolare e impegnarsi con tutti gli attori in modo pragmatico, abbandonando le lenti della Guerra Fredda. In secondo luogo, l'Italia, in virtù della sua posizione geografica e della sua tradizione diplomatica, dovrebbe farsi promotrice di una nuova architettura di sicurezza per il Mediterraneo Allargato, un'area di interesse primario troppo spesso trascurata dalle priorità strategiche della NATO. Le parole del Ministro Crosetto dovrebbero essere il punto di partenza per un dibattito nazionale e poi europeo su quale debba essere il ruolo dell'Alleanza, spingendo per un approccio più equilibrato che non sacrifichi la stabilità del vicinato e la coesione sociale interna sull'altare di obiettivi di spesa irrealistici. La vera sfida per l'Occidente non è contenere l'ascesa degli altri, ma ritrovare una propria coerenza e visione, per evitare di scivolare verso un'irrilevanza che non è più un'ipotesi remota, ma una traiettoria manifesta. Temi da monitorare nei prossimi giorni:
I contributi sono diretta responsabilità della redazione di OHiMAG e ne rispecchiano le idee. La riproduzione, totale o parziale, è autorizzata a condizione di citare la fonte. Le informazioni qui riportate sono frutto di lettura e analisi delle seguenti fonti: Cesmar "Sintesi di Geopolitica e Geoeconomia (del giorno)"; Notizie riportate dai principali siti che si occupano di politica internazionale, geopolitica e strategia marittima (ISPI, Foreign Affairs, Inside Over, Analisi Difesa, Limes, Le Grand Continent, Atlantic Council, Chatham House, IISS, CSIS, The National Interest, War o the rocks, Responsible Statecraft, IAI, IARI, CIMSEC, Formiche.net, GCaptain, The global eye, Center for maritime strategy, Naval News, Shipmag, Navylookout, Navytimes, Rand, il Sussidiario, GeopoliticaInfo, Starmag) e dalle principali agenzie di stampa internazionali (Associated Press, Reuters, AFP, ANSA, DPA, TASS, Xinhua, etc.) relative al giorno precedente quello indicato nel titolo L'Occidente al bivio. Crisi strategica e nascita di un ordine multipolare Questa analisi è stata preparata in collaborazione con cesmar.it La sintesi non rappresenta un'analisi originale, ma una riorganizzazione strutturata delle informazioni raccolte. Introduzione
L'analisi del panorama internazionale a metà del 2025, come emerge da una serie di articoli di varie testate on line, restituisce l'immagine di un ordine mondiale in profonda e accelerata transizione. Le fondamenta del sistema liberale a guida occidentale appaiono erose da una crisi sistemica che ne mina la credibilità istituzionale, la coesione delle alleanze storiche e la lucidità strategica. Due eventi emblematici, verificatisi quasi in contemporanea, cristallizzano questa dinamica: un attacco militare statunitense contro l'Iran, seguito da una fragile tregua, e un vertice NATO all'Aja che, lungi dal sancire una rinnovata unità, ha esposto le fratture interne e la subordinazione europea a un'agenda americana transazionale e imprevedibile. Questi avvenimenti non sono incidenti isolati, ma sintomi di un riallineamento globale, dove la debolezza strategica dell'Occidente fa da contraltare all'ascesa pragmatica di un mondo multipolare. La presente sintesi, basandosi sull'elaborazione dei testi forniti, intende analizzare i fatti principali, esplorarne le conseguenze geopolitiche, strategiche e marittime, valutarne l'impatto specifico per l'Italia e, infine, formulare raccomandazioni per navigare la complessità di questo nuovo scenario. Evento clou della giornata L'evento catalizzatore è rappresentato dal vertice NATO dell'Aja del 25 giugno 2025 che dai media mondiali viene descritto come la fotografia di una profonda crisi esistenziale per l'Alleanza. Orchestrato principalmente per placare il presidente americano Donald Trump, l'incontro ha evidenziato la subordinazione strategica dell'Europa, culminata nell'impegno ad aumentare la spesa militare al 5% del PIL entro il 2035. Questa decisione è però considerata un "bluff" economicamente insostenibile per i partner europei, che richiederebbe drastici tagli al welfare. Anche la sua logica strategica, basata su una presunta minaccia russa, appare fallace. Il vertice ha inoltre sancito il fallimento della proiezione globale della NATO: i leader dei principali partner dell'Indo-Pacifico (Giappone, Corea del Sud, Australia) hanno disertato l'appuntamento, frustrati dalla politica transazionale di Washington. Questa assenza coordinata dimostra la perdita di credibilità e attrattiva di un'alleanza prigioniera delle sue contraddizioni, sempre più ripiegata su sé stessa e incapace di formulare una visione comune per un mondo multipolare. I fatti Il quadro fattuale descritto dalle fonti si articola attorno a due epicentri di crisi interconnessi: il Medio Oriente e l'Europa. Il primo evento catalizzatore è l'operazione militare "Midnight Hammer", un attacco aereo condotto dagli Stati Uniti contro i siti nucleari iraniani. Sebbene l'amministrazione americana ne abbia rivendicato il successo, le valutazioni dell'intelligence indicano un risultato modesto, con un ritardo inflitto al programma di Teheran di soli pochi mesi. A questa escalation è seguita una tregua inaspettata tra Israele e Iran, orchestrata dal presidente Donald Trump. Contemporaneamente, si è svolto all'Aja un vertice NATO deliberatamente accorciato a meno di 24 ore. L'esito principale è stato l'impegno formale degli alleati ad aumentare la spesa per la difesa al 5% del PIL entro il 2035. Le cronache del vertice riportano un clima di sottomissione europea, simboleggiato da un messaggio del Segretario Generale Mark Rutte a Trump, e una significativa assenza: i leader dei principali partner dell'Indo-Pacifico—Giappone, Corea del Sud e Australia—hanno disertato l'incontro, inviando delegati di rango inferiore. Mentre l'Occidente era impegnato in queste dinamiche, il Forum Economico di San Pietroburgo (SPIEF) ha visto il presidente russo Vladimir Putin articolare una visione per un ordine multipolare alternativo, presentandosi come leader di una rivolta del "Sud Globale". A questo si aggiunge la profonda polarizzazione interna agli Stati Uniti, esemplificata dalla vittoria di un candidato socialista alle primarie di New York e da una latente crisi costituzionale nei riguardi del Presidente. Sintesi per Teatro Operativo Mediterraneo Allargato. Questo teatro è l'epicentro della crisi globale. Vicino Oriente e Golfo Persico. La tregua tra Israele e Iran, imposta da Trump, è l'evento dominante. Pur avendo evitato una guerra, ha evidenziato il fallimento strategico dell'attacco USA all'Iran, creando le premesse per una futura proliferazione nucleare. Per il premier israeliano Netanyahu, l'attacco rappresenta un'opportunità per ridefinire la sua eredità, offuscata dalla gestione della guerra a Gaza. Europa Meridionale e Mar Nero. Il vertice NATO dell'Aja si è rivelato un "bluff monumentale". L'impegno per il 5% del PIL in difesa è visto come insostenibile, con la Spagna che ha già annunciato il suo dissenso. Le parole del ministro italiano Crosetto, che ha messo in dubbio la "ragione d'esistere" della NATO nella sua forma attuale, e l'adulazione del Segretario Generale Rutte verso Trump, dipingono il quadro di un'alleanza in crisi esistenziale e in condizione di vassallaggio. L'UE, fratturata al suo interno, non riesce a formulare una politica unitaria. Mar Rosso e Corno d’Africa La minaccia jihadista persiste, come dimostra il rapimento di 120 bambini da parte di gruppi legati all'ISIS in Mozambico, destabilizzando aree cruciali per le risorse energetiche. Pakistan. Dimostra notevole agilità diplomatica, mantenendo una partnership di sicurezza con gli USA mentre approfondisce i legami strategici con la Cina, incarnando la navigazione pragmatica delle potenze medie nel nuovo disordine mondiale. Heartland euro-asiatico. Questo teatro vede l'avanzata di un ordine alternativo. Russia. Mosca capitalizza sul caos globale. Mentre l'Occidente è distratto dal Medio Oriente, la Russia riattiva i suoi asset energetici sanzionati nell'Artico per sfruttare i prezzi elevati del GNL. Il Forum di San Pietroburgo (SPIEF) ha consolidato la narrativa di Putin di una Russia leader di una rivolta del Sud Globale contro un ordine "neocoloniale", promuovendo la de-dollarizzazione e i BRICS come alternativa istituzionale. Cina. Pechino agisce con pragmatismo, beneficiando della decisione di Trump di permetterle di acquistare petrolio iraniano. Questa mossa, probabilmente una pedina di scambio in vista di accordi commerciali, rafforza la posizione cinese senza un coinvolgimento diretto nel conflitto. Teatro operativo Boreale-Artico. L'Artico si conferma un'arena di competizione strategica ed economica. La mossa russa di inviare una metaniera sanzionata verso i suoi impianti di esportazione è la prova più evidente. Con lo scioglimento dei ghiacci e l'aumento delle tensioni geopolitiche, questa rotta diventa sempre più cruciale e contesa, sia per le risorse energetiche che per le rotte commerciali alternative. Stati Uniti. La crisi di leadership globale dell'Occidente è un riflesso della sua crisi interna. La vittoria del socialista Zohran Mamdani alle primarie di New York segnala una profonda frattura nel Partito Democratico e un'insoddisfazione crescente verso l'establishment. La società americana appare polarizzata e il suo sistema di pesi e contrappesi costituzionali è messo a dura prova dal potere bellico quasi monarchico rivendicato dal Presidente. Teatro operativo Australe-Antartico. Questo teatro, pur essendo periferico rispetto alle crisi principali, mostra segnali di cambiamento e instabilità. America Latina. La stabilità del Costa Rica, un'eccezione nella regione, è minacciata dalla crisi politica che coinvolge il presidente Chaves, accusato di finanziamento illecito. Africa Meridionale. Le violente proteste in Kenya contro le politiche fiscali e la minaccia terroristica in Mozambico evidenziano una persistente instabilità sociale e di sicurezza. Parallelamente, iniziative come il sistema di pagamenti panafricano PAPSS indicano una spinta concreta verso una maggiore sovranità economica e finanziaria. Australia. La decisione di snobbare il vertice NATO segnala un allontanamento dalla proiezione globale dell'Alleanza e un focus più regionale. Sul fronte economico, gli allevatori di ovini beneficiano di prezzi record, spinti dalla domanda globale. Indopacifico. L'Indopacifico è un teatro di ricalibrazione strategica e crescente scetticismo verso la leadership americana. Asia Orientale. La diserzione coordinata di Giappone e Corea del Sud dal vertice NATO è un segnale inequivocabile della loro frustrazione verso la politica transazionale e imprevedibile di Trump. Seul, in particolare, cerca di riaprire canali con Pechino. La memoria del 75° anniversario della Guerra di Corea funge da monito sulla perenne instabilità della penisola. Asia Sud-orientale. La marcia indietro della Thailandia sulla legalizzazione della cannabis dimostra la volatilità delle politiche interne e il loro impatto su settori economici emergenti. Tensioni evidenti con chiusura del confine tra Thailandia e Cambogia. Conseguenze geopolitiche Le conseguenze geopolitiche di questi eventi sono profonde e delineano una rapida erosione dell'influenza occidentale. La crisi della NATO è forse l'indicatore più evidente. L'impegno per il 5% di spesa militare è percepito più come un "bluff" per placare Washington che come una strategia sostenibile, mentre il plateale snobismo dei partner dell'Indo-Pacifico segna il fallimento della pretesa dell'Alleanza di proiettarsi come attore globale. La frustrazione di Tokyo per le pressioni americane, la volontà di Seul di dialogare con Pechino e i dubbi di Canberra su AUKUS dimostrano che l'abbraccio americano è visto sempre più come transazionale e inaffidabile. Questo vuoto di leadership occidentale viene pragmaticamente riempito da altri attori. La Russia, attraverso la sua narrazione "anti-coloniale" e la promozione di piattaforme alternative come i BRICS, consolida il suo ruolo di punto di riferimento per il Sud Globale. La sua strategia non è solo ideologica, ma si fonda su offerte concrete di cooperazione energetica e militare senza le condizionalità politiche occidentali. Altri Paesi, come il Pakistan, dimostrano un'eccezionale agilità nel bilanciare le relazioni con Stati Uniti e Cina, mentre l'Africa muove passi concreti verso la sovranità finanziaria con sistemi di pagamento come il PAPSS. L'intero sistema internazionale si sta riorganizzando attorno a poli di potere alternativi, meno dipendenti e meno controllabili da un Occidente percepito come