I contributi sono diretta responsabilità della redazione di OHiMAG e ne rispecchiano le idee. La riproduzione, totale o parziale, è autorizzata a condizione di citare la fonte. Le informazioni qui riportate sono frutto di lettura e analisi delle seguenti fonti: Cesmar "Sintesi di Geopolitica e Geoeconomia (del giorno)"; Notizie riportate dai principali siti che si occupano di politica internazionale, geopolitica e strategia marittima (ISPI, Foreign Affairs, Inside Over, Analisi Difesa, Limes, Le Grand Continent, Atlantic Council, Chatham House, IISS, CSIS, The National Interest, War o the rocks, Responsible Statecraft, IAI, IARI, CIMSEC, Formiche.net, GCaptain, The global eye, Center for maritime strategy, Naval News, Shipmag, Navylookout, Navytimes, Rand, il Sussidiario, GeopoliticaInfo, Starmag) e dalle principali agenzie di stampa internazionali (Associated Press, Reuters, AFP, ANSA, DPA, TASS, Xinhua, etc.) relative al giorno precedente quello indicato nel titolo Geopolitica e Potere nell'Era della Realpolitik Questa analisi è stata preparata in collaborazione con cesmar.it La sintesi non rappresenta un'analisi originale, ma una riorganizzazione strutturata delle informazioni raccolte. Introduzione
La giornata del 24 giugno 2025 si apre su un panorama internazionale dominato da una "grandissima incertezza", il cui epicentro è la fragile tregua imposta dagli Stati Uniti tra Israele e Iran. Questo evento, culminato in un precario cessate il fuoco voluto dall'amministrazione Trump dopo un breve ma intenso conflitto, non è una soluzione, ma una pausa precaria in un "Grande Gioco" globale. Agisce come un potente prisma attraverso cui osservare le forze tettoniche che rimodellano l'ordine mondiale, propagando le proprie onde d'urto attraverso tutti i principali teatri operativi. L'analisi incrociata dei fatti rivela un mondo plasmato da una leadership americana assertiva e imprevedibile, dalla reazione forzata delle altre potenze, e da tre dinamiche interconnesse che definiscono la nostra epoca. Anzitutto, il ritorno brutale di una Realpolitik spietata che archivia le illusioni post-Guerra Fredda. Segue l'impatto dirompente di un potere americano paradossale, capace di assertività unilaterale per imporre la propria volontà, e al contempo di un'attiva abdicazione alla leadership multilaterale. Infine, l'ascesa della "guerra delle narrazioni" come campo di battaglia decisivo, dove la propaganda e la percezione diventano armi strategiche tanto efficaci quanto i sistemi d'arma convenzionali. Questa analisi, attingendo ai saggi di autorevoli commentatori, intende decostruire i fatti, esplorarne le profonde conseguenze geopolitiche, strategiche e marittime, e infine valutarne l'impatto diretto sull'Italia, nazione inevitabilmente al crocevia di queste tensioni globali. I fatti La giornata del 24 giugno 2025 è dominata da un evento catalizzatore di portata globale: l'imposizione di un cessate il fuoco tra Israele e Iran da parte dell'amministrazione statunitense di Donald Trump. Questa tregua, giunta dopo un'intensa ma breve campagna militare israeliana contro le infrastrutture nucleari e strategiche iraniane, non rappresenta una risoluzione diplomatica, ma una mossa tattica di Washington per evitare un'escalation incontrollabile e riaffermare il proprio ruolo di arbitro globale. La situazione che ne deriva è di profonda instabilità: Israele potrebbe non aver raggiunto l'obiettivo di negare permanentemente la capacità nucleare a Teheran, mentre l'Iran, pur umiliato e con la sua capacità di deterrenza "demolita", ha dimostrato una capacità di reazione superiore alle attese. La tregua, percepita come fragile, lascia la comunità internazionale in apprensione, costretta a decifrare le mosse di un'amministrazione americana imprevedibile, il cui stile oscilla tra la "Mad Man Theory" e la transazionalità pragmatica. Oltre l'evento stesso, la giornata rivela le profonde logiche geo-strategiche in atto. L'offensiva israeliana, sostenuta dagli USA, appare come parte di un disegno più ampio volto