I contributi sono diretta responsabilità della redazione di OHiMAG e ne rispecchiano le idee. La riproduzione, totale o parziale, è autorizzata a condizione di citare la fonte. Le informazioni qui riportate sono frutto di lettura e analisi delle seguenti fonti: Cesmar "Sintesi di Geopolitica e Geoeconomia (del giorno)"; Notizie riportate dai principali siti che si occupano di politica internazionale, geopolitica e strategia marittima (ISPI, Foreign Affairs, Inside Over, Analisi Difesa, Limes, Le Grand Continent, Atlantic Council, Chatham House, IISS, CSIS, The National Interest, War o the rocks, Responsible Statecraft, IAI, IARI, CIMSEC, Formiche.net, GCaptain, The global eye, Center for maritime strategy, Naval News, Shipmag, Navylookout, Navytimes, Rand, il Sussidiario, GeopoliticaInfo, Starmag) e dalle principali agenzie di stampa internazionali (Associated Press, Reuters, AFP, ANSA, DPA, TASS, Xinhua, etc.) relative al giorno precedente quello indicato nel titolo Pressione strategica e svolta industriale Questa analisi è stata preparata in collaborazione con cesmar.it La sintesi non rappresenta un'analisi originale, ma una riorganizzazione strutturata delle informazioni raccolte basata sulla expertise dei nostri studiosi che ne hanno poi estrapolato le conseguenze nei campi geopolitico, strategico, marittimo e legato all’Italia. Introduzione
Il panorama internazionale sta attraversando una trasformazione radicale e irreversibile, che segna la fine definitiva dell'era post-Guerra Fredda e l'avvento di una nuova fase di intensa competizione strategica globale. Questo nuovo paradigma è definito da una duplice e complessa dinamica: da un lato, l'emergere di una "nuova cortina di ferro" – una frattura non solo geopolitica ma anche tecnologica, industriale e valoriale – e dall'altro, una profonda frammentazione dell'ordine mondiale. La stabilità, un tempo sostenuta da chiari assetti di potere, lascia il posto a un'instabilità pervasiva in cui le sfere d'influenza tradizionali si erodono e le crisi regionali diventano cartine di tornasole delle rivalità globali. In questo scenario, il dominio marittimo torna a essere un teatro cruciale di confronto, dove la pressione sulle forze navali occidentali, la sicurezza delle rotte commerciali e la proiezione di potenza diventano decisive. La competizione si estende a ogni dominio, intrecciando le tensioni politiche interne con le rivalità esterne e riaffermando il legame tra capacità industriale e potere strategico. Il presente saggio si propone di decifrare questo complesso mosaico, esplorando le profonde conseguenze di questo riassetto e delineando le implicazioni e le opportunità specifiche per l'Italia, chiamata a navigare in un mondo che richiede pragmatismo e una rinnovata visione strategica. I fatti del 1 luglio 2025 L'attuale scenario globale è definito da una profonda trasformazione, innescata da una crescente pressione geopolitica che costringe le potenze mondiali a un complesso esercizio di riadattamento strategico, industriale e tecnologico. Al centro di questa dinamica si trova la Marina degli Stati Uniti, simbolo di un ordine mondiale in affanno. Impegnata in una condizione di palese sovraestensione (overstretch), la flotta americana è costretta a gestire simultaneamente crisi ad alta intensità in teatri distanti: da un lato, la logorante missione nel Mar Rosso contro gli attacchi Houthi per proteggere il commercio globale; dall'altro, il contenimento della pressione cinese su Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale. Questa doppia sfida, affrontata con una flotta di circa 295 navi, ben al di sotto dell'obiettivo di 355, mette a nudo limiti strutturali che si traducono in manutenzioni ritardate, equipaggi sfiniti e un calo della prontezza operativa complessiva. Questa pressione si ripercuote sull'intero sistema occidentale, innescando una spirale di riarmo e una profonda riorganizzazione industriale, ponendo fine all'era dei "dividendi della pace". In risposta alle proprie carenze, il Pentagono ha avviato un piano senza precedenti per rafforzare la cantieristica nazionale. Parallelamente, in Europa, l'aumento generalizzato delle spese militari spinge a una svolta epocale: Fincantieri, leader europeo del settore, sta riorientando strategicamente la propria produzione dalle navi da crociera a quelle militari, con l'obiettivo di portare la difesa al 30% dei ricavi entro il 2027. Questo riarmo è accompagnato da un'intensa innovazione, come l'integrazione di droni sulle fregate francesi e il supporto avanzato per le FREMM italiane. Parallelamente a questa riconfigurazione militare, si assiste a un rimescolamento degli equilibri geopolitici. L'impegno americano su più fronti crea vuoti di potere e costringe a scelte complesse. Emerge