diviso, auto-referenziale e in preda a crisi interne che ne minano la credibilità globale. Conseguenze strategiche Dal punto di vista strategico, le implicazioni sono ancora più allarmanti. L'attacco all'Iran, pur avendo evitato una guerra su larga scala nel breve termine, ha inferto un colpo potenzialmente letale al regime di non proliferazione nucleare. La lezione che il mondo sembra aver appreso è che la rinuncia ai programmi atomici (come fecero Iraq e Libia) espone a invasioni, mentre il possesso di armi nucleari (come nel caso della Corea del Nord) funge da garanzia di sopravvivenza. Di conseguenza, non solo l'Iran potrebbe accelerare verso la bomba, ma anche alleati storici degli Stati Uniti, come Polonia e Corea del Sud, stanno apertamente considerando di sviluppare i propri arsenali, non fidandosi più dell'ombrello protettivo americano. Si profila un mondo con più potenze nucleari e meno regole, intrinsecamente più instabile. La strategia della NATO appare altrettanto miope. L'obiettivo del 5% del PIL, oltre a essere economicamente insostenibile, si basa su un presupposto strategico fallace: quello di una minaccia russa da contenere con un riarmo convenzionale, quando la realtà sul campo in Ucraina dimostra la resilienza di Mosca. Come evidenziato dalle dichiarazioni del Ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, che ha messo in discussione la "ragione di esistere" dell'Alleanza, la NATO sembra un'organizzazione ancorata alla Guerra Fredda, incapace di comprendere un mondo multipolare e condannata a trasformarsi in un mero "cartello industriale" al servizio dei complessi militari. Conseguenze marittime Le ripercussioni sul dominio marittimo, vitale per l'economia globale, sono state immediate e tangibili. La crisi tra Stati Uniti e Iran ha provocato un crollo temporaneo del traffico marittimo attraverso lo Stretto di Hormuz, uno dei choke point più critici del pianeta. Questa paralisi, anche se breve, ha dimostrato l'estrema vulnerabilità delle catene di approvvigionamento globali a fronte di tensioni geopolitiche. L'aumento del rischio percepito si è tradotto in un'impennata dei premi assicurativi e dei costi di nolo, in particolare per il trasporto di Gas Naturale Liquefatto (GNL), con tariffe che hanno raggiunto i massimi degli ultimi otto mesi. Questo caos ha creato un'opportunità strategica per la Russia. Proprio mentre l'attenzione era concentrata sul Golfo Persico, Mosca ha riattivato la sua "flotta ombra" di metaniere sanzionate, inviandole verso gli impianti di esportazione nell'Artico per capitalizzare sui prezzi elevati e offrire un'alternativa energetica all'Europa, minando al contempo l'efficacia del regime sanzionatorio. La crisi in un teatro operativo ha così generato un vantaggio per un avversario strategico in un altro. Il naufragio della bisarca Morning Midas nel Pacifico, sebbene non collegato al conflitto, funge da crudo promemoria della fragilità intrinseca di un sistema logistico globale già sotto forte stress. Conseguenze per l’Italia Per l'Italia, le conseguenze di questo scenario sono dirette e preoccupanti. La decisione assunta al vertice NATO di puntare a una spesa militare del 5% del PIL rappresenta una sfida economica e sociale di proporzioni enormi. Le fonti citano una stima di circa 400 miliardi di euro da trovare in dieci anni, una cifra che per un'economia come quella italiana significherebbe un "salasso" insostenibile, capace di innescare una scelta drammatica tra difesa e stato sociale (welfare, sanità, istruzione). Questo impegno rischia di generare profonde tensioni politiche e sociali interne. La posizione critica espressa dal Ministro della Difesa Guido Crosetto, che ha messo in dubbio la stessa finalità della NATO nella sua forma attuale, non è una semplice boutade, ma il segnale di un profondo malessere e scetticismo all'interno delle più alte istituzioni italiane. L'Italia si trova in una posizione scomoda: pressata da un alleato americano a sostenere costi esorbitanti per una strategia percepita come fallace, mentre la sua sicurezza è minacciata più direttamente dall'instabilità nel suo vicinato, il Mediterraneo Allargato. Il declino di una leadership occidentale coerente e la frammentazione dell'Europa lasciano l'Italia più esposta alle crisi che si dipanano lungo il suo fianco sud, dal Nord Africa al Medio Oriente, rendendo la ricerca di un'autonoma bussola strategica non più un'opzione, ma una necessità. Conclusioni In conclusione, il quadro che emerge a metà 2025 è quello di un profondo disallineamento tra la percezione che l'Occidente ha di sé e la realtà di un mondo multipolare. Le azioni intraprese, dall'attacco all'Iran al vertice NATO, appaiono come reazioni tattiche e impulsive a problemi strategici, che finiscono per aggravare le crisi anziché risolverle. La subordinazione europea a un'agenda americana transazionale, la perdita di credibilità presso gli alleati chiave e l'incapacità di formulare una visione del futuro credibile stanno accelerando un declino che appare sempre più autoinflitto. Mentre l'Occidente è prigioniero delle sue divisioni interne e di narrazioni obsolete, attori come la Russia e una galassia di potenze del Sud Globale stanno costruendo, con pragmatismo, un ordine alternativo basato su interessi concreti. Di fronte a questo scenario, l'inazione non è un'opzione. Per l'Europa, e in particolare per l'Italia, è imperativo avviare una profonda riflessione strategica. In primo luogo, è necessario superare la logica del mero "placare" l'alleato americano e sviluppare una visione autonoma degli interessi europei. Ciò significa riconoscere la realtà di un mondo multipolare e impegnarsi con tutti gli attori in modo pragmatico, abbandonando le lenti della Guerra Fredda. In secondo luogo, l'Italia, in virtù della sua posizione geografica e della sua tradizione diplomatica, dovrebbe farsi promotrice di una nuova architettura di sicurezza per il Mediterraneo Allargato, un'area di interesse primario troppo spesso trascurata dalle priorità strategiche della NATO. Le parole del Ministro Crosetto dovrebbero essere il punto di partenza per un dibattito nazionale e poi europeo su quale debba essere il ruolo dell'Alleanza, spingendo per un approccio più equilibrato che non sacrifichi la stabilità del vicinato e la coesione sociale interna sull'altare di obiettivi di spesa irrealistici. La vera sfida per l'Occidente non è contenere l'ascesa degli altri, ma ritrovare una propria coerenza e visione, per evitare di scivolare verso un'irrilevanza che non è più un'ipotesi remota, ma una traiettoria manifesta. Temi da monitorare nei prossimi giorni:
I contributi sono diretta responsabilità della redazione di OHiMAG e ne rispecchiano le idee. La riproduzione, totale o parziale, è autorizzata a condizione di citare la fonte. Le informazioni qui riportate sono frutto di lettura e analisi delle seguenti fonti: Cesmar "Sintesi di Geopolitica e Geoeconomia (del giorno)"; Notizie riportate dai principali siti che si occupano di politica internazionale, geopolitica e strategia marittima (ISPI, Foreign Affairs, Inside Over, Analisi Difesa, Limes, Le Grand Continent, Atlantic Council, Chatham House, IISS, CSIS, The National Interest, War o the rocks, Responsible Statecraft, IAI, IARI, CIMSEC, Formiche.net, GCaptain, The global eye, Center for maritime strategy, Naval News, Shipmag, Navylookout, Navytimes, Rand, il Sussidiario, GeopoliticaInfo, Starmag) e dalle principali agenzie di stampa internazionali (Associated Press, Reuters, AFP, ANSA, DPA, TASS, Xinhua, etc.) relative al giorno precedente quello indicato nel titolo Geopolitica e Potere nell'Era della Realpolitik Questa analisi è stata preparata in collaborazione con cesmar.it La sintesi non rappresenta un'analisi originale, ma una riorganizzazione strutturata delle informazioni raccolte. Introduzione
La giornata del 24 giugno 2025 si apre su un panorama internazionale dominato da una "grandissima incertezza", il cui epicentro è la fragile tregua imposta dagli Stati Uniti tra Israele e Iran. Questo evento, culminato in un precario cessate il fuoco voluto dall'amministrazione Trump dopo un breve ma intenso conflitto, non è una soluzione, ma una pausa precaria in un "Grande Gioco" globale. Agisce come un potente prisma attraverso cui osservare le forze tettoniche che rimodellano l'ordine mondiale, propagando le proprie onde d'urto attraverso tutti i principali teatri operativi. L'analisi incrociata dei fatti rivela un mondo plasmato da una leadership americana assertiva e imprevedibile, dalla reazione forzata delle altre potenze, e da tre dinamiche interconnesse che definiscono la nostra epoca. Anzitutto, il ritorno brutale di una Realpolitik spietata che archivia le illusioni post-Guerra Fredda. Segue l'impatto dirompente di un potere americano paradossale, capace di assertività unilaterale per imporre la propria volontà, e al contempo di un'attiva abdicazione alla leadership multilaterale. Infine, l'ascesa della "guerra delle narrazioni" come campo di battaglia decisivo, dove la propaganda e la percezione diventano armi strategiche tanto efficaci quanto i sistemi d'arma convenzionali. Questa analisi, attingendo ai saggi di autorevoli commentatori, intende decostruire i fatti, esplorarne le profonde conseguenze geopolitiche, strategiche e marittime, e infine valutarne l'impatto diretto sull'Italia, nazione inevitabilmente al crocevia di queste tensioni globali. I fatti La giornata del 24 giugno 2025 è dominata da un evento catalizzatore di portata globale: l'imposizione di un cessate il fuoco tra Israele e Iran da parte dell'amministrazione statunitense di Donald Trump. Questa tregua, giunta dopo un'intensa ma breve campagna militare israeliana contro le infrastrutture nucleari e strategiche iraniane, non rappresenta una risoluzione diplomatica, ma una mossa tattica di Washington per evitare un'escalation incontrollabile e riaffermare il proprio ruolo di arbitro globale. La situazione che ne deriva è di profonda instabilità: Israele potrebbe non aver raggiunto l'obiettivo di negare permanentemente la capacità nucleare a Teheran, mentre l'Iran, pur umiliato e con la sua capacità di deterrenza "demolita", ha dimostrato una capacità di reazione superiore alle attese. La tregua, percepita come fragile, lascia la comunità internazionale in apprensione, costretta a decifrare le mosse di un'amministrazione americana imprevedibile, il cui stile oscilla tra la "Mad Man Theory" e la transazionalità pragmatica. Oltre l'evento stesso, la giornata rivela le profonde logiche geo-strategiche in atto. L'offensiva israeliana, sostenuta dagli USA, appare come parte di un disegno più ampio volto a rimodellare l'equilibrio di potere mediorientale e, per estensione, a colpire l'asse eurasiatico. L'indebolimento dell'Iran è un colpo diretto al "ventre molle" meridionale della Russia e a un nodo cruciale della Belt and Road Initiative cinese, sabotando di fatto il progetto di integrazione economica promosso da Mosca e Pechino. Parallelamente al conflitto militare, emerge con forza una "guerra delle narrazioni". Israele adotta strategie di propaganda simili a quelle ucraine, esagerando la minaccia ("i missili iraniani possono colpire Roma") e presentando il proprio scontro come una difesa avanzata dell'Occidente. Questa tattica, amplificata acriticamente in Europa, mette a nudo l'ipocrisia di nazioni come la Germania, che condannano Teheran pur mantenendo solidi legami commerciali. Infine, il conflitto crea letali vuoti di potere: l'attentato dell'ISIS a Damasco è un sintomo della fragilità del nuovo regime siriano, dimostrando come la fine di un'autocrazia possa generare un caos ancora più pericoloso. Le ripercussioni si estendono ben oltre la regione, innescando un profondo ricalcolo nelle relazioni internazionali. L'alleanza transatlantica è scossa dall'inaffidabilità americana, spingendo l'Europa verso un riarmo forzato e la ricerca di una maggiore "autonomia strategica", come testimoniano gli impegni di spesa di Regno Unito e Germania. La fiducia nell'alleato americano è compromessa, costringendo l'Europa a prepararsi per un mondo più realista e spietato. Questo scenario è inoltre permeato da illusioni strategiche, come la fantasia di un "regime change" pilotato in Iran, che ignora la mancanza di alternative politiche credibili e i fallimenti storici degli interventi esterni. Sul piano geoeconomico, la marittimità si conferma l'arena decisiva della competizione globale. Sebbene l'attenzione sia sul Golfo Persico, la postura navale nell'Indopacifico tra USA e Cina rimane il fattore strutturante a lungo termine. Queste dinamiche