a rimodellare l'equilibrio di potere mediorientale e, per estensione, a colpire l'asse eurasiatico. L'indebolimento dell'Iran è un colpo diretto al "ventre molle" meridionale della Russia e a un nodo cruciale della Belt and Road Initiative cinese, sabotando di fatto il progetto di integrazione economica promosso da Mosca e Pechino. Parallelamente al conflitto militare, emerge con forza una "guerra delle narrazioni". Israele adotta strategie di propaganda simili a quelle ucraine, esagerando la minaccia ("i missili iraniani possono colpire Roma") e presentando il proprio scontro come una difesa avanzata dell'Occidente. Questa tattica, amplificata acriticamente in Europa, mette a nudo l'ipocrisia di nazioni come la Germania, che condannano Teheran pur mantenendo solidi legami commerciali. Infine, il conflitto crea letali vuoti di potere: l'attentato dell'ISIS a Damasco è un sintomo della fragilità del nuovo regime siriano, dimostrando come la fine di un'autocrazia possa generare un caos ancora più pericoloso. Le ripercussioni si estendono ben oltre la regione, innescando un profondo ricalcolo nelle relazioni internazionali. L'alleanza transatlantica è scossa dall'inaffidabilità americana, spingendo l'Europa verso un riarmo forzato e la ricerca di una maggiore "autonomia strategica", come testimoniano gli impegni di spesa di Regno Unito e Germania. La fiducia nell'alleato americano è compromessa, costringendo l'Europa a prepararsi per un mondo più realista e spietato. Questo scenario è inoltre permeato da illusioni strategiche, come la fantasia di un "regime change" pilotato in Iran, che ignora la mancanza di alternative politiche credibili e i fallimenti storici degli interventi esterni. Sul piano geoeconomico, la marittimità si conferma l'arena decisiva della competizione globale. Sebbene l'attenzione sia sul Golfo Persico, la postura navale nell'Indopacifico tra USA e Cina rimane il fattore strutturante a lungo termine. Queste dinamiche si manifestano in modo differenziato nei teatri operativi. Il Mediterraneo Allargato è l'epicentro della crisi, definito dalla tregua instabile, dalla minaccia del ritorno dell'ISIS in Siria e dalla corsa europea al riarmo. L'Heartland euro-asiatico subisce un colpo strategico con l'indebolimento dell'Iran. L'Indopacifico rimane il teatro principale della competizione strutturale USA-Cina, dove la crisi mediorientale funge da test per la dottrina Trump, attentamente studiata da alleati e avversari. I teatri Boreale e Australe sono toccati più indirettamente, il primo dalla rinnovata attenzione NATO alla Russia, il secondo rimanendo ai margini della conflittualità attuale. In sintesi, il 24 giugno 2025 mostra un mondo interconnesso dove un singolo evento può innescare una catena di conseguenze strategiche, economiche e militari su scala planetaria. Conseguenze Geopolitiche Le conseguenze geopolitiche di questi eventi sono di portata globale e si manifestano come un "effetto domino", secondo la tesi di Francesco Sisci (formiche.net.) L'indebolimento strategico dell'Iran, perno della nebulosa anti-occidentale, si ripercuote direttamente sui suoi alleati. La Russia, già impantanata in Ucraina, perde un fornitore chiave e un partner strategico. La Cina, che aveva sostenuto le cause perdenti di Mosca e dei palestinesi, osserva in un silenzio che suggerisce un cauto ripensamento della propria politica estera. La mossa americana, come ipotizza Carnelos (InsideOver), potrebbe essere parte di un "Grande Gioco" più vasto, volto a "far abortire l'embrionale ordine globale autonomo dalla leadership USA". Colpire l'Iran significa colpire il "ventre molle" meridionale della Russia e un nodo cruciale della Belt and Road Initiative, sabotando di fatto l'intero progetto di integrazione eurasiatica promosso dall'asse Mosca-Pechino. Al contempo, la crisi crea vuoti di potere letali. L'analisi di Fulvio Scaglione (InsideOver) sulla Siria è emblematica: mentre l'attenzione internazionale è concentrata sullo scontro tra potenze, la debolezza del nuovo regime