I contributi sono diretta responsabilità della redazione di OHiMAG e ne rispecchiano le idee. La riproduzione, totale o parziale, è autorizzata a condizione di citare la fonte. Le informazioni qui riportate sono frutto di lettura e analisi delle seguenti fonti: Cesmar "Sintesi di Geopolitica e Geoeconomia (del giorno)"; Notizie riportate dai principali siti che si occupano di politica internazionale, geopolitica e strategia marittima (ISPI, Foreign Affairs, Inside Over, Analisi Difesa, Limes, Le Grand Continent, Atlantic Council, Chatham House, IISS, CSIS, The National Interest, War o the rocks, Responsible Statecraft, IAI, IARI, CIMSEC, Formiche.net, GCaptain, The global eye, Center for maritime strategy, Naval News, Shipmag, Navylookout, Navytimes, Rand, il Sussidiario, GeopoliticaInfo, Starmag) e dalle principali agenzie di stampa internazionali (Associated Press, Reuters, AFP, ANSA, DPA, TASS, Xinhua, etc.) relative al giorno precedente quello indicato nel titolo Gli Usa attaccano l'Iran. AggiornamentoAggiornamento del 23 giugno delle ore 17.00 Introduzione
In un drammatico scenario di giugno 2025, il mondo assiste a un punto di rottura epocale: gli Stati Uniti, sotto una seconda presidenza Trump, sferrano un attacco militare diretto contro tre principali siti nucleari iraniani. Questa operazione, pur presentata come un’azione chirurgica e limitata, rappresenta il culmine di una crescente tensione tra la Repubblica Islamica e Israele, segnando il momento in cui Washington sceglie di entrare formalmente in un conflitto che minaccia di incendiare l'intero Medio Oriente. L’attacco non è solo un atto di guerra, ma una scommessa avventata con conseguenze geopolitiche, strategiche ed economiche potenzialmente catastrofiche e difficilmente contenibili. Questo saggio, basandosi su un'analisi approfondita di una serie di contributi specialistici tratti da autorevoli pubblicazioni internazionali e centri di ricerca, si propone di disaggregare la complessità di questa crisi. Attraverso l'esame dei fatti e delle immediate reazioni, verranno analizzate le profonde implicazioni dell'attacco sull'ordine globale, sulla stabilità regionale, sulla sicurezza marittima e, in particolare, sulla posizione dell’Europa e dell'Italia, proiettate involontariamente al centro di una tempesta le cui dinamiche sono ancora tutte da decifrare. I fatti Il 22 giugno 2025, gli Stati Uniti hanno eseguito un attacco aereo e missilistico coordinato contro tre infrastrutture nucleari chiave in Iran: i siti di arricchimento di Fordow e Natanz e il centro di ricerca di Isfahan. L'operazione, annunciata dal Presidente Donald Trump come un successo che ha "completamente e totalmente obliterato" il programma nucleare iraniano, è stata condotta impiegando bombardieri strategici B-2 Spirit, capaci di trasportare le pesanti bombe anti-bunker GBU-57 MOP, e sottomarini che hanno lanciato missili da crociera Tomahawk. Questo intervento diretto si inserisce in un conflitto già in corso, scatenato da una campagna di bombardamenti israeliani contro l'Iran iniziata il 13 giugno. L'attacco americano ha immediatamente innescato un'allerta globale, con le società di sicurezza marittima che hanno emesso avvisi urgenti per le navi commerciali affiliate agli Stati Uniti nelle acque mediorientali. In risposta, il parlamento iraniano ha approvato una mozione che autorizza la chiusura dello Stretto di Hormuz, una decisione la cui attuazione finale spetta al Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale. Parallelamente, le milizie Houthi sostenute dall'Iran nello Yemen hanno annunciato la ripresa delle minacce contro le navi da guerra americane nel Mar Rosso, dopo un breve cessate il fuoco concordato a maggio, aprendo di fatto un secondo fronte di instabilità marittima. Nonostante la retorica trionfalistica di Washington, l'entità effettiva dei danni rimane incerta, con Teheran che ha minimizzato l'impatto e suggerito che i siti fossero stati evacuati, alimentando l'ipotesi, avanzata da alcuni analisti, di una sorta di "ammuina" strategica, ovvero un'azione dimostrativa più che distruttiva, concepita forse per salvare la faccia a tutte le parti coinvolte senza però riuscire a fermare la spirale dell'escalation. Conseguenze geopolitiche Le conseguenze geopolitiche dell'attacco sono sismiche e si propagano ben oltre il Medio Oriente, accelerando la transizione verso un ordine internazionale multipolare e conflittuale. L'azione