si manifestano in modo differenziato nei teatri operativi. Il Mediterraneo Allargato è l'epicentro della crisi, definito dalla tregua instabile, dalla minaccia del ritorno dell'ISIS in Siria e dalla corsa europea al riarmo. L'Heartland euro-asiatico subisce un colpo strategico con l'indebolimento dell'Iran. L'Indopacifico rimane il teatro principale della competizione strutturale USA-Cina, dove la crisi mediorientale funge da test per la dottrina Trump, attentamente studiata da alleati e avversari. I teatri Boreale e Australe sono toccati più indirettamente, il primo dalla rinnovata attenzione NATO alla Russia, il secondo rimanendo ai margini della conflittualità attuale. In sintesi, il 24 giugno 2025 mostra un mondo interconnesso dove un singolo evento può innescare una catena di conseguenze strategiche, economiche e militari su scala planetaria. Conseguenze Geopolitiche Le conseguenze geopolitiche di questi eventi sono di portata globale e si manifestano come un "effetto domino", secondo la tesi di Francesco Sisci (formiche.net.) L'indebolimento strategico dell'Iran, perno della nebulosa anti-occidentale, si ripercuote direttamente sui suoi alleati. La Russia, già impantanata in Ucraina, perde un fornitore chiave e un partner strategico. La Cina, che aveva sostenuto le cause perdenti di Mosca e dei palestinesi, osserva in un silenzio che suggerisce un cauto ripensamento della propria politica estera. La mossa americana, come ipotizza Carnelos (InsideOver), potrebbe essere parte di un "Grande Gioco" più vasto, volto a "far abortire l'embrionale ordine globale autonomo dalla leadership USA". Colpire l'Iran significa colpire il "ventre molle" meridionale della Russia e un nodo cruciale della Belt and Road Initiative, sabotando di fatto l'intero progetto di integrazione eurasiatica promosso dall'asse Mosca-Pechino. Al contempo, la crisi crea vuoti di potere letali. L'analisi di Fulvio Scaglione (InsideOver) sulla Siria è emblematica: mentre l'attenzione internazionale è concentrata sullo scontro tra potenze, la debolezza del nuovo regime post-Assad crea il terreno fertile per il ritorno dell'ISIS, come dimostra l'attentato alla chiesa di Damasco. La fine di un regime, si conferma, non genera automaticamente stabilità, ma spesso un caos ancora più pericoloso. Conseguenze Strategiche Sul piano strategico, assistiamo a un profondo cambiamento di paradigma. La dottrina Trump, come emerge dalle analisi, è intrinsecamente contraddittoria. Da un lato, dimostra una capacità di coercizione unilaterale, imponendo soluzioni tattiche e agendo da "piromane e pompiere" nel medesimo conflitto. Dall'altro, questa assertività si accompagna a un'abdicazione alla leadership su questioni globali, come evidenziato dal Dr. Isa Elegbede (The National interest) riguardo alla Conferenza ONU sugli Oceani, dove gli Stati Uniti si isolano dal consenso globale sulla protezione marina, cedendo influenza e opportunità economiche. Questa schizofrenia strategica costringe gli alleati, in particolare l'Europa, a una dolorosa presa di coscienza. Come descritto da Gideon Rose ed Erik Jones (Foreign Affairs), il Vecchio Continente si trova a combattere una "guerra su due fronti": contro l'aggressione russa a est e l'inaffidabilità americana a ovest. La risposta è un ritorno forzato alla Realpolitik e a un riarmo senza precedenti, simboleggiato dall'impegno del Regno Unito a spendere il 5% del PIL in sicurezza (come riporta Gabriele Carrer su formiche.net) e dall'annuncio tedesco di un maxi-piano per la difesa (Andrea Muratore su InsideOver). La logica della "peace through strength" diventa il nuovo mantra della NATO: la forza militare non è più vista come un'alternativa alla diplomazia, ma come la sua precondizione necessaria. Parallelamente, la crisi mediorientale smaschera le illusioni strategiche, come la fantasia di un "regime change" pilotato in Iran. Le analisi di Francesca Salvatore (InsideOver) ed Elfadil Ibrahim (Responsible Statecraft) demoliscono l'idea di un ritorno dello Scià, evidenziando la mancanza di un'alternativa politica credibile e unificata a Teheran e il rischio, comprovato dalla storia recente, che interventi esterni producano solo vuoti di potere e catastrofi umanitarie. Conseguenze marittime Le conseguenze marittime di questo nuovo scenario sono centrali e strutturali. L'intera contesa globale, come emerge chiaramente, ha nel potere marittimo il suo baricentro. Il dibattito strategico interno agli Stati Uniti, messo a nudo dalla critica di Chuck Ridgway (CIMSEC) a Elbridge Colby (The National Interest), rivela una profonda incomprensione, da parte di alcuni settori dell'establishment, della natura olistica del potere navale, che non è solo forza da combattimento ma anche strumento di pressione economica e di sostegno all'ordine globale. Mentre Washington dibatte, la Cina agisce: le operazioni simultanee delle sue portaerei oltre la "seconda catena di isole", riportate da Kosuke Takahashi, dimostrano una crescente capacità di proiezione di potenza volta a negare un eventuale intervento americano a Taiwan. Tuttavia, questa potenza di superficie nasconde una vulnerabilità critica, come rivela l'analisi di Ryan D. Martinson (CIMSEC)su documenti interni alla marina cinese: la flotta sottomarina di Pechino è estremamente esposta ai sistemi di sorveglianza USA, minando la credibilità della sua deterrenza. In questo contesto, il ruolo degli alleati diventa cruciale. Il dispiegamento della portaerei britannica HMS Prince of Wales a Singapore, descritto da Dzirhan Mahadzir (USNI news), e l'accordo AUKUS, analizzato da Matteo Momigliano (Geopolitica.info), non sono solo dimostrazioni di forza, ma atti di diplomazia navale volti a rafforzare una coalizione di potenze marittime. L'innovazione tecnologica, come il "Progetto CABOT" della Royal Navy per una barriera anti-sottomarino autonoma, diventa un fattore decisivo per mantenere un vantaggio strategico nella vastità degli oceani. Infine, a questa guerra combattuta si affianca una guerra di percezioni, come dimostra l'analisi semiotica di Giovanna Zavettieri (Geopolitica.info): i media del Golfo trasformano mappe e immagini in armi, rappresentando lo Stretto di Hormuz come una "soglia critica" e il territorio iraniano come uno spazio penetrabile, partecipando attivamente alla costruzione discorsiva del conflitto. Conseguenze per l’Italia Per l'Italia, le conseguenze di questo scenario sono dirette e multiformi. Trovandosi al centro del Mediterraneo Allargato, il nostro Paese è sulla linea del fronte delle crisi che si dipanano dal Nord Africa al Medio Oriente. L'instabilità in Libia, esacerbata dalla competizione tra Russia e attori occidentali, come descritto da Ferruccio Michelin (formiche.net), rappresenta una minaccia diretta alla sicurezza energetica e alla gestione dei flussi migratori. L'approccio italiano, che utilizza la "diplomazia economica" per contrastare l'influenza russa a Bengasi, è un esempio di come l'Italia debba agire proattivamente per difendere i propri interessi in questo teatro. Inoltre, il dibattito sulla propaganda, sollevato da Gianandrea Gaiani (AnalisiDifesa), riguarda direttamente l'Italia. Essendo un membro chiave della NATO e dell'UE, il nostro Paese è un bersaglio primario delle narrazioni volte a orientare l'opinione pubblica e le decisioni politiche, come quella che presenta il conflitto israelo-iraniano come una "difesa avanzata dell'Europa". La capacità di decodificare criticamente queste narrazioni, riconoscendo le ipocrisie e i doppi standard, diventa una questione di sicurezza nazionale. Infine, il riarmo europeo e il nuovo corso della NATO, con la Germania in testa, pongono l'Italia di fronte a una scelta strategica ineludibile: partecipare attivamente alla costruzione di un pilastro della difesa europea, sfruttando le competenze della propria industria (come Fincantieri e Leonardo, menzionate a proposito del supporto alle fregate FREMM), o rischiare la marginalizzazione in un'alleanza che sta ridefinendo i propri equilibri interni. Conclusioni e possibili sviluppi In conclusione, il mondo del 24 giugno 2025 è in bilico, sospeso tra una pax americana imposta con la forza e il rischio di un'escalation incontrollata. Siamo entrati in una nuova fase di competizione spietata, definita dal ritorno della Realpolitik e da una leadership statunitense tatticamente efficace ma strategicamente imprevedibile, in cui la pace appare non come un obiettivo, ma come una precaria parentesi tra conflitti. La fragile tregua in Medio Oriente non ha risolto alcun problema fondamentale; al contrario, ha agito da catalizzatore, accelerando il riallineamento delle potenze globali e costringendo ogni attore a ricalibrare le proprie strategie. La guerra non è più solo una questione di armi, ma un complesso intreccio di manovre militari, pressione economica e, soprattutto, controllo della narrazione. In questo ambiente volatile, alcuni temi richiederanno massima attenzione nei prossimi giorni. Primo fra tutti, la tenuta della tregua israelo-iraniana, dalla quale dipenderà la scelta di Teheran tra la ricostruzione o una clandestina e determinata corsa al nucleare. Cruciale sarà anche la stabilità della Siria, il cui collasso potrebbe generare un nuovo santuario per l'ISIS ai confini dell'Europa. Sul piano globale, si osserverà la ricalibrazione dell'asse Russia-Cina in risposta all'indebolimento del loro alleato iraniano. Infine, sarà messa alla prova la concretezza dell'autonomia europea, che dovrà tradurre le dichiarazioni sul riarmo in fatti tangibili. Questa è una sfida esistenziale che impone all'Occidente, e all'Italia, di abbandonare le illusioni di un mondo cooperativo. È imperativo sviluppare una robusta capacità di analisi critica per distinguere la realtà strategica dalle illusioni propagandistiche, investire coerentemente in difesa per garantire autonomia d'azione, e assumere un ruolo da protagonista nella costruzione di una sicurezza europea. In questo nuovo mondo, la capacità di anticipare le minacce e agire con lucidità non è un'opzione, ma una necessità per la sopravvivenza. I contributi sono diretta responsabilità della redazione di OHiMAG e ne rispecchiano le idee. La riproduzione, totale o parziale, è autorizzata a condizione di citare la fonte. Le informazioni qui riportate sono frutto di lettura e analisi delle seguenti fonti: Cesmar "Sintesi di Geopolitica e Geoeconomia (del giorno)"; Notizie riportate dai principali siti che si occupano di politica internazionale, geopolitica e strategia marittima (ISPI, Foreign Affairs, Inside Over, Analisi Difesa, Limes, Le Grand Continent, Atlantic Council, Chatham House, IISS, CSIS, The National Interest, War o the rocks, Responsible Statecraft, IAI, IARI, CIMSEC, Formiche.net, GCaptain, The global eye, Center for maritime strategy, Naval News, Shipmag, Navylookout, Navytimes, Rand, il Sussidiario, GeopoliticaInfo, Starmag) e dalle principali agenzie di stampa internazionali (Associated Press, Reuters, AFP, ANSA, DPA, TASS, Xinhua, etc.) relative al giorno precedente quello indicato nel titolo L'Escalation nel Golfo e la Crisi dell'Ordine Globale Questa analisi è stata preparata in collaborazione con cesmar.it La sintesi non rappresenta un'analisi originale, ma una riorganizzazione strutturata delle informazioni raccolte. Introduzione
Il 24 giugno 2025 si apre su uno scacchiere globale infiammato, il cui epicentro è la drammatica escalation militare nel Golfo Persico. Il confronto diretto tra Iran, Israele e Stati Uniti, dopo settimane di tensioni crescenti, ha raggiunto un punto di non ritorno, per poi essere apparentemente arrestato da un'inaspettata svolta diplomatica. L'operazione israeliana "Rising Lion" ha segnato un cambio di paradigma, colpendo non solo siti nucleari ma anche infrastrutture energetiche strategiche iraniane, mossa a cui ha fatto seguito un massiccio bombardamento americano e una calcolata rappresaglia di Teheran. La sintesi che segue, basandosi su un corpus di reportage e analisi di fonti come InsideOver, Foreign Affairs e Reuters, si propone di decostruire la cronaca di questi eventi e di esplorarne le profonde conseguenze. Lungi dal rappresentare un isolato conflitto regionale, questa crisi agisce da catalizzatore, mettendo a nudo una rischiosa riconfigurazione della strategia globale americana e accelerando la frammentazione di un ordine internazionale già precario. L'annuncio a sorpresa di un cessate il fuoco da parte del Presidente Donald Trump, dopo aver personalmente ordinato un attacco di vasta portata, non chiude la crisi, ma ne rivela la complessità. Questa apparente contraddizione tra l'uso brutale della forza e l'improvvisa apertura diplomatica è la chiave di lettura per comprendere le nuove dinamiche del potere mondiale. L'analisi che segue esaminerà le implicazioni geopolitiche, strategiche e marittime di questi eventi, valutandone infine l'impatto per un attore come l'Italia, profondamente integrato in un'architettura di sicurezza euro-atlantica ora sottoposta a uno stress test senza precedenti. Il saggio argomenterà che la "guerra dei dodici giorni" non è un episodio, ma il sintomo di una transizione epocale, un mondo in cui le regole della guerra, della diplomazia e del commercio vengono riscritte in tempo reale. I fatti