l'opportunità strategica di un riconoscimento del Somaliland, che garantirebbe a Washington una preziosa base nel Corno d'Africa, in contrasto con il fallimento della politica in Myanmar, dove l'influenza di Cina e Russia è cresciuta. Al contempo, l'influenza russa è in visibile erosione, accelerata dalla guerra in Ucraina. La crisi diplomatica con l'Azerbaijan ne è un chiaro esempio, mentre nuovi attori come il Kazakistan si propongono come mediatori credibili, promuovendo rotte commerciali alternative come il "Middle Corridor". Le crisi interne, come le proteste in Serbia, diventano teatri di confronto tra Occidente e Russia. La competizione, tuttavia, non è solo militare, ma si estende ferocemente all'arena tecnologica ed economica. È in corso un "grande gioco sulla tavola periodica" per il controllo dei minerali critici, essenziali per la transizione digitale e verde. La leadership nell'Intelligenza Artificiale è vista dagli USA come un imperativo di sicurezza nazionale, promuovendo un modello open source in antitesi a quello statalista cinese. In questo contesto, emerge una simbiosi cruciale tra IA ed energia nucleare, necessaria per alimentare i data center del futuro. Questa corsa al riarmo e all'innovazione poggia però su un'economia fragile. Un'analisi della BCE rivela che un terzo delle imprese europee prevede un calo degli investimenti, frenato da inflazione e incertezza. Il mondo si trova così in una spirale di tensione, dove la necessità di mantenere la supremazia militare e tecnologica si scontra con una crescente fragilità economica e sociale, disegnando un futuro incerto e altamente competitivo. Analisi per Teatro Operativo
Conseguenze geopolitiche Gli eventi geopolitici recenti non sono episodi isolati, ma i sintomi di un profondo riassetto globale che segna la fine dell'ordine post-Guerra Fredda. La conseguenza principale è l'emergere di un mondo più complesso e conflittuale, definito da una duplice dinamica: la solidificazione di una "nuova cortina di ferro" e una simultanea frammentazione del potere. Da un lato, si sta delineando una divisione sistemica tra l'Occidente e un blocco sino-russo. Questa frattura non è fisica, ma si estende a ogni dominio: dalle catene di approvvigionamento (decoupling) agli standard tecnologici (5G, IA), fino alle narrazioni ideologiche. Il riarmo generalizzato in Europa e negli Stati Uniti è la manifestazione militare di questa competizione a lungo termine, che spinge l'Occidente a rafforzare le proprie alleanze tradizionali come la NATO. In questo contesto, l'Europa, di fronte a un alleato americano sovraesteso e focalizzato sulla Cina, persegue una maggiore "autonomia strategica", come dimostra la spinta industriale verso la difesa per diventare un attore geopolitico credibile. Tuttavia, questo scontro tra grandi potenze non crea un mondo rigidamente bipolare. Al contrario, accelera la frammentazione dell'ordine internazionale. L'erosione dell'influenza di Washington e Mosca, visibile nella sfida all'unipolarismo marittimo statunitense e nell'incapacità russa di controllare il suo "estero vicino" (come nel Caucaso), crea vuoti di potere. Questi spazi vengono sfruttati da potenze medie e "stati cardine", come la l’Arabia Saudita, la Turchia o il Kazakistan, che adottano politiche estere pragmatiche per massimizzare la propria autonomia, dialogando con tutti gli attori. La competizione si combatte su nuovi fronti. La lotta per le risorse critiche (litio, cobalto) e il controllo di snodi strategici marittimi (chokepoints come Bab-el-Mandeb) diventano questioni di sicurezza nazionale. Attori regionali e non-statali possono ora usare tecnologie a basso costo per minacciare le catene globali e sfidare le grandi potenze. Inoltre, la "guerra ibrida" trasforma le crisi interne di nazioni contese, come la Serbia, in campi di battaglia geopolitici, dove la disinformazione e l'ingerenza esterna diventano armi. In questo mosaico instabile, la geopolitica è fluida, le alleanze sono transazionali e la stabilità globale è costantemente messa in discussione. Conseguenze strategiche Il panorama strategico globale sta subendo una trasformazione epocale, segnata dalla fine della globalizzazione basata sull'efficienza e dall'ascesa di un nuovo paradigma incentrato su sicurezza nazionale, resilienza e competizione tecnologica. Questo cambiamento non è superficiale, ma impone una profonda ricalibrazione delle dottrine economiche, diplomatiche e militari, costringendo gli attori internazionali a fare i conti con la crisi dei modelli tradizionali. La prima e più evidente conseguenza è il primato della sicurezza. Le decisioni strategiche, dalla politica industriale alla scelta del mix energetico, sono ora dettate dalla necessità di ridurre le vulnerabilità critiche. La