post-Assad crea il terreno fertile per il ritorno dell'ISIS, come dimostra l'attentato alla chiesa di Damasco. La fine di un regime, si conferma, non genera automaticamente stabilità, ma spesso un caos ancora più pericoloso. Conseguenze Strategiche Sul piano strategico, assistiamo a un profondo cambiamento di paradigma. La dottrina Trump, come emerge dalle analisi, è intrinsecamente contraddittoria. Da un lato, dimostra una capacità di coercizione unilaterale, imponendo soluzioni tattiche e agendo da "piromane e pompiere" nel medesimo conflitto. Dall'altro, questa assertività si accompagna a un'abdicazione alla leadership su questioni globali, come evidenziato dal Dr. Isa Elegbede (The National interest) riguardo alla Conferenza ONU sugli Oceani, dove gli Stati Uniti si isolano dal consenso globale sulla protezione marina, cedendo influenza e opportunità economiche. Questa schizofrenia strategica costringe gli alleati, in particolare l'Europa, a una dolorosa presa di coscienza. Come descritto da Gideon Rose ed Erik Jones (Foreign Affairs), il Vecchio Continente si trova a combattere una "guerra su due fronti": contro l'aggressione russa a est e l'inaffidabilità americana a ovest. La risposta è un ritorno forzato alla Realpolitik e a un riarmo senza precedenti, simboleggiato dall'impegno del Regno Unito a spendere il 5% del PIL in sicurezza (come riporta Gabriele Carrer su formiche.net) e dall'annuncio tedesco di un maxi-piano per la difesa (Andrea Muratore su InsideOver). La logica della "peace through strength" diventa il nuovo mantra della NATO: la forza militare non è più vista come un'alternativa alla diplomazia, ma come la sua precondizione necessaria. Parallelamente, la crisi mediorientale smaschera le illusioni strategiche, come la fantasia di un "regime change" pilotato in Iran. Le analisi di Francesca Salvatore (InsideOver) ed Elfadil Ibrahim (Responsible Statecraft) demoliscono l'idea di un ritorno dello Scià, evidenziando la mancanza di un'alternativa politica credibile e unificata a Teheran e il rischio, comprovato dalla storia recente, che interventi esterni producano solo vuoti di potere e catastrofi umanitarie. Conseguenze marittime Le conseguenze marittime di questo nuovo scenario sono centrali e strutturali. L'intera contesa globale, come emerge chiaramente, ha nel potere marittimo il suo baricentro. Il dibattito strategico interno agli Stati Uniti, messo a nudo dalla critica di Chuck Ridgway (CIMSEC) a Elbridge Colby (The National Interest), rivela una profonda incomprensione, da parte di alcuni settori dell'establishment, della natura olistica del potere navale, che non è solo forza da combattimento ma anche strumento di pressione economica e di sostegno all'ordine globale. Mentre Washington dibatte, la Cina agisce: le operazioni simultanee delle sue portaerei oltre la "seconda catena di isole", riportate da Kosuke Takahashi, dimostrano una crescente capacità di proiezione di potenza volta a negare un eventuale intervento americano a Taiwan. Tuttavia, questa potenza di superficie nasconde una vulnerabilità critica, come rivela l'analisi di Ryan D. Martinson (CIMSEC)su documenti interni alla marina cinese: la flotta sottomarina di Pechino è estremamente esposta ai sistemi di sorveglianza USA, minando la credibilità della sua deterrenza. In questo contesto, il ruolo degli alleati diventa cruciale. Il dispiegamento della portaerei britannica HMS Prince of Wales a Singapore, descritto da Dzirhan Mahadzir (USNI news), e l'accordo AUKUS, analizzato da Matteo Momigliano (Geopolitica.info), non sono solo dimostrazioni di forza, ma atti di diplomazia navale volti a rafforzare una coalizione di potenze marittime. L'innovazione tecnologica, come il "Progetto CABOT" della Royal Navy per una barriera anti-sottomarino autonoma, diventa un fattore decisivo per mantenere un vantaggio strategico nella vastità degli oceani. Infine, a questa guerra combattuta si affianca una guerra di percezioni, come dimostra l'analisi semiotica di Giovanna Zavettieri (Geopolitica.info): i media