Conseguenze geopolitiche L'escalation militare nel Golfo Persico del giugno 2025 ha innescato una profonda e immediata riconfigurazione geopolitica globale, le cui onde d'urto hanno scosso le fondamenta delle alleanze consolidate in tutti i principali teatri operativi. Lungi dal riaffermare un'egemonia unipolare, l'azione militare ha agito da catalizzatore per l'accelerazione di un ordine mondiale più frammentato, polarizzato e pericolosamente instabile. L'epicentro di questo sisma geostrategico è, naturalmente, il Mediterraneo Allargato. Qui, il conflitto diretto tra Israele e Iran, con il coinvolgimento attivo degli Stati Uniti, ha dimostrato il fallimento della deterrenza convenzionale. Come avvertono lucidamente Hussein Agha e Robert Malley su Foreign Affairs, l'apparente successo militare occidentale rischia di essere un "trionfalismo" miope e pericoloso. Ignorare le profonde correnti storiche di umiliazione e rabbia che animano la regione potrebbe generare una contro-reazione asimmetrica e terroristica, rendendo l'intero arco di crisi, dal Levante al Nord Africa, ancora più insicuro. In questo contesto, la Russia ha abilmente sfruttato la situazione, assumendo una postura ambivalente ma strategicamente vantaggiosa. Pur condannando formalmente gli attacchi come una violazione del diritto internazionale, si è immediatamente posizionata come mediatore indispensabile, cercando di capitalizzare la crisi per rafforzare la propria influenza nel Mar Nero e nel Caucaso, a scapito di un'Europa apparsa divisa e strategicamente irrilevante. La crisi si è riverberata con forza sull'Heartland euro-asiatico, dove ha avuto l'effetto di cementare l'asse strategico tra Russia, Iran e Cina. L'incontro a Mosca tra il ministro degli Esteri iraniano e il presidente Putin non è stato un semplice atto di solidarietà, ma la riaffermazione di un fronte comune contro quello che i tre Paesi percepiscono come un accerchiamento e una minaccia esistenziale da parte dell'Occidente. Per la Russia, la destabilizzazione del Medio Oriente rappresenta un indubbio vantaggio tattico, poiché distoglie l'attenzione e le preziose risorse militari e finanziarie occidentali dal fronte ucraino. Per la Cina, la situazione è più complessa: se da un lato la crisi mette a rischio la sicurezza delle sue vitali rotte energetiche dal Golfo, dall'altro evidenzia in modo palese i limiti del potere americano e la sua crescente imprevedibilità. Questa percezione di inaffidabilità americana sta avendo conseguenze devastanti nell'Indopacifico. Come analizzato da Yuen Foong Khong e Joseph Chinyong Liow, l'unilateralismo aggressivo mostrato da Washington nel Golfo sta erodendo la fiducia degli alleati regionali. I Paesi del Sud-est asiatico, pur nutrendo una profonda diffidenza storica nei confronti di Pechino, stanno lentamente ma inesorabilmente "scivolando verso la Cina", attratti dalla sua prossimità geografica e dalla sua crescente influenza economica. La nuova dottrina strategica americana della "prioritizzazione", descritta da Jennifer Lind e Daryl G. Press, si rivela così paradossale: nel tentativo di concentrare le forze contro la Cina, le azioni statunitensi in altri teatri stanno di fatto indebolendo il fronte anti-cinese. Questo paradosso si estende anche al Teatro operativo Boreale-Artico, dove un potenziale disimpegno americano dall'Europa creerebbe un vuoto di sicurezza che la Russia è pronta a colmare, aumentando il suo controllo militare su rotte marittime di crescente importanza strategica. Infine, le nazioni del Teatro operativo Australe-Antartico subiscono passivamente le conseguenze di questa instabilità globale. L'America Latina, l'Africa meridionale e l'Australia, profondamente integrate nelle catene globali di valore, vedono aumentare la loro vulnerabilità economica e sono costrette a navigare in un ambiente internazionale sempre più polarizzato, cercando di mantenere una difficile neutralità per proteggere i propri interessi. Conseguenze strategiche Sul piano strategico, l'escalation militare del giugno 2025 ha inaugurato una nuova e pericolosa era, segnata da due tendenze parallele ma profondamente interconnesse che stanno ridefinendo la natura della guerra e della grande strategia globale. La prima è il ruolo strategico "dell'energia". L'attacco israeliano a un'infrastruttura civile strategica come il giacimento di South Pars costituisce un precedente epocale. L'energia non è più un obiettivo collaterale, ma un centro di gravità economico primario, la cui distruzione è concepita per infliggere danni più duraturi di un'azione puramente militare. Questo approccio ridefinisce la natura dei conflitti moderni, spingendoli verso una forma di guerra ibrida totale in cui la distinzione tra obiettivi civili e militari si assottiglia pericolosamente, aumentando esponenzialmente i rischi per la stabilità economica globale. La seconda, e forse più significativa, tendenza è l'adozione esplicita da parte degli Stati Uniti di una dottrina di "prioritizzazione". Come analizzato da esperti come Lind e Press, questa strategia mira a disimpegnare Washington da teatri considerati secondari, come l'Europa e il Medio Oriente, per concentrare tutte le risorse sulla competizione sistemica con la Cina. In quest'ottica, il massiccio attacco all'Iran non va letto come l'inizio di un nuovo, lungo impegno, ma, paradossalmente, come un'operazione punitiva e brutale volta a eliminare una minaccia immediata per poi potersi ritirare, lasciando la gestione della stabilità regionale agli attori locali. Questa nuova realtà strategica sta già producendo effetti tangibili, agendo come un potente acceleratore per l'innovazione tecnologica nell'industria della difesa globale e spingendo il Pentagono a una profonda ristrutturazione dei suoi vertici, con nomine chiave per la 5ª e 7ª Flotta per gestire questo nuovo paradigma di crisi simultanee. Tuttavia, questa audace strategia comporta rischi enormi. Come avvertono analisti come Dana Stroul, essa sottovaluta la capacità iraniana di una rappresaglia asimmetrica e a lungo termine. Inoltre, un'eccessiva fiducia israeliana, non più frenata da un partner americano desideroso di disimpegnarsi, potrebbe innescare nuove e incontrollabili escalation, vanificando l'obiettivo strategico di Washington. Conseguenze marittime Le conseguenze marittime della crisi del giugno 2025 si sono condensate sulla vulnerabilità esistenziale dello Stretto di Hormuz, agendo come un potente rivelatore delle fragilità sistemiche del commercio e della sicurezza globale. Sebbene Teheran non abbia messo in atto un blocco fisico del vitale corridoio, la sola minaccia credibile di poterlo fare ha avuto effetti economici devastanti e ha innescato una profonda riconfigurazione strategica nel settore. L'impatto più immediato è stato economico. La percezione del rischio è cambiata in modo permanente e, come riportato da Reuters, i costi delle coperture assicurative per le navi in transito nel Golfo Persico sono raddoppiati quasi istantaneamente. Questo ha di fatto istituito una "tassa sul rischio" permanente che grava sull'intero commercio globale, con un impatto diretto sui costi di trasporto, sulle catene di approvvigionamento e, in ultima analisi, sull'inflazione a livello mondiale. Di fronte a questa nuova realtà, armatori e compagnie energetiche sono stati costretti a riconsiderare le loro strategie operative, cercando attivamente rotte alternative – per quanto più lunghe e costose – e accelerando la diversificazione delle fonti di approvvigionamento per ridurre la dipendenza da un'area ad altissima instabilità. A livello strategico, la crisi ha riaffermato l'importanza cruciale del potere navale per garantire la libertà di navigazione. Tuttavia, ha anche messo a nudo una realtà scomoda: gli Stati Uniti faticano sempre più a fornire da soli questo "bene pubblico globale". Questo vuoto di capacità e di volontà politica sta spingendo altre nazioni a investire massicciamente nelle proprie flotte. La crisi ha dato un nuovo e potente impulso a programmi di sviluppo navale in tutto il mondo, non solo tra le grandi potenze, ma anche tra attori emergenti come il Perù. Cantieri navali come l'italiana Fincantieri vedono aprirsi nuovi mercati per le loro piattaforme tecnologicamente avanzate, in particolare per i sottomarini, considerati strumenti chiave per la deterrenza e il controllo marittimo. In definitiva, la crisi di Hormuz ha segnato la fine dell'era in cui la sicurezza marittima poteva essere data per scontata. Oggi è diventata una priorità globale costosa e un campo di competizione strategica e industriale sempre più acceso, il cui esito ridefinirà le mappe del potere navale ed economico del XXI secolo. Conseguenze per l’Italia Per l'Italia, le ripercussioni della crisi del giugno 2025 sono dirette, multidimensionali e profondamente allarmanti, colpendo simultaneamente la sua stabilità economica, la sicurezza nazionale e le fondamenta stesse della sua postura geopolitica. Sul piano economico, la vulnerabilità del sistema-Paese è massima. In quanto nazione manifatturiera e grande importatrice di energia, l'Italia è direttamente esposta all'instabilità dei prezzi degli idrocarburi. La minaccia allo Stretto di Hormuz, unita all'impennata dei costi di trasporto e assicurazione marittima, si traduce in una minaccia diretta alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici e in una potente spinta inflazionistica che rischia di soffocare la competitività dell'intera economia nazionale. Sul piano della sicurezza, la posizione geografica pone l'Italia sulla linea del fronte di questo "Mediterraneo Allargato" in ebollizione. L'instabilità cronica in Medio Oriente, esacerbata dal potenziale di allargamento del conflitto e da una possibile deriva verso forme di violenza asimmetrica, si traduce in minacce dirette e tangibili. Queste includono la gestione di flussi migratori incontrollati e il rischio crescente di infiltrazioni terroristiche, pericoli che la crisi attuale non fa che acuire in modo significativo. Tuttavia, la conseguenza più profonda è di natura geopolitica e strategica. L'azione unilaterale dell'amministrazione americana e le crescenti fratture in seno alla NATO stanno erodendo l'architettura di sicurezza su cui l'Italia ha fondato la sua politica estera e di difesa per decenni. Il pilastro della sicurezza transatlantica, un tempo considerato incrollabile, oggi appare indebolito e imprevedibile. L'Italia si trova così di fronte a un dilemma strategico senza precedenti, che impone una riflessione urgente e non più procrastinabile sulla necessità di diventare un attore protagonista nella costruzione di una reale ed efficace autonomia strategica europea. Non si tratta più di una scelta opzionale, ma di un imperativo esistenziale per poter tutelare i propri interessi nazionali in un mondo divenuto strutturalmente più instabile e pericoloso. Conclusioni In conclusione, la crisi esplosa nel Golfo Persico nel giugno 2025 trascende la dinamica di un conflitto regionale per assurgere a simbolo di una frattura sistemica dell'ordine globale. L'attacco congiunto israelo-statunitense, pur dimostrando una schiacciante superiorità militare, ha inferto un colpo potenzialmente fatale alla diplomazia e al diritto internazionale, legittimando l'uso della forza preventiva contro infrastrutture critiche, mentre la risposta ponderata dell'Iran, unita alla minaccia di chiudere lo Stretto di Hormuz, ha rivelato come anche attori militarmente inferiori possano esercitare un'enorme leva geoeconomica, evidenziando la fragilità di un sistema globale interconnesso ma privo di una governance efficace. La vera novità strategica emersa è l'adozione esplicita da parte degli Stati Uniti di una dottrina di "prioritizzazione", che mira a disimpegnare Washington da teatri secondari per concentrarsi sulla competizione con la Cina. Il cessate il fuoco annunciato da Trump, in quest'ottica, non appare come l'inizio di una pace duratura, ma come una mossa tattica