rinascita delle politiche industriali in Occidente, la ricerca della simbiosi tra digitale e nucleare e l'investimento massiccio nel cyber-spazio non sono scelte tattiche, ma pilastri di una nuova strategia volta a garantire la sovranità tecnologica e la protezione delle infrastrutture. La globalizzazione diventa selettiva, con catene del valore riorganizzate secondo logiche geopolitiche. Questa nuova realtà impone un secondo cambiamento: l'abbandono di approcci massimalisti a favore di un nuovo pragmatismo. Le dottrine tradizionali si dimostrano inefficaci di fronte a sfide complesse o l'instabilità in regioni periferiche. Emerge la necessità di obiettivi più realistici, come la gestione del rischio e il controllo degli armamenti, e di valorizzare partner affidabili ma non convenzionali, come il Somaliland, capaci di offrire vantaggi strategici a basso costo. In questo contesto, anche il mantenimento di assetti geografici insostituibili, come la base di Diego Garcia, riacquista una centralità strategica intramontabile. Infine, questo paradigma costringe a una dolorosa ricalibrazione delle dottrine militari. La U.S. Navy, logorata dal divario tra ambizioni globali e risorse limitate, è costretta a fare scelte difficili, come sospendere programmi ipersonici. Allo stesso tempo, riforme come la Force Design 2030 dei Marines segnano un adattamento strategico cruciale, abbandonando le logiche post-11 settembre per prepararsi a un combattimento distribuito e litoraneo nell'Indo-Pacifico. In Europa, l'adozione di sistemi senza pilota risponde alla stessa esigenza: aumentare la massa e la persistenza a costi sostenibili, accettando che la supremazia militare non è più incontrastata, ma va riconquistata in un ambiente operativo sempre più conteso. Conseguenze marittime L'era della libertà di navigazione, garantita da un'unica superpotenza, è terminata. Il dominio marittimo globale è entrato in una nuova fase di competizione diretta, dove la sicurezza non è più un dato acquisito ma un equilibrio precario da difendere attivamente. Questa trasformazione si manifesta attraverso tre sfide interconnesse: un crescente logoramento materiale delle flotte, una rinnovata contesa per il controllo geografico e una rapida evoluzione tecnologica che sta riscrivendo le regole del potere navale. Innanzitutto, la sfida materiale è evidente. Il prolungato dispiegamento di assetti come la portaerei Eisenhower nel Mar Rosso dimostra il logoramento fisico a cui sono sottoposte le marine occidentali. Un numero insufficiente di navi, costrette a operare oltre i limiti, accelera l'usura e riduce la prontezza operativa. Questa pressione sta spingendo l'Europa a una decisa svolta industriale: l'attivismo di cantieri come Fincantieri non è casuale, ma la risposta necessaria per ricostruire una capacità numerica e qualitativa, con nuove fregate e cacciatorpediniere progettate per ambienti ad alta minaccia. Parallelamente, la competizione geografica si è intensificata. Il controllo dei punti di passaggio obbligati (chokepoints) è tornato centrale. Strategie come il potenziale riconoscimento del Somaliland o il dibattito su Diego Garcia sono intrinsecamente marittime, mirate a presidiare arterie vitali come Bab-el-Mandeb e le rotte dell'Oceano Indiano. Allo stesso tempo, si sviluppano strategie inverse: corridoi terrestri come il "Middle Corridor" cercano di aggirare il potere marittimo, riducendo la vulnerabilità legata agli stretti. Accordi commerciali come quello UE-Mercosur, inoltre, creano nuove rotte strategiche, accendendo i riflettori su aree prima considerate secondarie, come l'Atlantico meridionale. Infine, questa contesa è sempre più tecnologica. La diffusione di droni a lunga autonomia, come quelli della partnership Piaggio-Baykar, offre a un numero crescente di nazioni la capacità di sorvegliare e controllare efficacemente i propri spazi marittimi, alterando gli equilibri di potere regionali. Guardando oltre, la simbiosi tra digitale e nucleare potrebbe rivoluzionare la propulsione navale. Reattori di nuova generazione, piccoli e sicuri, potrebbero garantire un'autonomia quasi illimitata a una vasta gamma di navi, svincolandole dalla dipendenza logistica e ridefinendo il concetto stesso di presenza strategica sui mari. Conseguenze per l’Italia L'Italia si trova a un bivio strategico, costretta da un contesto globale in rapida trasformazione a scegliere tra il declino marginale e un deciso rilancio del proprio ruolo internazionale. La strada per riaffermare la propria influenza non è unica, ma si snoda attraverso un'integrazione coerente di politica industriale, scelte energetiche e una diplomazia proattiva. La competitività futura del sistema-paese dipende dalla capacità di trasformare le proprie eccellenze industriali