unilaterale di Washington viene letta da molti analisti non come un evento isolato, ma come una mossa speculare all'interno di una più ampia competizione tra grandi potenze. In questo schema, che evoca una "Yalta 2.0", l'attacco all'Iran, partner strategico di Russia e Cina, è interpretato come una risposta alla sfida russa in Ucraina, avamposto occidentale. Gli Stati Uniti, in quest'ottica, non mirano solo a neutralizzare Teheran, ma a inviare un messaggio diretto a Mosca e Pechino sulla vulnerabilità dei loro alleati. Questa dinamica ha provocato un netto riallineamento regionale. Le monarchie del Golfo, un tempo allineate a Israele contro l'Iran, ora vedono con terrore un possibile conflitto sulle loro coste e temono un'egemonia israeliana senza più contrappesi. Come evidenziato da Vali Nasr su Foreign Affairs, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti si sono trasformati in mediatori, spingendo per una soluzione diplomatica e vedendo un nuovo accordo nucleare come vitale per la stabilità regionale. La reazione dell'Unione Europea, d'altra parte, è stata descritta da Eldar Mamedov su Responsible Statecraft come "patetica" e sintomatica di una "vassalizzazione". La dichiarazione congiunta di Francia, Germania e Regno Unito, che ha ribadito il sostegno alla sicurezza di Israele ignorando la violazione del diritto internazionale da parte statunitense, ha minato la credibilità dell'UE come attore globale e ha esposto la sua subalternità a Washington, che, secondo le fonti, non si è nemmeno preoccupata di avvertire i suoi alleati europei prima dell'attacco. Conseguenze strategiche Sul piano strategico, l'attacco statunitense ha trasformato una sfida gestibile diplomaticamente in una crisi militare acuta e imprevedibile. Come sottolineato da numerosi analisti, tra cui Ilan Goldenberg e Andrew P. Miller su Foreign Affairs, la mossa di Trump è una scommessa avventata che ripete gli errori del passato, in particolare la hybris che ha caratterizzato la guerra in Iraq. L'idea di una vittoria rapida e chirurgica è un'illusione. Colpire alcuni impianti non smantellerà la conoscenza nucleare iraniana; al contrario, rischia di spingere Teheran a perseguire la bomba atomica con maggiore determinazione e segretezza, vedendola come l'unica garanzia di sopravvivenza del regime. Questa escalation mette a rischio diretto le circa 40.000 truppe americane dislocate nella regione e apre la porta a ritorsioni asimmetriche, come attacchi informatici su infrastrutture critiche statunitensi. L'impatto economico è potenzialmente devastante. Hadi Kahalzadeh, su Responsible Statecraft, stima che una guerra prolungata potrebbe costare a Israele 12 miliardi di dollari al mese e approfondire la crisi infrastrutturale iraniana, che necessita di oltre 500 miliardi di dollari di investimenti. Un blocco dello Stretto di Hormuz potrebbe far schizzare il prezzo del petrolio a 150 dollari al barile, riducendo il PIL globale di quasi mille miliardi di dollari e innescando una stagflazione mondiale. L'ambizione di un regime change, ventilata da alcuni falchi, è considerata irrealistica senza un'invasione di terra su larga scala, che costerebbe migliaia di miliardi di dollari e vite umane, e che probabilmente produrrebbe un caos ancora peggiore di quello seguito alla caduta di Saddam Hussein, come avvertono Hussein Agha e Robert Malley. Conseguenze marittime Le implicazioni marittime del conflitto si concentrano sull'arteria vitale del commercio energetico globale: lo Stretto di Hormuz. Come riportato da gCaptain, la minaccia iraniana di chiudere questo passaggio, attraverso cui transita circa un quinto del petrolio mondiale, ha messo in allerta l'intera comunità marittima. Società di sicurezza come Ambrey e il Joint Maritime Information Center (JMIC) hanno emesso avvisi di livello "elevato", consigliando alle navi con affiliazioni statunitensi di evitare l'area. Sebbene un blocco totale sia improbabile perché danneggerebbe anche l'Iran e i suoi partner come la Cina, una chiusura mirata contro navi statunitensi o israeliane è uno scenario credibile. La minaccia stessa ha già avuto effetti tangibili: diverse navi hanno lasciato il Golfo Persico, altre si sono raggruppate in acque sicure degli Emirati Arabi Uniti, e molte hanno limitato il transito alle ore diurne. A ciò si aggiunge un aumento delle interferenze elettroniche sui sistemi di navigazione GNSS, che complicano ulteriormente le operazioni. La