per chiudere un fronte scomodo e proseguire con questo riallineamento strategico, che rischia però di creare pericolosi vuoti di potere e di alienare alleati storici. In questo quadro, l'Europa ha confermato la sua marginalità strategica, mentre la Russia ha sapientemente sfruttato la crisi per rafforzare la propria influenza, proponendosi come mediatore. Di fronte a questo scenario, le raccomandazioni che emergono sono tanto chiare quanto urgenti. A livello internazionale, è imperativo ricostruire canali di dialogo credibili per evitare che la spirale di ritorsioni diventi incontrollabile. Per l'Occidente, e in particolare per l'Europa, la lezione è netta: l'era della delega della sicurezza è terminata. È indispensabile tradurre il concetto di "autonomia strategica" da ambizione a realtà, attraverso investimenti mirati nella difesa (non quindi legati solo ad aumento di investimenti fine a se stessi, ma tesi a qualità, addestramento, bilanciamento e coordinamento), una politica estera più coesa e volta a definire una cornice di sicurezza credibile ed efficace (senza la quale ha poco senso parlare di difesa comune) e la capacità di proteggere autonomamente i propri interessi vitali, a partire dalla sicurezza energetica e marittima. Infine, per l'Italia, ciò si traduce nella necessità di assumere un ruolo proattivo e da protagonista nella costruzione di questa nuova architettura di sicurezza europea, consapevole che la stabilità del Mediterraneo è ormai una responsabilità diretta e non più delegabile a un alleato sempre più distante e imprevedibile. I contributi sono diretta responsabilità della redazione di OHiMAG e ne rispecchiano le idee. La riproduzione, totale o parziale, è autorizzata a condizione di citare la fonte. Le informazioni qui riportate sono frutto di lettura e analisi delle seguenti fonti: Cesmar "Sintesi di Geopolitica e Geoeconomia (del giorno)"; Notizie riportate dai principali siti che si occupano di politica internazionale, geopolitica e strategia marittima (ISPI, Foreign Affairs, Inside Over, Analisi Difesa, Limes, Le Grand Continent, Atlantic Council, Chatham House, IISS, CSIS, The National Interest, War o the rocks, Responsible Statecraft, IAI, IARI, CIMSEC, Formiche.net, GCaptain, The global eye, Center for maritime strategy, Naval News, Shipmag, Navylookout, Navytimes, Rand, il Sussidiario, GeopoliticaInfo, Starmag) e dalle principali agenzie di stampa internazionali (Associated Press, Reuters, AFP, ANSA, DPA, TASS, Xinhua, etc.) relative al giorno precedente quello indicato nel titolo Gli Usa attaccano l'Iran. AggiornamentoAggiornamento del 23 giugno delle ore 17.00 Introduzione
In un drammatico scenario di giugno 2025, il mondo assiste a un punto di rottura epocale: gli Stati Uniti, sotto una seconda presidenza Trump, sferrano un attacco militare diretto contro tre principali siti nucleari iraniani. Questa operazione, pur presentata come un’azione chirurgica e limitata, rappresenta il culmine di una crescente tensione tra la Repubblica Islamica e Israele, segnando il momento in cui Washington sceglie di entrare formalmente in un conflitto che minaccia di incendiare l'intero Medio Oriente. L’attacco non è solo un atto di guerra, ma una scommessa avventata con conseguenze geopolitiche, strategiche ed economiche potenzialmente catastrofiche e difficilmente contenibili. Questo saggio, basandosi su un'analisi approfondita di una serie di contributi specialistici tratti da autorevoli pubblicazioni internazionali e centri di ricerca, si propone di disaggregare la complessità di questa crisi. Attraverso l'esame dei fatti e delle immediate reazioni, verranno analizzate le profonde implicazioni dell'attacco sull'ordine globale, sulla stabilità regionale, sulla sicurezza marittima e, in particolare, sulla posizione dell’Europa e dell'Italia, proiettate involontariamente al centro di una tempesta le cui dinamiche sono ancora tutte da decifrare. I fatti Il 22 giugno 2025, gli Stati Uniti hanno eseguito un attacco aereo e missilistico coordinato contro tre infrastrutture nucleari chiave in Iran: i siti di arricchimento di Fordow e Natanz e il centro di ricerca di Isfahan. L'operazione, annunciata dal Presidente Donald Trump come un successo che ha "completamente e totalmente obliterato" il programma nucleare iraniano, è stata condotta impiegando bombardieri strategici B-2 Spirit, capaci di trasportare le pesanti bombe anti-bunker GBU-57 MOP, e sottomarini che hanno lanciato missili da crociera Tomahawk. Questo intervento diretto si inserisce in un conflitto già in corso, scatenato da una campagna di bombardamenti israeliani contro l'Iran iniziata il 13 giugno. L'attacco americano ha immediatamente innescato un'allerta globale, con le società di sicurezza marittima che hanno emesso avvisi urgenti per le navi commerciali affiliate agli Stati Uniti nelle acque mediorientali. In risposta, il parlamento iraniano ha approvato una mozione che autorizza la chiusura dello Stretto di Hormuz, una decisione la cui attuazione finale spetta al Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale. Parallelamente, le milizie Houthi sostenute dall'Iran nello Yemen hanno annunciato la ripresa delle minacce contro le navi da guerra americane nel Mar Rosso, dopo un breve cessate il fuoco concordato a maggio, aprendo di fatto un secondo fronte di instabilità marittima. Nonostante la retorica trionfalistica di Washington, l'entità effettiva dei danni rimane incerta, con Teheran che ha minimizzato l'impatto e suggerito che i siti fossero stati evacuati, alimentando l'ipotesi, avanzata da alcuni analisti, di una sorta di "ammuina" strategica, ovvero un'azione dimostrativa più che distruttiva, concepita forse per salvare la faccia a tutte le parti coinvolte senza però riuscire a fermare la spirale dell'escalation. Conseguenze geopolitiche Le conseguenze geopolitiche dell'attacco sono sismiche e si propagano ben oltre il Medio Oriente, accelerando la transizione verso un ordine internazionale multipolare e conflittuale. L'azione unilaterale di Washington viene letta da molti analisti non come un evento isolato, ma come una mossa speculare all'interno di una più ampia competizione tra grandi potenze. In questo schema, che evoca una "Yalta 2.0", l'attacco all'Iran, partner strategico di Russia e Cina, è interpretato come una risposta alla sfida russa in Ucraina, avamposto occidentale. Gli Stati Uniti, in quest'ottica, non mirano solo a neutralizzare Teheran, ma a inviare un messaggio diretto a Mosca e Pechino sulla vulnerabilità dei loro alleati. Questa dinamica ha provocato un netto riallineamento regionale. Le monarchie del Golfo, un tempo allineate a Israele contro l'Iran, ora vedono con terrore un possibile conflitto sulle loro coste e temono un'egemonia israeliana senza più contrappesi. Come evidenziato da Vali Nasr su Foreign Affairs, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti si sono trasformati in mediatori, spingendo per una soluzione diplomatica e vedendo un nuovo accordo nucleare come vitale per la stabilità regionale. La reazione dell'Unione Europea, d'altra parte, è stata descritta da Eldar Mamedov su Responsible Statecraft come "patetica" e sintomatica di una "vassalizzazione". La dichiarazione congiunta di Francia, Germania e Regno Unito, che ha ribadito il sostegno alla sicurezza di Israele ignorando la violazione del diritto internazionale da parte statunitense, ha minato la credibilità dell'UE come attore globale e ha esposto la sua subalternità a Washington, che, secondo le fonti, non si è nemmeno preoccupata di avvertire i suoi alleati europei prima dell'attacco. Conseguenze strategiche Sul piano strategico, l'attacco statunitense ha trasformato una sfida gestibile diplomaticamente in una crisi militare acuta e imprevedibile. Come sottolineato da numerosi analisti, tra cui Ilan Goldenberg e Andrew P. Miller su Foreign Affairs, la mossa di Trump è una scommessa avventata che ripete gli errori del passato, in particolare la hybris che ha caratterizzato la guerra in Iraq. L'idea di una vittoria rapida e chirurgica è un'illusione. Colpire alcuni impianti non smantellerà la conoscenza nucleare iraniana; al contrario, rischia di spingere Teheran a perseguire la bomba atomica con maggiore determinazione e segretezza, vedendola come l'unica garanzia di sopravvivenza del regime. Questa escalation mette a rischio diretto le circa 40.000 truppe americane dislocate nella regione e apre la porta a ritorsioni asimmetriche, come attacchi informatici su infrastrutture critiche statunitensi. L'impatto economico è potenzialmente devastante. Hadi Kahalzadeh, su Responsible Statecraft, stima che una guerra prolungata potrebbe costare a Israele 12 miliardi di dollari al mese e approfondire la crisi infrastrutturale iraniana, che necessita di oltre 500 miliardi di dollari di investimenti. Un blocco dello Stretto di Hormuz potrebbe far schizzare il prezzo del petrolio a 150 dollari al barile, riducendo il PIL globale di quasi mille miliardi di dollari e innescando una stagflazione mondiale. L'ambizione di un regime change, ventilata da alcuni falchi, è considerata irrealistica senza un'invasione di terra su larga scala, che costerebbe migliaia di miliardi di dollari e vite umane, e che probabilmente produrrebbe un caos ancora peggiore di quello seguito alla caduta di Saddam Hussein, come avvertono Hussein Agha e Robert Malley. Conseguenze marittime Le implicazioni marittime del conflitto si concentrano sull'arteria vitale del commercio energetico globale: lo Stretto di Hormuz. Come riportato da gCaptain, la minaccia iraniana di chiudere questo passaggio, attraverso cui transita circa un quinto del petrolio mondiale, ha messo in allerta l'intera comunità marittima. Società di sicurezza come Ambrey e il Joint Maritime Information Center (JMIC) hanno emesso avvisi di livello "elevato", consigliando alle navi con affiliazioni statunitensi di evitare l'area. Sebbene un blocco totale sia improbabile perché danneggerebbe anche l'Iran e i suoi partner come la Cina, una chiusura mirata contro navi statunitensi o israeliane è uno scenario credibile. La minaccia stessa ha già avuto effetti tangibili: diverse navi hanno lasciato il Golfo Persico, altre si sono raggruppate in acque sicure degli Emirati Arabi Uniti, e molte hanno limitato il transito alle ore diurne. A ciò si aggiunge un aumento delle interferenze elettroniche sui sistemi di navigazione GNSS, che complicano ulteriormente le operazioni. La riattivazione del fronte Houthi nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden, con minacce dirette alla marina statunitense, crea un secondo chokepoint marittimo, estendendo l'arco di instabilità e aumentando i costi e i rischi per le catene di approvvigionamento globali. La sicurezza di queste rotte, essenziali non solo per l'energia ma per il commercio di ogni tipo di bene, è ora appesa a un filo, dipendente dalle decisioni di attori in stato di massima tensione, capaci di innescare uno shock economico mondiale con una singola mossa. Conseguenze per l’Italia In questo quadro di crisi, l'Italia, insieme all'Europa, si trova in una posizione di estrema vulnerabilità, esposta alle conseguenze dirette e indirette del conflitto. La risposta debole e allineata dell'Unione Europea ha evidenziato una mancanza di autonomia strategica, relegando il continente a un ruolo di spettatore passivo di fronte a decisioni prese unilateralmente da Washington. Per l'Italia, questa subalternità si traduce in rischi concreti. Sebbene le basi militari italiane non siano state utilizzate per questo specifico attacco, la loro funzione di snodo logistico cruciale per le forze USA nel Mediterraneo le rende potenziali bersagli in caso di escalation. La minaccia iraniana di colpire qualsiasi interesse americano nel mondo pone le installazioni di Sigonella, Aviano e Camp Darby nel mirino di possibili ritorsioni, che potrebbero assumere la forma di attacchi asimmetrici (cyber, droni, sabotaggi) difficili da prevenire e attribuire. Economicamente, l'Italia, come grande paese manifatturiero e importatore di energia, sarebbe tra le nazioni più colpite da un'impennata dei prezzi del petrolio causata dall'instabilità a Hormuz. Inoltre, un'eventuale crisi migratoria generata dal conflitto, come paventato dall'ONU, graverebbe pesantemente sui paesi del Mediterraneo. Questa crisi, infine, mette a nudo quella che alcuni analisti definiscono la "mancanza di una cultura della difesa e della sicurezza" in Italia e in Europa, ovvero l'incapacità di formulare una visione strategica autonoma e di agire di conseguenza, rimanendo invece dipendenti dalla protezione e