del Golfo trasformano mappe e immagini in armi, rappresentando lo Stretto di Hormuz come una "soglia critica" e il territorio iraniano come uno spazio penetrabile, partecipando attivamente alla costruzione discorsiva del conflitto. Conseguenze per l’Italia Per l'Italia, le conseguenze di questo scenario sono dirette e multiformi. Trovandosi al centro del Mediterraneo Allargato, il nostro Paese è sulla linea del fronte delle crisi che si dipanano dal Nord Africa al Medio Oriente. L'instabilità in Libia, esacerbata dalla competizione tra Russia e attori occidentali, come descritto da Ferruccio Michelin (formiche.net), rappresenta una minaccia diretta alla sicurezza energetica e alla gestione dei flussi migratori. L'approccio italiano, che utilizza la "diplomazia economica" per contrastare l'influenza russa a Bengasi, è un esempio di come l'Italia debba agire proattivamente per difendere i propri interessi in questo teatro. Inoltre, il dibattito sulla propaganda, sollevato da Gianandrea Gaiani (AnalisiDifesa), riguarda direttamente l'Italia. Essendo un membro chiave della NATO e dell'UE, il nostro Paese è un bersaglio primario delle narrazioni volte a orientare l'opinione pubblica e le decisioni politiche, come quella che presenta il conflitto israelo-iraniano come una "difesa avanzata dell'Europa". La capacità di decodificare criticamente queste narrazioni, riconoscendo le ipocrisie e i doppi standard, diventa una questione di sicurezza nazionale. Infine, il riarmo europeo e il nuovo corso della NATO, con la Germania in testa, pongono l'Italia di fronte a una scelta strategica ineludibile: partecipare attivamente alla costruzione di un pilastro della difesa europea, sfruttando le competenze della propria industria (come Fincantieri e Leonardo, menzionate a proposito del supporto alle fregate FREMM), o rischiare la marginalizzazione in un'alleanza che sta ridefinendo i propri equilibri interni. Conclusioni e possibili sviluppi In conclusione, il mondo del 24 giugno 2025 è in bilico, sospeso tra una pax americana imposta con la forza e il rischio di un'escalation incontrollata. Siamo entrati in una nuova fase di competizione spietata, definita dal ritorno della Realpolitik e da una leadership statunitense tatticamente efficace ma strategicamente imprevedibile, in cui la pace appare non come un obiettivo, ma come una precaria parentesi tra conflitti. La fragile tregua in Medio Oriente non ha risolto alcun problema fondamentale; al contrario, ha agito da catalizzatore, accelerando il riallineamento delle potenze globali e costringendo ogni attore a ricalibrare le proprie strategie. La guerra non è più solo una questione di armi, ma un complesso intreccio di manovre militari, pressione economica e, soprattutto, controllo della narrazione. In questo ambiente volatile, alcuni temi richiederanno massima attenzione nei prossimi giorni. Primo fra tutti, la tenuta della tregua israelo-iraniana, dalla quale dipenderà la scelta di Teheran tra la ricostruzione o una clandestina e determinata corsa al nucleare. Cruciale sarà anche la stabilità della Siria, il cui collasso potrebbe generare un nuovo santuario per l'ISIS ai confini dell'Europa. Sul piano globale, si osserverà la ricalibrazione dell'asse Russia-Cina in risposta all'indebolimento del loro alleato iraniano. Infine, sarà messa alla prova la concretezza dell'autonomia europea, che dovrà tradurre le dichiarazioni sul riarmo in fatti tangibili. Questa è una sfida esistenziale che impone all'Occidente, e all'Italia, di abbandonare le illusioni di un mondo cooperativo. È imperativo sviluppare una robusta capacità di analisi critica per distinguere la realtà strategica dalle illusioni propagandistiche, investire coerentemente in difesa per garantire autonomia d'azione, e assumere un ruolo da protagonista nella costruzione di una sicurezza europea. In questo nuovo mondo, la capacità di anticipare le minacce e agire con lucidità non è un'opzione, ma una necessità per la sopravvivenza.
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