riattivazione del fronte Houthi nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden, con minacce dirette alla marina statunitense, crea un secondo chokepoint marittimo, estendendo l'arco di instabilità e aumentando i costi e i rischi per le catene di approvvigionamento globali. La sicurezza di queste rotte, essenziali non solo per l'energia ma per il commercio di ogni tipo di bene, è ora appesa a un filo, dipendente dalle decisioni di attori in stato di massima tensione, capaci di innescare uno shock economico mondiale con una singola mossa. Conseguenze per l’Italia In questo quadro di crisi, l'Italia, insieme all'Europa, si trova in una posizione di estrema vulnerabilità, esposta alle conseguenze dirette e indirette del conflitto. La risposta debole e allineata dell'Unione Europea ha evidenziato una mancanza di autonomia strategica, relegando il continente a un ruolo di spettatore passivo di fronte a decisioni prese unilateralmente da Washington. Per l'Italia, questa subalternità si traduce in rischi concreti. Sebbene le basi militari italiane non siano state utilizzate per questo specifico attacco, la loro funzione di snodo logistico cruciale per le forze USA nel Mediterraneo le rende potenziali bersagli in caso di escalation. La minaccia iraniana di colpire qualsiasi interesse americano nel mondo pone le installazioni di Sigonella, Aviano e Camp Darby nel mirino di possibili ritorsioni, che potrebbero assumere la forma di attacchi asimmetrici (cyber, droni, sabotaggi) difficili da prevenire e attribuire. Economicamente, l'Italia, come grande paese manifatturiero e importatore di energia, sarebbe tra le nazioni più colpite da un'impennata dei prezzi del petrolio causata dall'instabilità a Hormuz. Inoltre, un'eventuale crisi migratoria generata dal conflitto, come paventato dall'ONU, graverebbe pesantemente sui paesi del Mediterraneo. Questa crisi, infine, mette a nudo quella che alcuni analisti definiscono la "mancanza di una cultura della difesa e della sicurezza" in Italia e in Europa, ovvero l'incapacità di formulare una visione strategica autonoma e di agire di conseguenza, rimanendo invece dipendenti dalla protezione e dalle decisioni di un alleato sempre più imprevedibile. Conclusioni e possibili sviluppi L'attacco statunitense contro l'Iran del giugno 2025 non è stato né un atto risolutivo né una mossa verso la pace, ma una scommessa strategica dagli esiti incerti e potenzialmente catastrofici. Lungi dal neutralizzare la minaccia nucleare, l'operazione ha minato le fondamenta del diritto internazionale, ha messo a rischio la stabilità economica globale e ha spinto il Medio Oriente sull'orlo di una guerra totale. La logica della "vittoria facile" si è rivelata, ancora una volta, un'illusione pericolosa, ignorando le complesse dinamiche regionali e le lezioni della storia, che insegnano come l'uso della forza in contesti così fragili generi quasi sempre caos, instabilità e nuove, più insidiose minacce. Il mondo si trova ora di fronte a un bivio: accettare una spirale di violenza che potrebbe portare a una proliferazione nucleare incontrollata e a un disastro economico, o trovare la volontà politica per imporre una via d'uscita diplomatica. In questo scenario critico, la prima e più urgente raccomandazione è un appello corale e perentorio alla de-escalation. È imperativo che gli Stati Uniti abbandonino la retorica del confronto e aprano, con il supporto di mediatori credibili come gli stati del Golfo, un serio canale negoziale con Teheran. Un accordo, per quanto difficile, rimane l'unica alternativa a una guerra che nessuno può vincere. Per l'Europa, e per l'Italia in particolare, questa crisi deve essere un definitivo "campanello d'allarme". È necessario abbandonare la postura di "vassallaggio" e sviluppare una vera autonomia strategica, dotandosi di una politica estera e di difesa coesa e indipendente. È fondamentale avviare un dibattito pubblico e parlamentare trasparente sull'uso delle basi militari sul proprio territorio. Essere alleati non può significare essere trascinati in conflitti decisi altrove, i cui costi ricadrebbero inevitabilmente sui propri cittadini. Riferimenti Il presente saggio è una sintesi e rielaborazione analitica basata sui contenuti di una pluralità di fonti internazionali e italiane, pubblicate tra il 10 e il 23 giugno 2025. Le analisi principali sono tratte dai seguenti articoli:
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