dalle decisioni di un alleato sempre più imprevedibile. Conclusioni e possibili sviluppi L'attacco statunitense contro l'Iran del giugno 2025 non è stato né un atto risolutivo né una mossa verso la pace, ma una scommessa strategica dagli esiti incerti e potenzialmente catastrofici. Lungi dal neutralizzare la minaccia nucleare, l'operazione ha minato le fondamenta del diritto internazionale, ha messo a rischio la stabilità economica globale e ha spinto il Medio Oriente sull'orlo di una guerra totale. La logica della "vittoria facile" si è rivelata, ancora una volta, un'illusione pericolosa, ignorando le complesse dinamiche regionali e le lezioni della storia, che insegnano come l'uso della forza in contesti così fragili generi quasi sempre caos, instabilità e nuove, più insidiose minacce. Il mondo si trova ora di fronte a un bivio: accettare una spirale di violenza che potrebbe portare a una proliferazione nucleare incontrollata e a un disastro economico, o trovare la volontà politica per imporre una via d'uscita diplomatica. In questo scenario critico, la prima e più urgente raccomandazione è un appello corale e perentorio alla de-escalation. È imperativo che gli Stati Uniti abbandonino la retorica del confronto e aprano, con il supporto di mediatori credibili come gli stati del Golfo, un serio canale negoziale con Teheran. Un accordo, per quanto difficile, rimane l'unica alternativa a una guerra che nessuno può vincere. Per l'Europa, e per l'Italia in particolare, questa crisi deve essere un definitivo "campanello d'allarme". È necessario abbandonare la postura di "vassallaggio" e sviluppare una vera autonomia strategica, dotandosi di una politica estera e di difesa coesa e indipendente. È fondamentale avviare un dibattito pubblico e parlamentare trasparente sull'uso delle basi militari sul proprio territorio. Essere alleati non può significare essere trascinati in conflitti decisi altrove, i cui costi ricadrebbero inevitabilmente sui propri cittadini. Riferimenti Il presente saggio è una sintesi e rielaborazione analitica basata sui contenuti di una pluralità di fonti internazionali e italiane, pubblicate tra il 10 e il 23 giugno 2025. Le analisi principali sono tratte dai seguenti articoli:
I contributi sono diretta responsabilità della redazione di OHiMAG e ne rispecchiano le idee. La riproduzione, totale o parziale, è autorizzata a condizione di citare la fonte. Le informazioni qui riportate sono frutto di lettura e analisi delle seguenti fonti: Cesmar "Sintesi di Geopolitica e Geoeconomia (del giorno)"; Notizie riportate dai principali siti che si occupano di politica internazionale, geopolitica e strategia marittima (ISPI, Foreign Affairs, Chatham House, IISS, CSIS, The National Interest, War o the rocks, Responsible Statecraft, IAI, IARI, Inside Over, Analisi difesa, CIMSEC, Formiche.net, GCaptain, The global eye, Center for maritime strategy, Naval News, Shipmag, Navylookout, Navytimes, Rand, il Sussidiario, GeopoliticaInfo, Starmag) e dalle principali agenzie di stampa internazionali (Associated Press, Reuters, AFP, ANSA, DPA, TASS, Xinhua, etc.) relative al giorno precedente quello indicato nel titolo Introduzione
QUESTA ANALISI È STATA PREPARATA IN COLLABORAZIONE CON CESMAR.IT Anatomia di una crisi globale tra conflitti aperti e sovranità riconquistate Il contesto internazionale al 21 giugno 2025 è definito dall'escalation del confronto tra Israele e Iran, che il giorno precedente è transitato dalla condizione di "guerra ombra" a quella di conflitto convenzionale. Tale evento agisce da catalizzatore per le dinamiche di più lungo periodo, consolidando la transizione del sistema globale dalla fase di "policrisi" a un'era caratterizzata da confronto aperto, frammentazione strategica e contrazione geoeconomica. L'evento scatenante è stata l'escalation dell'"Operazione Rising Lion", una campagna militare israeliana su vasta scala che ha segnato un drammatico cambio di paradigma: non più la non-proliferazione, ma un vero e proprio cambio di dottrina volto a eliminare la Repubblica Islamica come minaccia esistenziale. Tuttavia, questo conflitto non è un evento isolato, ma il catalizzatore che ha accelerato tendenze latenti, svelando le vulnerabilità di un sistema globale già fragile. Il mondo ha smesso di essere un villaggio globale per trasformarsi in un arcipelago di potenze in competizione, separate da faglie geopolitiche, economiche e ideologiche sempre più profonde. La recente escalation, che ha posto l'Iran in una posizione di scacco matto strategico, ha messo a nudo tre dinamiche interconnesse che definiscono questa nuova, pericolosa realtà e che verranno analizzate in questo documento: 1. Il conflitto israelo-iraniano, come epicentro di una destabilizzazione a cascata. 2. La ricalibrazione forzata dell'Europa, verso una sovranità strategica e industriale non più procrastinabile. 3. La guerra silenziosa combattuta lungo le catene globali del valore, dove il controllo delle risorse è diventato l'arma definitiva. L’analisi che segue, che trae spunto da un compendio di osservazioni prese dalle fonti aperte, intende offrire una sintesi chiara e organica di come questi elementi si intreccino, ridefinendo gli equilibri di potere e ponendo l'Italia e l'Europa di fronte a scelte importanti. I fatti. Analisi dei Teatri Operativi • Mediterraneo Allargato. Questo vasto teatro rappresenta l’epicentro della crisi attuale. Il conflitto israelo-iraniano si è rapidamente esteso ai principali choke-point marittimi: nel Mar Rosso, l’Operazione Aspìdes a guida europea (con comando tattico italiano) ha intensificato le attività di pattugliamento contro gli attacchi Houthi, mentre nello Stretto di Hormuz si è registrata una crescita degli episodi di jamming GPS, una tattica di guerra elettronica iraniana che ha già provocato collisioni e fatto impennare i costi assicurativi del trasporto marittimo. La risposta strategica europea si è tradotta in una ricalibrazione forzata verso una maggiore autonomia. La NATO ha rafforzato la propria postura di difesa missilistica con cinque cacciatorpediniere Aegis schierati a Rota (Spagna), creando così uno scudo sia contro la Russia sia contro l’Iran. Sul piano industriale, Italia e Francia hanno evidenziato una crescente capacità di proiezione di potenza grazie alla loro integrazione anche e soprattutto operativa. Tuttavia, il fronte europeo è apparso diviso: la Francia ha tentato una mediazione impossibile, la Germania ha espresso un controverso sostegno a Israele e l’Italia si è concentrata sull’evacuazione dei connazionali. Anche le faglie secondarie si sono riattivate: tensioni tra Turchia e Grecia nel Mediterraneo Orientale per la ricerca energetica e una esercitazione NATO in Kosovo per contenere l’instabilità balcanica. • Heartland Euro-asiatico. Il conflitto in Medio Oriente ha evidenziato i limiti dell’asse sino-russo. La Russia, impantanata in una brutale guerra di logoramento in Ucraina e sottoposta a nuove sanzioni sulla sua “flotta ombra”, ha dimostrato l’incapacità di sostenere concretamente l’alleato iraniano, limitandosi a moniti verbali. Mosca ha tuttavia proseguito la sua strategia di intimidazione verso l’Europa, confermando il dispiegamento di missili ipersonici a Kaliningrad. La Cina ha mostrato una profonda esitazione strategica: intrappolata tra la retorica anti-occidentale e i pragmatici interessi economici con le monarchie del Golfo, Pechino si è rivelata incapace di agire da stabilizzatore, scegliendo una neutralità di facciata. Sul fronte geoeconomico, la posizione dominante cinese è stata usata come leva: la restrizione delle esportazioni di terre rare ha messo in crisi l’industria automobilistica indiana, dimostrando come Pechino impieghi le catene di approvvigionamento per colpire i rivali regionali. • Teatro operativo Boreale-Artico. Questo teatro è divenuto il laboratorio della ricalibrazione strategica occidentale. Di fronte all’incertezza sulla politica americana e alla minaccia russa, le potenze europee hanno accelerato la corsa verso la sovranità tecnologica e industriale. L’evento più significativo della giornata è stato l’annuncio del successo del primo volo del “Guardian”, un drone collaborativo (loyal wingman) sviluppato da un consorzio europeo. In parallelo, la formalizzazione della joint-venture GCAP (Regno Unito, Italia, Giappone) per il caccia di sesta generazione ha segnato la volontà di emanciparsi dalla dipendenza tecnologica americana nel settore della difesa. Questa spinta è stata accompagnata da profonde divisioni politiche, con un dibattito irrisolto in seno alla NATO sul futuro allargamento all’Ucraina, tema che preannuncia un vertice teso all’Aia. Sul fronte energetico, l’adesione dell’Italia all’alleanza europea per i reattori nucleari SMR e le nuove, severe regole britanniche per le trivellazioni nel Mare del Nord segnalano la ricerca di autonomia strategica anche in questo campo. 2 • Teatro operativo Australe-Antartico. Sebbene lontano dai principali focolai di crisi, questo teatro ha dimostrato come la competizione globale si estenda capillarmente. La giornata è stata segnata dalla scoperta in Argentina di una rete di spionaggio russa dedita alla disinformazione, chiaro esempio di guerra ibrida volta a minare l’influenza occidentale. In America Latina, le pressioni dell’amministrazione Trump sul Messico per questioni di narcotraffico hanno confermato un approccio interventista. In Africa meridionale, il fenomeno della “biopirateria” ha evidenziato come la competizione per le risorse si estenda anche al dominio biologico e delle conoscenze tradizionali, una forma di neocolonialismo geoeconomico. • Indopacifico. La competizione tra Stati Uniti e Cina si è manifestata attraverso una “danza pericolosa” a bassa intensità. Una fregata britannica ha condotto un’operazione di libertà di navigazione (FONOP) nello Stretto di Taiwan, suscitando l’immediata protesta di Pechino. La Cina, dal canto suo, ha testato le proprie tattiche di “guerra grigia”, dispiegando sciami di droni di sorveglianza attorno a installazioni offshore delle Filippine nel Mar Cinese Meridionale. La risposta americana e dei suoi alleati (Giappone, Australia) si è focalizzata sul mantenimento del vantaggio tecnologico, con esercitazioni navali che integravano piattaforme senza pilota e intelligenza artificiale. La regione è anche teatro di tensioni secondarie, come dimostrato da uno scontro a fuoco al confine tra Cambogia e Thailandia. Conseguenze geopolitiche Le conseguenze geopolitiche di questa guerra si propagano a cerchi concentrici, ridisegnando la mappa del potere globale. Il conflitto agisce innanzitutto come una "trappola strategica" per gli Stati Uniti. Diverse analisi suggeriscono che Israele, consapevole di non poter forse distruggere da solo gli impianti nucleari più fortificati come quello di Fordow, stia deliberatamente creando le condizioni per un intervento diretto americano. Legando la propria sicurezza a un'azione di Washington, Israele si assicura che il peso principale di una guerra regionale allargata ricada sulle spalle dell'alleato, consolidando la propria posizione a lungo termine. Per l'amministrazione Trump, cadere in questa trappola significherebbe essere trascinati in un pantano dagli esiti imprevedibili, che serve più l'agenda di un alleato che non gli interessi nazionali americani. Contemporaneamente, la crisi ha brutalmente esposto i limiti strategici delle potenze rivali, Cina e Russia. Pechino, pur essendo il principale partner energetico dell'Iran, ha mostrato una "limitata flessibilità strategica", restando intrappolata tra la sua retorica anti-occidentale e la necessità pragmatica di non compromettere le vitali relazioni economiche con le monarchie del Golfo e Israele. Mosca, impantanata in Ucraina e strategicamente sovraesposta, si limita a un impotente monito verbale, incapace di offrire un supporto concreto al suo alleato. L'asse delle "autocrazie" si rivela così più tattico e opportunistico che fondato su una reale fiducia reciproca, lasciando l'Iran in una condizione di drammatico isolamento. Infine, la guerra crea un pericoloso vuoto di potere in Siria e Iraq, offrendo a milizie terroristiche sunnite come lo Stato Islamico l'opportunità di riattivare le proprie cellule e sfruttare la destabilizzazione generale per tornare a essere una minaccia concreta. Conseguenze strategiche Sul piano strategico, il conflitto ha cristallizzato una realtà inequivocabile: l'Iran si trova in una posizione di "scacco matto", a corto di opzioni valide e costretto a subire un'escalation che non può sostenere. L'asimmetria tecnologica è schiacciante. Mentre l'Iran si affida a un arsenale di generazione precedente, Israele e gli Stati Uniti dispongono di capacità militari, cibernetiche e di intelligence di un'altra categoria, capaci di colpire in profondità con rischi minimi. 