in leve di potere geopolitico. La base di questo rilancio è interna. Accordi come la partnership tra Piaggio Aerospace e la turca Baykar o la ratifica del trattato UE-Mercosur non sono semplici opportunità economiche, ma test della visione strategica nazionale. Essi rappresentano la capacità di stringere alleanze pragmatiche con potenze emergenti e di aprirsi a mercati globali per settori chiave come la meccanica e l'agroalimentare. Parallelamente, l'Italia deve affrontare le proprie vulnerabilità strutturali. La dipendenza energetica e la scarsità di materie prime critiche impongono una diversificazione delle fonti, come il litio sudamericano o le risorse centro-asiatiche, e una riflessione ineludibile sulla simbiosi tra digitale e nucleare di nuova generazione, essenziale per alimentare un'economia ad alta intensità tecnologica. Questa rinnovata forza industriale e tecnologica diventa strumento di politica estera nel "Mediterraneo Allargato". La svolta militare di Fincantieri, che posiziona l'azienda come hub navale europeo, conferisce all'Italia un "hard power" cruciale. In un'epoca in cui gli Stati Uniti si concentrano sull'Indo-Pacifico, la capacità di garantire la sicurezza marittima, dalla Libia al Mar Rosso con missioni come Aspides, diventa un pilastro della stabilità regionale e della protezione degli interessi economici nazionali, messi a rischio dalle crisi logistiche. Infine, questa proiezione deve estendersi oltre il bacino mediterraneo. L'Italia ha l'opportunità di agire da protagonista per stabilizzare aree di interesse storico come il Corno d'Africa e i Balcani, contrastando influenze destabilizzanti e gestendo fenomeni come migrazioni e terrorismo. Sostenere corridoi logistici strategici come il "Middle Corridor", che vede in porti come Trieste il suo terminale naturale, consolida il ruolo italiano di ponte tra Asia ed Europa. In sintesi, il futuro dell'Italia si gioca sulla capacità di saldare la propria base industriale a una politica estera ambiziosa, trasformando le sfide globali in occasioni per diventare un attore pivotale e indispensabile. Conclusioni Il mondo è irrevocabilmente entrato in una nuova era, definita non più dalla globalizzazione efficiente ma da una frammentazione competitiva. La geopolitica, la rivalità tecnologica e la sicurezza nazionale hanno ripreso il primato, rendendo l'instabilità una caratteristica strutturale del sistema internazionale. In questo contesto, l'inazione rappresenta la strategia più rischiosa. La prosperità futura dipenderà dalla capacità di adattarsi, stringere alleanze pragmatiche e investire con lucidità nei settori che garantiscono resilienza e vantaggio strategico. Per l'Italia, questa transizione rappresenta una sfida epocale ma anche un'opportunità unica per superare le storiche esitazioni e abbracciare un ruolo da protagonista. Per navigare questo scenario, è cruciale monitorare e agire su tre tematiche interconnesse. La prima è la sicurezza industriale e delle risorse. La lotta per il controllo delle tecnologie emergenti e delle materie prime critiche impone una politica industriale coraggiosa, che sostenga campioni nazionali come Fincantieri e crei filiere integrate, e una visione a lungo termine sulla sicurezza energetica che non escluda a priori opzioni come il nucleare di nuova generazione. La seconda tematica è la competizione marittima e logistica. La sicurezza dei mari non è più garantita; è un equilibrio instabile. Per una nazione-ponte come l'Italia, la tutela delle rotte commerciali nel Mediterraneo Allargato (attraverso una Marina Militare moderna e missioni come Aspides) e lo sviluppo di corridoi alternativi come il "Middle Corridor" non sono opzioni, ma necessità vitali per difendere l'economia nazionale e proiettare influenza. Infine, la terza area di attenzione è la ridefinizione degli equilibri nel vicinato strategico. L'erosione dell'influenza di potenze tradizionali crea vuoti di potere, dai Balcani al Corno d'Africa, che l'Italia ha l'interesse e la capacità di colmare. Ciò richiede una diplomazia proattiva e multidirezionale, capace di costruire partnership basate su interessi concreti, promuovendo stabilità e agendo da ponte tra Europa, Africa e Asia Centrale. In conclusione, la sfida per l'Italia è saldare questi tre livelli in una strategia coerente. La forza industriale e tecnologica deve diventare la base di un'autonomia strategica credibile; questa, a sua volta, deve alimentare una politica estera assertiva e pragmatica. Il futuro del Paese non si gioca più solo sulla sua capacità produttiva, ma sul legame inscindibile tra industria, sicurezza e diplomazia, e sulla volontà politica di fare scelte chiare per prosperare nel nuovo disordine globale.
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