3 Questa crisi, tuttavia, riverbera i suoi effetti anche all'interno del blocco occidentale, mettendo a nudo le fratture di un'alleanza come la NATO, che si appresta a un vertice cruciale a L'Aia. Le analisi prefigurano un incontro dominato da visioni "apparentemente inconciliabili", dove la retorica dell'unità maschera profonde divisioni. L'iniziativa dell'amministrazione Trump di presentare un piano di pace per l'Ucraina, mirato a chiudere rapidamente il fronte europeo per concentrarsi sulla Cina, si scontra con la riluttanza di molti alleati, che temono un accordo che premi l'aggressione russa. Emerge così un paradosso strategico: l'Occidente, mentre condanna l'aggressione iraniana, fatica a trovare una linea comune per porre fine a quella in Ucraina, rivelando una profonda spaccatura transatlantica sulle priorità e sui metodi. Questa incertezza e la percezione di un'America sempre più inaffidabile sono il motore principale che spinge l'Europa verso una ricalibrazione strategica non più differibile. Conseguenze marittime Le conseguenze marittime della guerra sono l'indicatore più immediato e tangibile della contrazione geoeconomica globale. I mari e gli oceani sono tornati a essere l'arena primaria della competizione, dove la sicurezza delle rotte commerciali è diventata un asset strategico fondamentale. L'impatto del conflitto israelo-iraniano è stato devastante. I costi di trasporto marittimo (freight rates) delle merci da Shanghai al Golfo Persico sono schizzati verso l'alto, registrando aumenti superiori al 50% a causa dei proibitivi rischi assicurativi. La decisione della compagnia leader Maersk di sospendere tutti gli scali al porto israeliano di Haifa è un segnale potentissimo dell'insicurezza che pervade il Mediterraneo Orientale. Nello Stretto di Hormuz, la situazione è ancora più tesa, con un'impennata di incidenti di jamming e spoofing del segnale GPS lungo la costa iraniana, una tattica di guerra elettronica asimmetrica che ha già causato collisioni e che aumenta esponenzialmente i rischi per la sicurezza della navigazione globale. Questa crisi si inserisce in un contesto più ampio di militarizzazione dei mari. Le operazioni di libertà di navigazione (FONOP) nello Stretto di Taiwan, la lotta alla "flotta ombra" russa e la risposta internazionale agli attacchi Houthi nel Mar Rosso, guidata dall'Operazione Aspides a comando europeo, dimostrano come il dominio marittimo sia diventato il campo di battaglia decisivo per proiettare influenza, garantire la sicurezza economica e sfidare l'ordine esistente. Conseguenze per l’Italia In questo scenario di caos globale, le conseguenze per l'Italia e per l'Europa sono profonde e costringono a un brusco risveglio dal torpore strategico post-Guerra Fredda. Di fronte all'incendio alle proprie porte e alla crescente inaffidabilità dell'alleato americano, il continente è obbligato a intraprendere un percorso verso una sovranità strategica reale. Una data simbolo di questa ricalibrazione è il 20 giugno 2025, che ha visto passi concreti in questa direzione. Il più significativo è la costituzione ufficiale di Edgewing, la joint-venture tra la britannica BAE Systems, l'italiana Leonardo e un consorzio giapponese, per lo sviluppo del caccia di sesta generazione GCAP. Questo non è solo un progetto industriale, ma un atto politico di enorme portata che segnala la volontà di garantirsi la sovranità tecnologica nel settore più avanzato della difesa, emancipandosi dalla dipendenza americana. Parallelamente, l'Italia sta ricalibrando la sua strategia energetica con l'adesione ufficiale all'Alleanza europea per i piccoli reattori modulari (SMR), un "cambio di paradigma" che vede il ritorno del nucleare come pilastro strategico per la sicurezza e l'autonomia. Questa spinta si manifesta anche nel ruolo attivo che l'Italia sta assumendo nel "Mediterraneo Allargato", come dimostra il comando tattico dell'Operazione Aspìdes e la conduzione di esercitazioni complesse come "Mare Aperto", che testano la capacità di proiettare potenza e garantire stabilità in un'area vitale per gli interessi nazionali. Questo percorso è sancito anche a livello istituzionale, con la presentazione di un "Rapporto per una strategia di sicurezza nazionale", che testimonia una nuova consapevolezza della necessità di un approccio olistico e proattivo alla difesa del Paese in un mondo irriconoscibile. 4 Conclusioni e Possibili Sviluppi Il mondo del 21 giugno 2025 si presenta come un sistema internazionale in contrazione, dove la logica della forza ha soppiantato quella del diritto e della cooperazione. La guerra tra Israele e Iran non è stata un evento isolato, ma il detonatore che ha fatto esplodere le contraddizioni di un ordine globale già fragile, svelando la cruda realtà della competizione tra grandi potenze e l'impotenza delle istituzioni multilaterali. Questa nuova realtà ha trasformato l'economia globale da motore di cooperazione ad arena di conflitto, dove il controllo di un microchip, di una rotta marittima o di una fonte energetica è diventato cruciale quanto il controllo di un territorio. In questo contesto, il futuro immediato sarà catalizzato da tre sviluppi critici che richiederanno la massima attenzione: 1. L'escalation in Medio Oriente. Il destino della regione è appeso all'ultimatum di due settimane concesso dall'amministrazione Trump. Le prossime mosse di Washington (interverrà direttamente per colpire gli obiettivi più protetti?), di Israele (proseguirà la campagna fino al potenziale collasso del regime iraniano?) e dell'Iran (giocherà la disperata e suicida "carta Hormuz"?) determineranno se il conflitto si allargherà a una catastrofe regionale dalle conseguenze imprevedibili. 2. Il Vertice NATO dell'Aia. L'incontro sarà la cartina di tornasole delle profonde fratture occidentali. Il dibattito sulla futura adesione dell'Ucraina e, soprattutto, la reazione europea a un eventuale piano di pace americano definiranno il futuro della coesione transatlantica. Il rischio è che il vertice evidenzi le divisioni anziché rafforzare l'alleanza. 3. La Guerra delle Catene di Approvvigionamento. La crisi delle terre rare tra Cina e India è solo un'anteprima. È altamente probabile assistere a nuove, mirate interruzioni delle forniture di materie prime critiche e semiconduttori, utilizzati sempre più come leva di potere per colpire le economie rivali. Si prospetta un'ulteriore e accelerata "balcanizzazione" dell'economia globale. Di fronte a questo scenario, l'Europa è stata costretta a guardare in faccia i propri demoni e a intraprendere un difficile cammino verso una sovranità non più teorica, ma operativa. Per l'Italia e per l'Europa, la sfida non è più gestire una pace data per scontata, ma navigare con lucidità e realismo in questo nuovo "arcipelago di conflitti". L'unica via percorribile è quella di un approccio proattivo: accelerare gli investimenti oculati e ben misurati in difesa e tecnologia attraverso collaborazioni strategiche come il GCAP, consolidare un ruolo da protagonista per la sicurezza del Mediterraneo Allargato e sviluppare una resilienza nazionale a 360 gradi. Il futuro che si delinea non è quello di un ordine multipolare equilibrato, ma di un confronto caotico e permanente. L'imperativo è, quindi, costruire attivamente isole di stabilità, prosperità e sovranità in un oceano di caos. Inviato da Outlook per iOS I contributi sono diretta responsabilità della redazione di OHiMAG e ne rispecchiano le idee. La riproduzione, totale o parziale, è autorizzata a condizione di citare la fonte. Le informazioni qui riportate sono frutto di lettura e analisi delle seguenti fonti: Cesmar "Sintesi di Geopolitica e Geoeconomia (del giorno)"; Notizie riportate dai principali siti che si occupano di politica internazionale, geopolitica e strategia marittima (ISPI, Foreign Affairs, Chatham House, IISS, CSIS, The National Interest, War o the rocks, Responsible Statecraft, IAI, IARI, Inside Over, Analisi difesa, CIMSEC, Formiche.net, GCaptain, The global eye, Center for maritime strategy, Naval News, Shipmag, Navylookout, Navytimes, Rand, il Sussidiario, GeopoliticaInfo, Starmag) e dalle principali agenzie di stampa internazionali (Associated Press, Reuters, AFP, ANSA, DPA, TASS, Xinhua, etc.) relative al giorno precedente quello indicato nel titolo Intruduzione
L'analisi del 19 giugno 2025 delinea un sistema internazionale in una fase di profonda trasformazione, entrato in uno stato di "policrisi" o crisi a cascata. Non siamo più di fronte a singoli conflitti isolati, ma a una rete di tensioni interconnesse – dal Medio Oriente all'Ucraina, fino all'Indo-Pacifico – che si alimentano a vicenda in una pericolosa spirale di instabilità. In questo scenario, l'escalation militare, la competizione economica e la corsa tecnologica non sono più ambiti distinti, ma si saldano in una dinamica unica e complessa che sta ridefinendo gli equilibri di potere globali. L'epicentro di questa tempesta è senza dubbio il confronto diretto tra Israele e Iran. Questo conflitto agisce come un potente catalizzatore, accelerando la competizione strategica tra le grandi potenze, svelando con brutale chiarezza le profonde fratture politiche e operative all'interno dell'Occidente, e spingendo l'innovazione tecnologica verso nuove e rischiose frontiere. La congiuntura attuale, dunque, non è solo una somma di crisi regionali, ma un momento di svolta sistemico che mette a dura prova la resilienza delle alleanze strategiche, costringendo ogni attore a ricalibrare la propria posizione in un mondo sempre più incerto. Evento clou della giornata La vulnerabilità dello scudo israeliano e la guerra di logoramento con l'Iran. La notizia più critica della giornata, emersa da fonti di intelligence occidentali e destinata a ridefinire i calcoli strategici, è il rapido esaurimento delle scorte di missili intercettori del sistema Arrow di Israele. Questo sviluppo trasforma il conflitto con l'Iran in una drammatica corsa contro il tempo. Ogni missile iraniano intercettato oggi è una garanzia di sicurezza in meno per domani. Combinato con il costo economico insostenibile della guerra, stimato in oltre 700 milioni di dollari al giorno, questo "salasso" militare ed economico spinge Israele verso un bivio: cercare un'escalation decisiva e rischiosissima per neutralizzare la minaccia iraniana una volta per tutte, o affrontare un collasso per esaurimento. Questa dinamica rende il Medio Oriente una pericolosa polveriera. Analisi per Teatro Operativo 1. Mediterraneo Allargato. Il confronto tra Israele e Iran ha superato la soglia della guerra per procura per diventare un conflitto diretto e logorante. La vulnerabilità dello scudo Arrow pone gli Stati Uniti di fronte a un dilemma straziante: la potente lobby AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) preme sul Congresso per un intervento diretto, ma l'amministrazione Trump, pur mantenendo una retorica aggressiva, è consapevole che una guerra con l'Iran sarebbe una trappola strategica che avvantaggerebbe la Cina. L'Unione Europea appare impotente e divisa. Mentre la diplomazia italiana si spende in un frenetico sforzo di mediazione, nazioni come Spagna e Irlanda spingono per sanzionare Israele per la crisi umanitaria a Gaza, rivelando l'incapacità dell'UE di agire con una voce sola. Nel frattempo, la stabilità dell'intera regione è a rischio. Le rotte commerciali vitali attraverso il Mar Rosso e lo Stretto di Hormuz sono minacciate, costringendo potenze come l'India a preparare piani di emergenza per le proprie forniture energetiche. Un dato nuovo e significativo è il consolidamento di un'inedita "Asia che sta con Teheran". Nazioni a maggioranza musulmana come Pakistan, Indonesia e Malesia hanno espresso una forte solidarietà politica con l'Iran, erodendo la narrativa dell'isolamento di Teheran e complicando i calcoli strategici occidentali. Il riarmo regionale continua, come dimostra l'acquisto di elicotteri americani da parte della Tunisia, in un quadro di generale militarizzazione. 2. Heartland euro-asiatico. Il conflitto in Medio Oriente rappresenta un inaspettato vantaggio strategico per Russia e Cina. Per Mosca, la crisi iraniana è un dono: distoglie l'attenzione e le risorse militari occidentali dall'Ucraina, fa salire i prezzi del petrolio finanziando la macchina da guerra russa e offre a Putin il ruolo di potenziale mediatore. La minaccia diretta del Cremlino alla Germania sulla potenziale fornitura di missili Taurus a Kiev è un esempio lampante della sua strategia di intimidazione per mettere pressione sulla NATO. Per la Cina, un'America impantanata in Medio Oriente è una "manna strategica". Mentre Pechino invoca pubblicamente la pace, continua indisturbata la sua penetrazione geoeconomica, come dimostrano le trattative della compagnia statale COSCO per acquisire quote di porti strategici globali o l'inondazione del mercato brasiliano con i suoi veicoli elettrici. Nel frattempo, l'erosione dell'influenza occidentale ai margini dell'Europa, come dimostra l'allontanamento della Georgia dalle sue aspirazioni euro-atlantiche, segna una vittoria silenziosa ma importante per la strategia russa nel suo "estero vicino". 3. Teatro operativo Boreale-Artico La competizione si è estesa alle fredde acque del Nord. In risposta alla guerra ibrida russa, la NATO ha compiuto un passo significativo creando la "Task Force X" nel Mar Baltico, un'unità navale multi-dominio specializzata nella protezione delle infrastrutture critiche sottomarine (cavi dati, gasdotti), diventate un bersaglio primario. Questa mossa segnala la presa di coscienza che la sicurezza europea si gioca anche sui fondali marini. Parallelamente, la Russia sta consolidando il proprio controllo sulla Zona Artica, rafforzando la sua presenza militare e le sue rivendicazioni sulla Rotta del Mare del Nord, una via commerciale destinata a diventare sempre più strategica con lo scioglimento dei ghiacci. 4. Teatro operativo Australe-Antartico. Mentre i teatri settentrionali sono dominati dalla competizione tra grandi potenze, il Sud globale è caratterizzato da sfide di governance e da nuove fratture ideologiche. In Africa Australe, la difficoltà nel creare architetture di sicurezza marittima efficaci contro pirateria e pesca illegale lascia ampi spazi vulnerabili all'ingerenza di attori esterni. In America Latina, la crisi politica in Argentina e le accuse di spionaggio contro l'ex presidente Bolsonaro in Brasile evidenziano una profonda instabilità istituzionale. Emerge inoltre una "nuova frattura globale" tra l'Occidente e parti del Sud globale, esemplificata dal caso del politico sudafricano Julius Malema, a cui il Regno Unito ha negato il visto. Questi episodi rivelano divisioni profonde su temi come il colonialismo e il conflitto israelo-palestinese, mostrando un mondo diviso non solo da interessi, ma da visioni del mondo sempre più divergenti. 5. Indopacifico. Questo teatro rimane l'arena decisiva della competizione a lungo termine tra Stati Uniti e Cina. La corsa al riarmo è palese. L'Indonesia che acquista fregate italiane in configurazione "full combat", la Turchia che si afferma come esportatore di caccia di quinta generazione vendendoli all'Indonesia, e soprattutto Taiwan che si dota di tecnologia per sciami di droni, sono tutti segnali di una militarizzazione accelerata. L'alleanza AUKUS rimane il perno della strategia occidentale, ma la sua tenuta è messa in discussione dalle incertezze politiche a Washington. La vera partita, però, è tecnologica. La superiorità non è più solo una questione di piattaforme, ma di software. L'integrazione dell'Intelligenza Artificiale nei sistemi d'arma, come testato dalla Svezia sui suoi caccia Gripen, e la digitalizzazione spinta del settore navale, come presentato da Fincantieri, sono i veri "game-changer" che definiranno chi prevarrà in questo scacchiere cruciale. Le conseguenze geopolitiche. Le ricadute geopolitiche di questi eventi stanno ridisegnando la mappa del potere globale. La conseguenza più significativa è il dilemma strategico degli Stati Uniti. La crisi iraniana agisce come una "trappola strategica", costringendo Washington a deviare risorse militari e attenzione politica dal teatro prioritario dell'Indo-Pacifico. Come evidenziato da numerose analisti, questo rappresenta un "vantaggio strategico" per la Cina, che può proseguire la sua ascesa e consolidare la sua influenza economica e militare con minore opposizione. La Russia, pur preoccupata da un'escalation che potrebbe incendiare il suo "estero vicino" nel Caucaso, beneficia della distrazione occidentale dall'Ucraina e dell'aumento dei prezzi del petrolio. Un'altra conseguenza cruciale è la frammentazione degli allineamenti. La guerra ha consolidato una inedita "Asia che sta con Teheran", con nazioni come Pakistan, Indonesia e Malesia che, per una miscela di solidarietà islamica e sentimento anti-occidentale, offrono un sostegno politico che rompe l'isolamento dell'Iran. Ciò segnala l'erosione dell'influenza occidentale e l'emergere di un mondo più multipolare, dove potenze medie perseguono agende autonome. Questo fenomeno è visibile anche in Africa, dove la Russia sta abilmente colmando il vuoto lasciato dall'Occidente, trasformando il Sahel in un proprio avamposto strategico e sfidando l'influenza europea nel suo vicinato meridionale. L'Occidente stesso appare diviso: le pressioni delle lobby pro-Israele come l'AIPAC creano spaccature nel dibattito politico americano, mentre l'Unione Europea fatica a trovare una voce unita, divisa tra il sostegno a Israele e la critica per le sue azioni. Le Conseguenze Strategiche. Sul piano strategico, la conseguenza più evidente è il "risveglio" dell'Europa. Scossa dalla guerra in Ucraina, l'UE sta passando dalla retorica alla pratica dell'"autonomia strategica", accelerando gli investimenti nella propria base industriale della difesa e favorendo soluzioni interne e cooperative. Questo processo di riarmo, tuttavia, si scontra con una crisi più profonda: l'"arsenale della democrazia" occidentale, come lo definiscono alcuni analisti, è in difficoltà. Le catene di approvvigionamento sono fragili e la capacità produttiva fatica a sostenere lo sforzo richiesto dal supporto simultaneo a Ucraina, Israele e Taiwan. Parallelamente, è in atto una rivoluzione qualitativa nella dottrina militare, guidata dalla tecnologia. La guerra del futuro sarà dominata da sistemi senza pilota (droni, velivoli da combattimento collaborativi), intelligenza artificiale per l'analisi dei dati e il supporto decisionale, e una dottrina di "guerra distribuita", che mira a colpire l'avversario da più direzioni con una rete di sensori e armi a basso costo. Questa trasformazione, tuttavia, non è priva di ostacoli, come dimostra la discrasia tra l'offerta industriale di piattaforme senza pilota e la lentezza delle marine militari nell'adottarle su larga scala. Infine, la crisi sta costringendo a un ripensamento del ruolo stesso delle forze armate, come evidenziato dal dibattito sulla futura identità del Corpo dei Marines statunitense, che cerca una nuova missione nell'era della competizione tra grandi potenze. Le Conseguenze Marittime Il dominio marittimo è emerso con rinnovata centralità come arena cruciale della competizione globale. La prima conseguenza diretta delle crisi in Medio Oriente è la minaccia costante ai punti di strangolamento (chokepoints) marittimi. L'instabilità nel Mar Rosso e la potenziale chiusura dello Stretto di Hormuz metterebbero in ginocchio il commercio globale e innescherebbero una crisi energetica ed economica sistemica. In secondo luogo, la guerra ibrida ha svelato la vulnerabilità critica delle infrastrutture sottomarine. I cavi per le telecomunicazioni e i gasdotti che corrono sui fondali marini sono diventati bersagli strategici, il cui sabotaggio può causare danni enormi senza necessariamente scatenare una guerra convenzionale. Ciò ha spinto la NATO a creare task force specializzate, come la "Task Force X" nel Baltico, per la protezione di queste arterie vitali. In terzo luogo, la guerra economica si combatte anche sui mari. La Russia elude le sanzioni grazie a una "flotta ombra" di petroliere che operano al di fuori delle normative, costringendo l'Occidente a sviluppare nuove forme di interdizione economica e legale. Infine, la competizione marittima si manifesta in una vera e propria corsa agli armamenti navali, guidata dalla sfida cinese alla supremazia americana nell'Indo-Pacifico e seguita dalla modernizzazione delle flotte di potenze regionali come l'Indonesia, che si rivolge all'industria italiana per dotarsi di navi da combattimento avanzate. Le Conseguenze per l’Italia. Per l'Italia, le crisi in corso rappresentano sia una minaccia diretta alla propria sicurezza energetica e stabilità regionale, sia un'opportunità per giocare un ruolo diplomatico e strategico più assertivo. La prima conseguenza è un'intensa attività diplomatica, con il governo italiano impegnato a mantenere aperti i canali di dialogo con tutti gli attori mediorientali per promuovere la de-escalation. Questa posizione da mediatore si inserisce in una visione strategica più ampia che vede il Mediterraneo Allargato come area di primario interesse nazionale. In questo contesto, progetti come il "Piano Mattei" per l'Africa assumono una valenza cruciale. Come suggerito da Francesco De Palo su formiche.net, la convergenza tra il Piano Mattei e l'IMEC (India-Middle East-Europe Economic Corridor) potrebbe rappresentare una risposta geopolitica proattiva. L'Italia si candiderebbe a diventare un hub energetico e logistico, collegando le risorse africane ai mercati europei e creando un'alternativa strategica alla Via della Seta cinese. Sul fronte industriale, la crisi sta valorizzando l'industria della difesa italiana. Aziende come Fincantieri e Leonardo sono in prima linea nel processo di riarmo europeo, fornendo piattaforme tecnologicamente avanzate (come i PPA o gli addestratori M-345) che rispondono alla nuova domanda di capacità militari moderne, digitalizzate e sostenibili. Conclusioni e possibili sviluppi In conclusione, il mondo è entrato in una fase di disordine globale pericoloso e imprevedibile. La "Terza Guerra Mondiale a pezzi" non è più un'ipotesi remota, ma una descrizione accurata di una realtà definita da conflitti interconnessi, competizione strategica sfrenata e profonde fratture interne all'Occidente. La crisi tra Israele e Iran, in particolare, agisce come detonatore di dinamiche sistemiche che stanno erodendo le fondamenta dell'ordine post-Guerra Fredda, portando la situazione a un punto di non ritorno. In questo scenario di instabilità sistemica, le prossime ore e i prossimi giorni saranno decisivi. L'attenzione si concentra su tre bivi critici che potrebbero saldare le crisi in corso. Il primo è la decisione di Israele: pressato dalla vulnerabilità del suo scudo missilistico e dai costi economici insostenibili della guerra, il governo israeliano potrebbe tentare un'azione militare ancora più drastica per chiudere la partita, innescando una reazione a catena incontrollabile. Intimamente legata a questa scelta è la mossa degli Stati Uniti: la decisione finale dell'amministrazione americana – se cedere alle pressioni per un intervento diretto o mantenere la difficile linea della moderazione – è la variabile chiave che determinerà non solo le sorti del conflitto, ma l'intero equilibrio regionale. Contemporaneamente, sul fronte europeo, la reazione del Cremlino alla crescente assertività occidentale potrebbe manifestarsi con azioni ibride contro le infrastrutture critiche o con un'ulteriore, brutale, intensificazione della guerra in Ucraina. Di fronte a queste sfide esistenziali, la risposta non può essere unicamente militare. È necessario un nuovo paradigma di sicurezza integrata. L'Occidente, e l'Europa in particolare, deve agire su tre livelli simultanei: gestire l'escalation immediata con una combinazione di deterrenza credibile e diplomazia pragmatica; rafforzare la propria resilienza interna ricostruendo la base industriale della difesa e proteggendo le infrastrutture critiche, sia fisiche che digitali; e, soprattutto, formulare una visione strategica proattiva a lungo termine. Iniziative come la convergenza tra Piano Mattei e IMEC rappresentano il giusto approccio: utilizzare l'economia, l'energia e lo sviluppo come strumenti di potere e stabilizzazione per costruire ponti di prosperità dove altri seminano divisione. Navigare il mare tempestoso della politica internazionale odierna richiede una visione olistica, capace di comprendere che il futuro della sicurezza globale si gioca tanto sui campi di battaglia quanto nei laboratori tecnologici e nei corridoi economici, in una corsa contro il tempo per trovare un nuovo, seppur fragile, equilibrio prima che il mondo scivoli definitivamente nel caos senza ritorno. |
CesmarSintesi quotidiana degli eventi geopolitici e geoeconomici più rilevanti analizzati il giorno successivo al loro accadere a cura del CESMAR
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